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Così l'Europa mangia l'Africa. Il mercato distrugge l'autosufficienza

di Cinzia Gubbini - 30/01/2007

 
Uno studio finanziato dall'Undp denuncia: gli accordi Epa distruggono l'economia africana
Nel 2008, quando verrà creata un'area di libero scambio tra Ue e Africa, il Burundi perderà il 3% del Pil. In Ghana scompariranno 193 milioni di dollari. Ma il bello, è che gli stati europei ci guadagnano



L'opinione della Commissione europea alla vigilia della firma degli accordi di partenariato economico con l'Africa (attesa per il 1 gennaio 2008), i cosiddetti Epa, è che chi si dichiara contrario a questi accordi fa troppa demagogia. Nei corridoi di Bruxelles si fa notare che non esistono studi sull'effettivo impatto che i nuovi accordi di libero scambio tra l'Unione europea e i paesi africani avranno su questi ultimi. Un impatto devastante, secondo quanto denunciano le organizzazioni dei contadini dell'Africa, che hanno marciato compatte al World sociale forum di Nairobi. Ma i governi europei, convinti praticamente all'unanimità della giustezza degli Epa - compreso quello italiano, come ribadito sulle pagine del manifesto dal ministro per le politiche comunitarie Emma Bonino - sostengono al contrario che l'economia africana è minacciata dall'importazione dei prodotti cinesi, indiani e sudamericani. Quelli europei, invece, sarebbero troppo costosi e tecnologicamente avanzati per rappresentare un reale pericolo per l'agricoltura e l'industria africana. L'avvento degli Epa, sostiene la Commissione, potrebbe piuttosto aiutare l'Africa ad aumentare la propria presenza nell'economia globale, per ora ferma al 5% nel mercato mondiale.
Ma non è demagogico sostenere che la creazione di un'area di libero scambio aiuterà l'Ue a surclassare la concorrenza potenziale di Cina, India e Sudamerica. E' nella realtà dei fatti: si chiede all'Africa di eliminare completamente i propri dazi doganali e di competere ad armi pari con i prodotti dell'Unione europea. Il punto è: questo accordo aiuterà anche l'Africa?

Lo studio

Non esistono studi, insistono a Bruxelles. Per la verità, uno studio esiste: lo ha pubblicato nel marzo del 2005 la Commissione economica per l'Africa, con un consistente aiuto del Programma per lo sviluppo delle Nazioni unite (Undp). I risultati danno ragione a chi ritiene che gli Epa metteranno in ginocchio l'economia dei paesi africani. Di più: a guadagnarci sarà esclusivamente l'Unione europea, che vedrà crescere vertiginosamente l'esportazione dei propri prodotti - soprattutto quelli agricoli - in Africa.

Lo studio («Impatti sull'economia e sul welfare degli accordi di partenariato economico Ue-Africa») utilizza un modello simulatorio molto noto agli econimisti: il Wits/Smart partial equilibrium. La «pecca» di questo metodo è che, trattandosi di una simulazione, non è in grado di considerare gli aspetti dinamici scatenati da una nuova situazione. Tuttavia, i risultati finora ottenuti sono incoraggianti, e lo rendono uno dei metodi più attendibili: attraverso il Wits/Smart erano stati valutati gli effetti dell'ingresso della Cina nel Wto e l'adesione nel 2005 dei dieci nuovi stati membri nel l'Unione europea. La realtà ha poi confermato in pieno quanto previsto dalla simulazione.

Lo studio prende in esame tutte e quattro le regioni in cui l'Africa è stata suddivisa (con un criterio vagamente coloniale, tipo francofoni da una parte e anglofoni dall'altra) per trattare gli Epa con il gigante Unione europea. Le tabelle sono sconcertanti. In tutti i casi si osserva una effettiva creazione di nuovo commercio (trade creation). Bene, dunque, si commercia e più di prima. Il fatto è che queste quote di «nuovo commercio» sono sempre a favore degli stati europei: è L'Europa che esporta di più, non l'Africa. Come se non bastasse, secondo lo studio, si creerà un effetto di «trade diversion». Il concetto è semplice: la creazione di un'area di libero scambio attira necessariamente una parte di commercio che, precedentemente, veniva scambiata con altri paesi, anche se quei prodotti sono migliori e meno cari.

