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La religiosità naturale

di Mario Spinetti - 06/02/2007

 

“L’uomo ha sempre saputo; ha sempre saputo che la vita è fondamentalmente buona, che l’universo, le stelle nel cielo, gli animali, le piante, i minerali, gli elementi della terra non sono malevoli, ma cosmicamente impregnati del proposito ordinatore.

Il proposito è la sacralità inerente, l’ordine dell’universo in se stesso. Finché l’uomo ha rispettato questa sacralità, finché ne ha ordito il modello nel suo cuore attraverso l’umiltà e l’interiore sintonia spirituale, il modello della società umana ha anch’esso riflesso la sacralità e l’ordine di cui tutte le cose sono dotate” (J. Arguelles , in J. Levey, 1988).

A questo punto occorre occuparsi, sia pure con un rapido “excursus”, dell’influenza esercitata dal pensiero religioso nei confronti del rapporto che, nel corso dei millenni, l’uomo ha intrattenuto con l’ambiente, osservando preliminarmente che, ove si escluda il Taoismo e il Buddismo (almeno in parte), e non considerando la filosofia di vita di buona parte degli indiani d’America e di pochi altri popoli “nativi”, carattere comune a quasi tutte le religioni è l’antropocentrismo nel quale l'uomo è il "signore del creato".

Tutto è a disposizione del genere umano e nulla ha valore al di fuori della cerchia antropica. La popolarità e la subdola diffusione delle credenze religiose e delle varie "fedi" antropocentriche ha avuto un effetto devastante sulla natura tanto che quest'ultima, soggiogata e asservita alle cieche necessità umane, è stata sempre considerata una fonte inesauribile da dove attingere a piene mani senza limiti e senza rispetto. All'apice dell'uomo sta "Dio" che si preoccupa solamente di lui, lo illumina, lo guida, lo protegge e lo esalta nella vita eterna. Dinanzi ad uno scenario così accentrato quale spazio e significato potrà avere il verde di una foresta, lo sguardo di un lupo, il volo di una uccello o la corsa di un ghepardo? Nessuno, sono solo esseri di contorno che l'uomo religioso vede intorno a lui, ma che considera solo alla stregua dei suoi bisogni e della sue necessità. Questo modo di pensare e di agire, unitamente ad altri fattori storico/filosofici, ha determinato il distruttivo dualismo tra l'uomo da una parte e la natura dall'altra, esterna ed indipendente creata esclusivamente per il "signore del creato". La nascita di questo dualismo è all'origine di tutte le concezioni "violente" dell'uomo verso la natura, distaccato da una realtà che all’inizio lo vedeva integrato. Murray Bookchin scrive (AA.VV., 1987): “Per superare il problema del conflitto tra necessità e libertà, fondamentalmente, tra la natura e la società, dobbiamo fare di più che costruire semplicemente ponti tra l’una e l’altra, come avviene nei sistemi di valori fondati su atteggiamenti puramente utilitaristici nei confronti del mondo naturale. La denuncia dell’abuso che l’uomo fa della natura, compromettendo le condizioni materiali della sua stessa sopravvivenza, è indubbiamente fondata, ma del tutto strumentale. Essa presuppone infatti che il nostro interesse per la natura si basi sull’interesse personale, piuttosto che su una sensibilità verso la comunità vivente di cui siamo parte, seppure in modo assolutamente unico e peculiare. Da tale punto di vista, il nostro rapporto con la natura si riduce alla possibilità di saccheggiare il mondo naturale senza arrecare danno a noi stessi, purché riusciamo a trovare sostituti fattibili o adeguati (per quanto sintetici, semplici o meccanici che siano) delle forme di vita esistenti e dei rapporti ecologici. Il tempo ha dimostrato che proprio questa concenzione ha giocato un ruolo preminente nell’attuale crisi ecologica, una crisi che non è soltanto la conseguenza di una distruzione fisica, ma anche di un serio sconvolgimento delle nostre sensibilità etiche e biotiche”. L'uomo, nella maggior parte dei credi religiosi, non si è più curato dell'unità della propria vita con quella dell’”esterno da sé" e, conseguenza della radicale scissione, si è sentito al centro del motore dell'universo e conseguentemente ha governato da despota un potere mai dato ma rubato o meglio inventato. Purtroppo i contenuti spirituali della maggior parte delle religioni non hanno proiettato l'uomo in una dimensione universale della vita, ma lo hanno condotto verso una cieca visione egoistica ed accentratrice. E' questo il "peccato mortale" di molte “fedi”, che, scevre da quella visione unitaria e globale, hanno "imposto" all'uomo il senso del dualismo creando un dissidio inconscio verso ciò che è esterno da lui. Elementi destabilizzanti che rendono l’uomo ostile a se stesso e alla natura tutta si rilevano sia nella filosofia greca che nella concezione biblica/cristiana del mondo. In quest’ultima, in particolare, citando Kaiser (1992) ricordiamo che “si crea un abisso tra il mondo, fonte di pericoli e minacce, e i credenti, e si predica ostilità nei confronti della terra....Nella Genesi dell’Antico Testamento l’uomo, considerato soprattutto sotto un profilo spirituale in quanto simile a Dio, viene chiamato di conseguenza a dominare sul resto della natura.......Così il racconto della Creazione non solo ha gettato le basi del dualismo tra Dio e il mondo, ma anche di quello tra l’uomo e il resto del creato, la natura: vale a dire tra l’uomo e il suo mondo. “ Forse”, come scrive Frank Water, “proprio in questa concezione dualistica, che divide l’uomo dalla natura, sta la radice della tragedia umana dell’Occidente””. Scrisse B. Russel (1959): “La religione si basa, ritengo, prima di tutto e soprattutto sulla paura. E’ in parte il terrore dell’ignoto, e in parte il desiderio di sapere che abbiamo una specie di fratello maggiore accanto a noi in tutti i guai e le dispute. La paura è il fondamento di tutto: paura del misterioso, paura della sconfitta, paura della morte”.

