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La sovversione arriva dal video

di Antonio Ruggieri - 26/02/2007





 

C'è un concorso in via di svolgimento che la dice lunga su com'è ridotto il sistema di rappresentanza democratica di questo Paese.

Si può votare con un Sms il politico “più simpatico” ospite della trasmissione televisiva di Pingitore che va in onda ogni settimana e che con un'operazione di cinico disvelamento è stata intitolata “E io pago”.

Allude alla grande e nobilissima tradizione dell'avanspettacolo ma ne dissipa la struttura e il fascino proprio nella trasposizione sul piccolo schermo.

Il pubblico di riferimento non è quello pagante (e nemmeno poco) del capitolino Salone Margherita nel quale è ambientato, ma l'altro virtuale, dello “share” al quale punta.

Chiamati da un presentatore che conduce la trama del programma, entrano a ripetizione imitatori dei politici più noti, intercalati da balletti con signorine vestite sommariamente.

I testi delle scenette sono accuratamente grossolani e non arrivano mai alla satira, mantenendosi nell'ambito di uno “sfottò” scurrile, servo e trasversale.

Il momento topico della trasmissione, quello che ridonda nelle altre reti amplificandone l'effetto promozionale, è l'incursione sul palcoscenico di due politici (uno di maggioranza e uno di opposizione rigorosamente), che si producono in attività affatto attinenti all'alta carica istituzionale che ricoprono.

Cantano, ballano, raccontano barzellette e arrivano a prendere addirittura torte in faccia ridanciani e accondiscendenti.

Nel “trailer” di questa settimana che promuove la trasmissione della prossima, ma che è stato naturalmente ripreso e rilanciato da “Blob” nell'esercizio quasi istituzionale della sua funzione, si esibiscono Gasparri e Vladimir Luxuria in un tango appassionato, in coppia (di fatto verrebbe da dire), rispettivamente con una girl e con un boy del corpo di ballo.

Siamo alla composizione nazional-popolare degli opposti estremismi; al cospetto di uno slittamento di piano dalla politica alla “turbopolitica” (direbbe Edoardo Novelli), che svilisce e mette a portata di mano (di qualsiasi mano) il potere e la sua rappresentazione.

La televisione diventa (è diventata) una sorta di camera di compensazione del parlamento, più accomodante e disponibile all'inciucio.

Dove le regole non sono più costituzionali e scritte, ma quelle scomposte e spregiudicate del divertimentificio.

E' come se l'infotainment avesse superato una sorta di “vanishing point” e percorresse in discesa, un itinerario rivolto al degrado, e senza ritorno.

Da Vespa al Bagaglino, nell'ambito della stessa scuola di pensiero, si compie un decisivo passo in questo senso.

Ed è qui che Berlusconi ha già vinto.

Senza proclami e punti programmatici; trasformando la lingua, la strategia e naturalmente il contenuto della politica.

E' a questo che si allude quando troppo acriticamente si parla del suo inarrivabile talento comunicativo.

Si è spostato il piano sul quale si colloca la questione fondamentale dell'organizzazione del consenso e Berlusconi è stato uno stratega e il principale beneficiario di questo rivoluzionario processo.

A capo degl'interessi di un “business party” che ha portato (non dimentichiamolo) Cesare Previti al dicastero della difesa nel ‘94, il suo consustanziale collegio di avvocati ma anche le soubrettes delle trasmissioni Mediaset più popolari in Parlamento, Berlusconi canta con Apicella e trasforma ogni sua esibizione pubblica in una sorta di televendita imbonitoria; sorrisi, lifting e barzellette comprese.

A questo volume di fuoco e inconsapevolmente sullo stesso piano, Fassino risponde incontrando compuntamente la sua tata, nel corso di una trasmissione della De Filippi.

Non c'è partita.

La sottovalutazione dell'avversario ne ha già decretato la vittoria, sostanziosa e post-ideologica.

Luxuria e Gasparri stanno a dimostrarlo in prima serata, impacciati e sorridenti nello stesso tempo.

Il potere s'è accompagnato da sempre con un'aura di sacralità.

Dai cortei di ricorrenza alle processioni religiose, una ritualità evocativa e cadenzata ha costituito il cerimoniale espressivo di chi rappresenta una comunità al livello più alto.

E' per questo banale ma plausibile motivo che a Montecitorio non si può entrare in maniche di camicia.

Fino ad ora.

Nell'epoca dell'”homo videns” soggiogato da una televisione “commerciale” che lo vende senza scrupoli al suo inserzionista pubblicitario, c'è da aspettarsi di tutto.

Anche che un rappresentante del popolo si mostri in mutande, se presagisce il vantaggio di popolarità che gliene può derivare.

Passata al tritacarne degli ascolti come tutte le "trasmissioni", la democrazia subisce la strategia di mercato di qualsiasi altro prodotto: non è importante che se ne parli bene o male, purché se ne parli; magari sghignazzando.