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Alessandro, il conquistatore

di Franco Cardini - 23/02/2007

 

Quando gli dissero che non c'erano più terre da occupare, pianse. Sognava una monarchia universale, un solo popolo composto di molte stirpi

Fu una meteora. Era nato in Macedonia, a nord-est della penisola ellenica, nel 356. In quanto macedone era di stirpe illirica: gente senza dubbio indoeuropea e affine agli elleni, che tuttavia li consideravano dei barbari. I rapporti con suo padre, re Filippo, e con sua madre Olimpia, resteranno per sempre affidati a un mito ch'egli stesso contribuì potentemente a divulgare: si sentiva figlio di Zeus e di stirpe divina.
Era appena ventenne quando suo padre fu assassinato ed egli ereditò il suo piccolo regno montagnoso e guerriero, la leadership delle poleis greche unite nella Lega di Corinto e la missione di far guerra al nemico storico degli elleni, l'impero persiano. Non erano pochi, però, i greci che avrebbero preferito la "brutale amicizia" con il Gran Re achemenide, che in fondo durava da due secoli, alla protezione di quel ragazzaccio bellissimo e brutale che sembrava amar solo i cavalli e la memoria del suo eroe preferito, Achille.
E fu probabilmente proprio per cementare il suo rapporto d'egemonia e di fratellanza con i greci che temevano e disprezzavano la sua origine barbarica e la sua indole feroce, il ragazzaccio partì nel 334 alla testa di 5000 cavalieri e di 30.000 fanti. Dietro di lui, fumavano le rovine di Tebe ribelle e distrutta: dinanzi gli si stendeva un impero immenso e misterioso, che dall'Anatolia giungeva alle pendici dell'Indo Kush.
Sapeva davvero quel che faceva? Certo aveva letto il diario dello scrittore-avventuriero Senofonte, discepolo di Socrate ch'era morto più o meno l'anno in cui era nato lui; e certo Aristotele, suo maestro, gli aveva insegnato riguardo all'Asia profonda quel che sapeva (non granché, tutto sommato).
Anche quella spedizione, cui è dedicata la mostra che si apre il 27 febbraio a Torino, è avvolta nella leggenda: l'antichità ha tramandato al medioevo, sotto forma d'un nugolo di romanzi, di leggende e di tradizioni apocrife, la memoria della sua corrispondenza con Aristotele, della sua sete di conquista, di sapere e di piacere, della sua volontà di ascendere al cielo su un carro tirato da grifoni e di scandagliare gli abissi marini, il suo pianto disperato quando giunto ai limiti dell'India qualcuno gli disse che non c'era più nulla al mondo da conquistare, il suo incontro con i saggi ghimnosophistai che praticavano l'ardua filosofia induista del controllo del proprio corpo.
Le battaglie di Granico, di Isso e di Gaugamela, fra 334 e 331, confermano che fu un genio militare come non se ne sono più visti al mondo prima di Napoleone; per crudeltà e per ampiezza d'orizzonti politici e strategici, nella storia universale forse solo Tamerlano e Stalin possono essergli paragonati. In due anni distrusse l'impero achemenide, ne raccolse presso di sé i "satrapi" (i governatori locali) e lo rifondò superando i connotati originariamente panellenici della sua impresa. Nel 330, aveva dato alle fiamme Persepoli per vendicare la distruzione dell'Acropoli d'Atene messa in atto dai persiani centocinquant'anni prima. Aveva poi conquistato l'una dopo l'altra le grandi capitali imperiali di Pasargade e di Ecbatana. Ma, subito dopo, congedò i greci e, con i suoi macedoni e i suoi nuovi alleati-sudditi persiani, avviò una grandiosa politica di fondazione di una nuova realtà statuale. Si addentrò oltre lo Iaxarte (Syr-Darya), verso le terre della Sogdiana e della Bactriana, cioè oltre l'Afghanistan, verso Uzbekistan e Kirghizistan; sposò la principessa sogdiana Roxane e fondò una quantità di nuove città, tutte denominate Alessandria. Fra 327 e 325 tentò anche una spedizione in India, ma una rivolta militare lo convinse che anch'egli doveva assoggettarsi alla ricerca d'un limite umano.
La rustica corona macedone non gli bastava più: ma neppure quella solenne dei Gran Re di Persia. Progettava una monarchia universale, un popolo solo da molte stirpi, una moneta unica. Fece rielaborare il complesso cerimoniale persiano di corte, che prevedeva l'adorazione d el sovrano; ma nemmeno ciò gli bastava. Guardava oltre, all'esempio più perfetto di monarchia sacra e di regalità divinizzata, quello egizio che del resto appunto i persiani stessi avevano fagocitato conquistando, due secoli prima, la terra dei faraoni. Fu pertanto dalla sua capitale, Babilonia sul Tigri, che si spostò verso il delta del Nilo dove fondò la sua grande metropoli, il suo originale capolavoro urbanistico, Alessandria d'Egitto. Aveva obbligato i suoi generali macedoni a sposare principesse persiane, secondo il suo esempio; la sua era una politica di fusione tra tutti i popoli, d'annullamento dei confini tra Oriente e Occidente.
Si era identificato nel dio Ares, il cui simbolo è l'ariete e il cui elemento sacro è il fuoco; in quanto tale si era proposto ai persiani mazdei, adoratori della Sacra Fiamma; in Egitto, s'identificò con il dio cui era sacra Tebe, il solare Ra. Da Ares e da Ra desunse il suo emblema, i corni dorati d'ariete che adornano il suo elmo nelle sue monete: la tradizione araba, desunta dal Corano, lo chiama ancora così, "il Bicorne". Morì inaspettatamente, d'una febbre subitanea, il 13 giugno del 323, a Babilonia. Aveva solo 33 anni.