Quanta falsa morale, quanto falso perbenismo alberga nell'animo umano, tutto proteso alla propria egoistica "salvazione". L'uomo religioso spende tutta la sua vita a preoccuparsi di salvare l’anima al cospetto di "Dio", estrema ed ulteriore conferma dell'eccentricità della propria fede. Quanto sarebbe più nobile vivere una spiritualità universale, non disgiunta, nella quale l'uomo, elemento di un’ampio infinito sistema, svolga la propria parte al pari di una pietra, di un fiore, di una montagna o di un lupo. Ciò non esclude nessun pensiero che consideri importante l'uomo per l'uomo senza però giungere a sentire l'universo come elemento di appendice alla sua vita. Se l'uomo occidentale è riuscito a sviluppare una si' ampia e distorta spiritualità ha perso la grande opportunità di elevarsi al di sopra della mediocrità antropocentrica dove l'uomo e soltanto l'uomo inteso sia come specie che come singolo individuo, ha valore. Ma è bene ricordarsi che nella convivenza sociale una spiritualità così accentratrice non potrà che portare a continue scissioni, dissidi, intolleranze e incomprensioni.

Prendiamo a paragone di esempio il Cristianesimo. Esso, pur esprimendo alle sue origini il culto della mitezza e della non violenza, non ha saputo coerentemente trasferire quei principi al rapporto che l’uomo ha con la natura, in quanto rimase condizionato, come abbiamo visto, dalla radice storico-teologica espressa dal Vecchio Testamento (dualismo e prevaricazione). Si legge infatti nella Bibbia (Genesi 1,26): “Facciamo l’uomo che sia la nostra immagine, conforme la nostra somiglianza, ed abbia dominio sui pesci del mare, sui volatili del cielo, sul bestiame e su tutte le fiere della terra, e anche su tutti i rettili che strisciano sulla terra” e poi fatto l’uomo Dio disse (Genesi 1, 28): “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela e abbiate dominio sui pesci del mare e sui volatili del cielo, sul bestiame, e su tutte le fiere che strisciano sulla terra”.

Parole che pesano come macigni, parole che incitano alla violenza, e si sa che la violenza non è asettica, né gratuita, ma è virulenta, e non si fa circoscrivere, ma dilaga ed esplode, e diviene anche violenza dell’uomo sull’uomo, diviene la millenaria storia di guerre, stermini e distruzioni. “...Dio, conferendo una legittimazione divina alle mire di dominio cosmico dell’uomo, gli comanda di sottomettere a sé la terra” (Kaiser, 1992). Solo il Buddismo, tra le più grandi concezioni religiose, ha saputo cogliere, almeno in buona parte, come abbiamo prima sottolineato, il carattere unitario uomo-natura anche se ovviamente è sempre l'uomo che recita la parte principale; tra i fondamentali principi del Buddismo ve n’è uno che recita:”ogni uomo è portato a tenere un costante amore verso un suo fratello e verso gli animali”, oppure un altro: "......Poiché colui che si rende conto appieno dell'intima unione tra la sua vita ed ogni altra forma di vita, troverà che la sua coscienza si espande, e via via che comprende, ama: fino a che il palpito del suo cuore, s'identifica col palpito dell'universo e la sua coscienza coincide con tutto quanto ha vita. L'amore, naturalmente, ha altrettante forme quanti sono gli esseri che lo racchiudono, tuttavia, in definitiva, ciò che è meramente personale deve cedere il passo all'impersonale, ciò che è egoistico deve recedere dinanzi a quanto è altruistico........".