Ma anche in questo caso, nel contesto Epa, a guadagnarci non sono i paesi africani: quella quota viene «rubata» dai prodotti europei, che ovviamente sono più avanzati e meno costosi (grazie alle sovvenzioni, tra l'altro) di quelli africani. Come se non bastasse la quota rubata molto spesso proviene dallo scambio attualmente effettuato tra paesi africani. Cosicché gli Epa non soltanto facilitano l'esportazione dei prodotti europei, ma oltretutto rischiano di mettere in crisi gli scambi nel mercato sud-sud.

I risultati

Qualche esempio, particolarmente impressionante. Secondo lo studio, se il Burundi abolisse le tariffe nei confronti dell'Unione europea si creerebbe una nuova quota di commercio a favore dell'Unione europea pari a 12,4 milioni di dollari. A guadagnarci, va detto, sarebbero anche i consumatori burundesi, che potrebbero acquistare prodotti meno cari. Ma poiché il consumatore in genere è un lavoratore, bisognereebbe calcolare i posti di lavoro persi per effetto della maggiore competitività dei prodotti europei. In ogni caso, l'abolizione delle tariffe crea anche un a quota di trade diversion pari a 1,6 milioni di dollari, che viene catturato dall'Ue che così guadagna complessivamente 13,9 milioni di dollari. La quota di 1,6 milioni precedentemente veniva scambiata nell'area Comesa (mercato comune dell' Africa dell'est e del sud). Lo studio calcola anche l'effetto positivo per i consumatori: 1.852 milioni di dollari. E considera quanto viene a perdere lo stato burundese dall'abolizione delle tariffe: 7.664 dollari. Ora, sommando le quote positive e quelle negative, risulta che il Burundi con gli Epa perde 19.782 milioni di dollari, cioè il 3% del Pil.
Cambiamo area, andiamo nell'Ecowas (la comunità economica dell'Africa dell'ovest): le esportazioni europee in Ghana aumenteranno del 37,5% , mentre il paese perderà 194 milioni di dollari per effetto dello smantellamento delle tariffe doganali. Inoltre verrà dirottato il 23% del commercio che attualmente il Ghana intrattiene con gli altri paesi dell'Ecowas a favore dell'Unione europea. In cambio, i consumatori guadagneranno quasi 72 milioni di dolalri, sempre se avranno ancora un posto di lavoro.

Un affare imperdibile

Numeri da capogiro, ma in realtà niente di nuovo sotto il sole. Ricette di questo tipo sono già state sperimentate in Africa, e hanno già dimostrato che i paesi africani ci perdono, fuori dalle simulazioni. Riccardo Falduto si è appena laureato in Scienze politiche all'università di Bologna con una tesi sugli Epa, e spiega: «Nel 1990 il Senegal, che era il ventitresimo produtore di pomodori al mondo, fu spinto dalla Banca mondiale a operare una graduale apertura del proprio mercato in cambio di una riduzione del debito. Il risultato - continua Falduto - è che oggi è al quarantesettesimo posto. E non soltanto nell'esportazione di pomodori, ma anche dei suoi derivati. Di esempi del genere ce ne sono a decine». Una sconfessione in piena regola della filosofia del libero mercato? «Non si tratta di mettere in dubbio la teoria del libero mercato - prosegue Falduto - qui si sta parlando di un'ipocrisia: gli Epa sono sbagliati perché impongono un'apertura dei mercati senza un corretto assetto politico-istituzionale alla base». Della sfera politica e sociale, infatti, gli accordi non parlano. Business is business, e l'Africa è un mercato tutto da mangiare.