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La negazione dei genocidi e il codice penale

di Sergio Romano - 25/01/2007

Benché io non nutra alcun
dubbio sulla realtà storica dell'Olocausto e ritenga che i negazionisti siano dei folli senza cuore, depreco l'iniziativa di chi vorrebbe conferire al Parlamento il diritto di legiferare sui fatti della storia. Il fatto che una legge del genere sia stata adottata in altri Paesi europei non ne sminuisce l’assurdità. Da appassionato di storia, penso che gli accertamenti dei fatti della storia e la loro valutazione dovrebbero esser lasciati al cosiddetto tribunale della storia, alla comunità scientifica, alla scuola, non al giudice ordinario, sotto pena di gravissime conseguenze per la libertà d’opinione.

Il ministro Mastella ha annunciato che il Governo presenterà un disegno di legge contro le affermazioni che negano l’Olocausto compiuto dal regime nazista e che ha causato 6 milioni di morti. Confido che il ministro proponga analogo provvedimento contro le affermazioni che negano i crimini dei regimi comunisti, che hanno causato un numero di morti stimato in 100 milioni dallo storico Courtois e in 60 milioni da Solgenitsin e altri dissidenti russi.

Aldo Bagnalasta, Giorgio Pizzonia

Cari Bagnalasta e Pizzonia,
qualche giorno fa è stato ucciso a Istanbul Hrant Dink, giornalista turco di origine armena e direttore di Agos, un settimanale bilingue che pubblica articoli in turco e in armeno.
Un anno fa era stato condannato a sei mesi con la condizionale per avere esortato il governo a riconoscere il massacro degli armeni, all’inizio della Grande guerra, e avere offeso in tal modo l’identità turca. Esistono dunque in Europa due tipi di leggi: quelle che puniscono chiunque osi affermare un’opinione contraria alla verità ufficiale dello Stato, e quelle che puniscono chiunque osi negare l’esistenza di un evento storico. In questo mondo di veti incrociati Hrant Dink era un uomo eccezionale.
Si era battuto perché i suoi connazionali riconoscessero la tragedia armena e la volontà omicida di coloro che avevano scortato i profughi sulla via dell’esilio. Ma aveva sostenuto, contro la lobby armena nel mondo, che non era opportuno pretendere dalla Turchia un esplicito riconoscimento del genocidio armeno prima del suo ingresso nell’Unione.
Pensava che nulla avrebbe favorito la sua evoluzione politica e culturale quanto la partecipazione a un organismo di cui fanno parte le società democratiche dell’Occidente.
Ma siamo davvero sicuri che queste società democratiche possano impartire lezioni al mondo? Alcuni Paesi (Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia, Spagna e Svizzera) hanno adottato leggi che trattano la negazione della Shoa alla stregua di un reato. L’Austria ha processato e condannato come questa motivazione uno storico inglese, David Irving, che ha tuttavia riconosciuto di avere commesso un errore.Più recentemente l’Assemblea nazionale francese ha votato una legge che estende al genocidio degli armeni le norme sulla negazione del genocidio ebraico.Ein questi ultimi giorni abbiamo appreso che la Germania, durante il semestre in cui è presidente dell’Unione Europea, proporrà che la negazione del genocidio ebraico sia considerata un reato in tutti i Paesi dell’Unione.
Credo che la migliore risposta a questa ondata di puritanesimo giudiziario sia una citazione tratta da un articolo di un giurista, Ronald Sokol, apparso nell’International Herald Tribune del 20 gennaio.
Secondo Sokol, due giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti, Oliver Wendeel Holmes jr. e Louis Brandeis (il secondo, incidentalmente, ebreo), dissero: «Se un avvenimento malefico non incombe al punto di rendere impossibile una esauriente discussione, il rimedio da applicare è più libertà di espressione, non silenzio imposto dall’alto». Traduco in linguaggio corrente: si può proibire un dibattito quando esistono rischi incombenti e imminenti, altrimenti no.