Quando, muovendo da sì sconsolate meditazioni, si ripercorre secolo dopo secolo la vicenda umana, fino ad arrivare, tra scenari di genocidi e di immani rovine, alla storia del XIIº secolo, ci si trova all’improvviso al cospetto della figura di Francesco di Assisi; quale indescrivibile illuminazione, quale vivido raggio di luce va a posarsi allora sulla storia della Chiesa cattolica! Quale vero e proprio atto rivoluzionario è il “Cantico delle Creature”! E quel Canto appare ancora più sublime se al ripetitivo “sii lodato mio Signore” non si fa seguire il “propter” latino che può tradursi “a causa di”, ma si fa invece seguire il “par” francese, che suona “da parte di”, sicché è un coro di mille e mille voci quello che si innalza dalle creature in lode del Signore. All’interno di un siffatto coro quale risonanza assume il secolare "odio" e distacco verso la natura di tutto il popolo cristiano? “Già nel tredicesimo secolo San Francesco d’Assisi cercò di distogliere il cristianesimo dalla tesi antropocentrista prevalente in favore di una posizione biocentrica più animista e più antica ‘proponendo una democrazia di tutte le creature di Dio’” (Devall & Sessions, 1989).

Scrive C. G. Jung“Nulla riusciva a convincermi che il ‘fatto a immagine di Dio’ dovesse riferirsi solo all’uomo. In realtà credevo che gli alti monti, i fiumi, i laghi, gli alberi, i fiori e gli animali manifestassero l’essenza di Dio assai meglio degli uomini, con i loro ridicoli vestiti, le loro meschinità, la vanità, la menzogna, l’odioso egotismo...”.

Gli indiani Nordamericani, salvo poche eccezioni, sono il più vivido esempio di una visione unitaria della vita e della pratica spirituale. Vi è un abisso tra il loro modo di pensare e di agire e il nostro in quanto “....il pensiero fondamentalmente globale, olistico degli indiani americani e di altri popoli nativi, si contrappone al pensiero dualistico occidentale” (Kaiser, 1992). Un artista pueblo disse “Solo dopo essermi liberata dal cristianesimo riacquistai la sensazione di essere integra, di aver raggiunto il mio equilibrio, di essere indiana” (Kaiser, 1992). Scrive ancora Kaiser (1992): “Tutti gli sforzi per vincere la crisi attuale della nostra concezione del mondo sono tesi ogni volta a superare il dualismo di impronta occidentale e a ritrovare la strada che porta al mondo globale, perduta più di duemila anni fa.

Un aspetto centrale di questo dramma concettuale è rappresentato dalla questione della sacralità o meno del mondo. Prima che il mondo unitario e globale fosse scisso in due sfere dell’essere, esso era inteso come spirituale e materiale allo stesso tempo, divino e terreno, trascendente ed immanente....... Questo mondo tutto ripieno di spirito divino era considerato intero e quindi sacro. Solo dopo la differenziazione tra sacro e non sacro, e dopo lo scioglimento dello stretto intreccio tra divino e mondano si arrivò gradualmente a concentrare tutta la sacralità nel Dio trascendente e, di conseguenza, alla dedivinizzazione o sconsacrazione del mondo della materia.....

A tutto ciò si contrappone la visione globale del mondo degli abitanti dell’America prima dell’arrivo degli europei: praticamente tutte le popolazioni native americane condividevano la concezione mitica di un mondo in cui le sfere dello spirito e della materia, del sacro e del profano non erano rigorosamente distinte, ma formavano un’unica globalità....”.

Integra il discorso Dalla Casa (1996): “Nelle concezioni orientali le altre specie viventi sono composte di esseri che vivono in modi diversi la nostra stessa avventura, con pieno diritto ad una vita libera ed autonoma. Invece, nel nostro mondo, i cosiddetti ‘movimenti per la vita’ ritengono ovvio occuparsi solo della vita umana, senza neanche il bisogno di precisarlo. Dell’equilibrio e dello stato di salute della Vita, cioè del Complesso dei Viventi, non si preoccupano affatto”. Un classico atteggiamento del genere è evidenziato chiaramente dai praticanti/credenti della religione cristiana (“vertici” inclusi) che si preoccupano esclusivamente ed egoisticamente della vita umana! Hosle (1992) annota saggiamente che: “Le Chiese dovranno modificare radicalmente la loro maniera di predicare: al giorno di oggi colui che opera in modo ecologicamente consapevole può affermare di seguire lo spirito dell’etica cristiana con maggior diritto di chi tramanda credenze che possono anche essere degne di rispetto per la loro vetustà, ma che danno uno scarso contributo alla soluzione dei problemi riguardanti l’esistenza del genere umano. E’ palese che in questo contesto andrebbe rivista anche la formazione dei teologi: mi sembra che per un maestro di morale (perché anche questo dovrebbe essere il sacerdote) alcune nozioni fondamentali in materia di ecologia siano più importanti di uno studio dettagliato della scienza liturgica”.

