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«No End In Sight» di Ferguson. Su schermo, l'Iraq post-invasione

di Giulia D'Agnolo Vallan - 27/01/2007



17 gennaio 1991: la mia prima prima volta al Sundance Film Festival. È stato su un aereo quasi deserto, diretto a Salt Lake City, che abbiamo appreso l'inizio dell'operazione Desert Storm. Durante il viaggio, il capitano ci dava aggiornamenti sull'azione militare. Nei giorni seguenti, per avere notizie, bisognava girovagare in macchina fino che non si entrava nelle frequenza di una radio nazionale. A parte la mezz'ora di tg delle 6 di sera, a Park City, le news in televisione erano locali e, sul Salt Lake Tribune, quella guerra del Golfo arrivava poco. Se eri fortunato, incappavi in un New York Times del giorno prima.

«Cut» ed è il 23 gennaio 2007. Di mattina, da Los Angeles, viene annunciato che due documentari sull'attuale guerra in Iraq (Iraqi in Fragments e My Country My Country, il primo dei quali ha vinto qui l'anno scorso) sono stati nominati agli Oscar. Lo stesso giorno, proprio in contemporanea con l'annuale discorso sullo Stato dell'Unione di George W. Bush, al festival viene presentato un terzo titolo sullo stesso soggetto: No End In Sight, del politologo Charles Ferguson. Una scelta di programmazione impeccabile. Due giorni prima era passato un film su Abu Ghraib, di Rory Kennedy. È indubbio che, senza il festival di Redford, il salto di visibilità del documentario in Usa non avrebbe mai potuto essere così enorme. Quello di Sundance tende ad essere un documentario «attivista», meno interessato alla forma che al soggetto. Con gli anni - e il progressivo emergere di Hbo nel settore - si tratta di oggetti dai valori di produzione sempre più alti e fatti circolare per costituire una rete di controinformazione. Che siano veramente cinema, poi, è tutto un altro discorso (quest'anno, scandalosamente, a Park City manca il nuovo Fred Wiseman, Usa 1977 State Legislature, che sarà al Forum di Berlino). Ma, secondo la loro premessa, alcuni dei titoli più efficaci sono passati di qui: An Inconvenient Truth, Supersize Me o Enron: The Brightest Guys In The Room.....

No End in Sight appartiene a quella famiglia. Primo resoconto dell'Iraq post invasione, il film di Ferguson è la cronaca dettagliata di un disastro a base di arroganza, abuso di potere e (come quello di Kennedy) spesso clamorosa disorganizzazione (martedì, vedere i clip del discorso di Bush in tv faceva venire da piangere). Optando per una serie di testimonial al di sopra di ogni sospetto, come l'ex ambasciatore Barbara Bodine (a Baghdad nel 2003), il capo di gabinetto di Colin Powell, Lawrence Wilkerson, il generale Jay Garner, il vicesegretario di stato Richard Armitage, il colonnello Paul Hughes, più soldati, giornalisti, iracheni e americani, e studiosi, il film di Ferguson ricostruisce come ignoranza, mancanza di scrupoli e di un piano post occupazione, abbiano generato il disastro di oggi. Nel film non c'è niente di particolarmente nuovo - le frasi storiche di Bush, Rumsfeld & Co - «missione compiuta!», «che gli insorti si facciano avanti», «ma quanti vasi hanno in Iraq?»... - sono quasi un contrappunto tragicomico. Il caso è inappellabile.