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L'Estetica ambientale

di Mario Spinetti - 25/01/2007

 

“Inquinamento, contaminazione, desolazione, sono parole che non sarebbero mai state create se l’uomo fosse vissuto secondo natura. Uccelli, insetti, orsi muoiono e si disfano in modo pulito e bello. (...) I boschi sono pieni di alberi morti e morenti, eppure la loro bellezza era necessaria per completare la bellezza della vita. (...) Ogni morte è bella!”(J. Muir, John of the Mountains, 1938 - tratto da Devall & Sessions, 1989). Mentre in passato le bellezze naturali erano viste solo come fenomeni estetici privi di contenuto, le concezioni della moderna estetica ambientale, oltre a valutare e riconoscere i vari aspetti della bellezza, premono preminentemente sulla protezione e conservazione della natura (D’Angelo, in Gamba & Martignitti, 1995). Ciò che viene maggiormente sentito è dunque il corretto rapporto tra uomo e ambiente e la vera tutela della natura. Al limite, le bellezze naturali vengono utilizzate per riaffermare argomenti a favore della loro conservazione (D’Angelo, in Gamba & Martignitti, 1995). E anche in questo caso possiamo sviluppare questo concetto sia in chiave egocentrica, cioè bellezze naturali valevoli solo se legate alla percezione sensoriale dell’uomo, e sia in chiave ecocentrica ovvero bellezze naturali dal proprio valore intrinseco. Hargrove (1990) scrive in proposito: “La bellezza è un carattere intrinseco e oggettivo dell’ente naturale (il quale quindi è bello per il solo fatto di esistere), dunque essa è svincolata dalla percezione da parte di un soggetto”.

La natura è considerata, a detta della scienza, come una specie di contenitore nel quale razionalmente è possibile discernere i vari elementi quantificandoli e ordinandoli secondo rigidi principi matematici e mentali (leggasi razionalismo cartesiano). Ne esce fuori una natura parcellizzata, controllata, asettica, dove ogni cosa è come deve essere. “La natura è un perpetuo caleidoscopio di mutamenti fecondi che si rifiuta ad ogni categorizzazione rigida. La mente può cogliere l’essenza di questo movimento, ma mai tutti i suoi dettagli” (Bookchin, 1995).

Una visione olistica del mondo, e quindi dell’ecologia profonda, invece ci fa capire che la natura non è la somma di tutti i singoli elementi che la compongono né la somma delle relazioni tra i membri, ma certamente qualcosa di più. Theodore Roszak dice infatti che occorre essere consapevoli che il tutto è maggiore della somma delle parti. Il mondo naturale, allora, potrà essere visto con altrettanta validità e sicuramente con superiore spirito, anche attraverso le sensazioni, i profumi, le emozioni. Ne consegue che l’estetica ambientale invita ad un comportamento alternativo alla rigidità “professionale” della moderna scienza naturale. Un essere selvaggio conosce molto bene il proprio ambiente e riceve continue emozioni nel rapporto con esso: questa è la conoscenza naturale delle cose. Sviluppare dunque questo aspetto, cioè una conoscenza pratica fatta di esperienze e di sensazioni, è il migliore rapporto che possa istaurarsi per riconnettersi con la natura. Sentire il profumo del sottobosco dopo la pioggia, individuare la pista di un animale, osservare la dinamica dei processi geologici, saper pregustare l’imminenza di un temporale, saper accendere un fuoco con semplici mezzi o sapersela cavare in un ambiente selvaggio: questa è la principale conoscenza della storia naturale. Un lupo vive spontaneamente in unità profonda con il suo ambiente, ne conosce i “segreti”, e da esso percepisce continue sensazioni semplici. Probabilmente saranno diverse dalle nostre, come lo saranno da quelle di un orso o di un’aquila, ma in comune ci sono gli stessi due elementi: la conoscenza diretta e pratica del territorio e le sensazioni (paura, dolore, odore, smarrimento, gioia, ecc.).

La moderna scienza, prodotta dal pensiero umano, ha invece assunto un atteggiamento invadente, dominatore e aggressivo nei confronti della natura, riducendo quest’ultima a puro laboratorio esterno di asservimento e di distruzione (D’Angelo, in Gamba & Martignitti, 1995). Si riafferma il concetto dualistico (uomo, centro del mondo - natura, esterna e subordinata) e si postulano principi e corollari prevaricatori. A tale concezione si contrappone l’esperienza estetica. Scrive D’Angelo (in Gamba & Martignitti, 1995): “Di contro a questi atteggiamenti prevaricatori, l’esperienza estetica della natura offre un modello del rapporto non semplificatore e non invasivo, sia perché ci insegna a tenere conto di tutta la complessità della nostra interazione con l’ambiente, rivalutando la componente sensoriale della nostra esperienza, sia perché l’atteggiamento contemplativo proprio dell’esperienza estetica rappresenta l’antitesi della sottomissione violenta della natura compiuta dalla tecnica”.