A proposito di tutte le speculazioni umane sul significato e sugli scopi della nostra vita, speculazioni che hanno coinvolto una fila interminabile di filosofi, teologi e quanti altri, Watts (1978) ci ricorda magistralmente: “Forse cominciamo a comprendere perché quasi tutti gli uomini hanno la tendenza a cercare conforto tra gli alberi e le piante, i monti e le acque.......forse la ragione di questo amore per la natura non umana è che la comunione con il mondo naturale ci riporta a un livello della natura umana nel quale siamo ancora sani, liberi dalle sciocchezze e dalle ansiose domande sul significato e lo scopo della nostra vita. Infatti quella che chiamiamo ‘natura’, è un mondo libero da un certo tipo di presunzione e di scaltrezza. Gli uccelli e le bestie si impegnano a cercare il cibo e a generare con la massima devozione, ma non cercano giustificazioni, non pretendono che le loro azioni siano al servizio di fini superiori o che contribuiscano in modo rilevante al progresso del mondo”.

John Muir con la sua infinita acutezza di pensiero scrisse (in Devall e Sessions 1989): “Supponete che un cacciatore cristiano vada dal Signore dei boschi e uccida le sue bestie migliori o gli indiani selvaggi e non ci sarà niente da ridire. Ma immaginate che una di queste vittime predestinate, un po’ più intraprendente delle altre, vada nelle case e nei campi e uccida il più insignificante appartenente a questi assassini su due zampe fatti a immagine di Dio e questo sarà assolutamente poco ortodosso e, se l’assassino è un indiano, un atroce delitto. Beh, provo scarsissima simpatia per l’egoistica proprietà dell’uomo civilizzato, e se scoppiasse una guerra fra gli animali selvaggi e il Signore Uomo, sarei tentato di simpatizzare per gli orsi...

Ci è stato detto che il mondo è stato creato per l’uomo. E’ una supposizione completamente smentita dai fatti. Sono in molti a stupirsi quando nell’universo di Dio trovano qualcosa, vivo o morto, che non è commestibile o non è, come si dice, utile per l’uomo. Non contenti di prendere tutto dalla natura, pretendono anche lo spazio divino come fossero le uniche creature per le quali è stato progettato questo insondabile impero...

E’ molto più probabile che la natura abbia creato gli animali e le piante per la loro stessa felicità piuttosto che per la felicità di uno solo dei suoi elementi. Perché l’uomo dovrebbe reputarsi più importante di una entità infinitamente piccola che compone la grande unità della creazione?.....”.

Per completare la breve dissertazione non vi è passo più appropriato di quello di Gregory Bateson (1976): “Se mettete Dio all’esterno e lo ponete di fronte alla sua creazione, e avete l’idea di essere stati creati a sua immagine, voi vi vedrete logicamente e naturalmente come fuori e contro le cose che vi circondano. E nel momento in cui vi arrogherete tutta la mente, tutto il mondo circostante vi apparirà senza mente e quindi senza diritto a considerazione morale o etica. L’ambiente vi sembrerà da sfruttare a vostro vantaggio. La vostra unità di sopravvivenza sarete voi e la vostra gente o gli individui della vostra specie in antitesi con l’ambiente formato da altre unità sociali, da altre razze, dagli altri animali e dalle piante.

Se questa è l’opinione che avete del vostro rapporto con la natura e ‘se possedete una tecnica progredita’, la probabilità che avete di sopravvivere sarà quella di una palla di neve all’inferno. Voi morrete a causa dei sottoprodotti tossici del vostro stesso odio o, semplicemente, per il sovrappopolamento e l’esagerato sfruttamento delle risorse”.

“Non credete a ciò che avete udito; non credete alle tradizioni solo perchè sono state tramandate per generazioni; non credete in qualcosa perchè ne è corsa voce o molti ne hanno parlato; non credete semplicemente perchè vi viene citata un’affermazione scritta di un qualche antico saggio; non credete nelle congetture; non credete in ciò che considerate vero perchè vi ci siete attaccati per abitudine. Non credete semplicemente all’autorità dei vostri maestri e degli anziani.

Dopo osservazioni e analisi, quando la verità che avete trovato da voi stessi si accorda con la ragione e contribuisce al bene e al miglioramento di ognuno, allora accettatela, praticatela e vivete secondo essa” (Il Buddha - in J. Levey, 1988).

“Credo del Dio di Spinoza, che si manifesta nell’armonia di tutte le cose, non in un Dio che si interessa del destino e delle azioni degli uomini” (A. Einstein).