Dinanzi all’attuale distruzione e invasione della natura, è impensabile proporre un’etica ambientale ricca di considerazioni utilitaristiche per l’uomo. Occorre invece definire un’etica che lo responsabilizzi e lo conduca verso una visione monistica e globale della vita per consentirgli la riconnessione con l’uno naturale. Per poter riconoscere i limiti e le dimensioni ridotte dell’uomo, essere paritario agli altri elementi del mondo naturale, è però necessario rinegoziare il valore delle cose. Ma, ad essere sinceri, un’etica così incisa di elementi non utilitaristici, troverà non pochi antagonisti nel corso della sua proposizione. Hargrove nella sua opera Fondamenti di etica ambientale (1990) annota: “Passiamo ora al problema finale, cioè all’affermazione che il bello naturale è inferiore al bello artistico, in quanto troppo estraneo per conformarsi ai criteri e ai gusti estetici dell’uomo. Questa posizione è stata sostenuta in ‘La nostra responsabilità per la natura’, dove Passmore afferma che la natura addomesticata è preferibile alla natura selvaggia, alla selvaticità, perché, dal punto di vista dell’uomo, è più gradevole e più intellegibile. L’uomo capisce la natura addomesticata perché ‘ha contribuito a crearla’. Per contro, continua Passmore, ‘l’uomo è in qualche modo alienato dalla natura selvaggia; essa è qualcosa di esterno a lui’.....

Questa concezione della natura ha elementi comuni, ad esempio, con la teoria di Locke della proprietà, per la quale la natura viene valorizzata dal lavoro dell’uomo. La natura così trasformata diventa proprietà, in quanto qualcosa di umano, il lavoro, è entrato a far parte della natura grezza e si è permanentemente unito a essa. Questa concezione della natura come qualcosa di incompleto e pressoché senza valore, che attende che l’uomo vi riversi struttura, ordine e valore, affiora anche negli scritti filosofici di Hegel, quando egli afferma che, poiché la natura non ha volontà propria, l’uomo ha diritto di usare la sua volontà d’impadronirsi di ogni e tutti gli oggetti naturali, facendoli suoi”. Ogni commento a queste disarmoniche argomentazioni sarebbe superfluo. Hargrove infatti nel paragrafo successivo ricorda che: “Dato che i nostri criteri estetici derivano dalla natura, è assurdo affermare che i criteri della natura sono troppo estranei per essere accettabili e intellegibili dall’uomo”. Integra il discorso Leopold (1949-1997): “Il turista a caccia di trofei ‘naturali’ ha delle peculiarità che contribuiscono in modo sottile al suo comportamento. Per soddisfarsi deve possedere, invadere, appropriarsi. Di conseguenza, i luoghi selvaggi che non può vedere personalmente non hanno per lui alcun valore. Da ciò deriva l’opinione comune che una terra inutilizzata non renda alcun servizio alla società. Per chi è privo di immaginazione un vuoto sulla carta geografica è un inutile spreco, per altri è la parte più preziosa”.

E poi ancora Hargrove (1990): “Secondo l’estetica positiva, la natura, nella misura in cui è naturale (cioè, non alterata dall’uomo), è bella e non ha qualità estetiche negative. Tale concezione ha trovato la sua espressione più famosa nella frase, continuamente citata nel diciannovesimo secolo, di John Constable, che affermò, ‘Non ho mai visto una cosa brutta in vita mia’. Secondo tale concezione, chiunque trovi il brutto in natura semplicemente non l’ha saputa percepire in modo giusto, non ha saputo trovare criteri appropriati in base ai quali giudicarla e apprezzarla esteticamente. L’estetica positiva è strettamente associata a un tipo specifico di argomento preservazionista, che sostiene il diritto della natura di esistere. Secondo quest’argomento, che generalmente è espresso in modo affatto inadeguato, tutto ciò che esiste ha diritto d’esistere semplicemente perché esiste…..”.

Scrive infine Franco Zunino (1980): “La natura selvaggia è un bisogno spirituale che ognuno di noi si porta dentro e che va dal semplice amore per il bello al preponderante bisogno di solitudine che sentono alcuni. E’ il senso di fastidio che proviamo in natura di fronte all’opera dell’uomo, anche quando quest’opera è minima o ha fini di conservazione o di studio. La natura selvaggia è acqua libera di scorrere, di erodere, di gonfiarsi e straripare; è la libertà di volare e di correre degli animali; sono gli orizzonti intatti di montagne o di piatte paludi; è l’immensità del cielo su un panorama d’erba; è il silenzio della natura e lo scrosciare d’acque nelle valli montane; l’urlo del temporale nella foresta; il sibilo della bufera e il boato pauroso della valanga; il lento volo dell’aquila che annulla lo spazio tra le montagne; è il gioco delle onde sulle scogliera. La natura selvaggia è girare attorno lo sguardo e non vedere segno d’uomo; è ascoltare e non udire rumori d’uomo”.