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Pappagalli a stelle e strisce

di Chiara Tamanini - 03/03/2007

 



 

Era il 2002 quando George W. Bush arringava il Paese alla guerra contro l'Iraq di Saddam Hussein. Oggi - nonostante ci sia in mezzo un gigantesco fallimento e la crisi della sua stessa leadership - linguaggio, toni e argomenti del Presidente sono gli stessi di quattro anni fa. Ma non sembra accorgersene nessuno…

Una menzogna ripetuta all'infinito diventa verità
Joseph Goebbels - Ministro della Propaganda del Terzo Reich

Il cielo è bellissimo sopra Baghdad

Il cielo è bellissimo sopra Baghdad. Il Presidente apre l'armadio, prende la cravatta, chiede a Cheney un consiglio sul colore, poi una specchiata. Lewis Libby corre agitato per la stanza, Kristol sistema il fiore nel taschino del Presidente. Rumsfeld gli passa un velo di cipria sul naso. E Wolfowitz suggerisce che magari è meglio sistemarsi un po'anche il ciuffo: ecco che ci pensa Richard Perle con un colpo di phon… Murdoch dice di sbrigarsi, altrimenti la luce cambierà direzione…

Il cielo di Baghdad inizia a tingersi di un verde brillante che rischiara la notte, e a risplendere di lampi di luce. E' il 20 marzo del 2003.

L'avventura irachena è iniziata davvero, adesso che i bambini corrono sotto i tavoli a cercare rifugio a quel frastuono, e adesso che i Grandi siedono intorno alla tavola ovale in cerca di qualcosa di buono per festeggiare…

Buonasera, oggi in Iraq le forze armate degli Stati Uniti sono impegnate in una lotta che determinerà la direzione della guerra globale al terrore e la nostra sicurezza …”

Di quello che ho appena raccontato non so bene quello che è vero e quello che non lo è, ma visto che oggi raccontare storie è lecito e possibile, forse la cosa non è così importante. In ogni caso, vi posso dire che una tra le cose che ho raccontato è “davvero” assolutamente falsa.

Che il cielo fosse bellissimo a Baghdad quella sera sono quasi certa. Che George W. fosse attorniato da un sacco di persone che gli ronzavano intorno come al solito, sono altrettanto sicura. Che il cielo abbia iniziato a cambiare colore in Iraq sono più che sicura. Sul fatto che i bambini avessero paura, poi, non ho davvero alcun dubbio.

Sono le parole che ho messo in bocca al Presidente a non corrispondere a verità, perché non sono quelle pronunciate quella sera, ma quelle pronunciate il 10 gennaio 2007, nel suo discorso alla Nazione. D'altronde, nel mio racconto quelle parole non stonano. Anzi, direi proprio che somigliano incredibilmente a quelle che Bush pronunciò quella sera di quattro anni fa. Parla di guerra al terrore e di sicurezza, il Presidente di oggi, proprio come quattro anni fa.

Quando, nonostante tutto, gli Stati Uniti, con la sterzata unilateralista che li svincolava per sempre dalle catene e dai lacci del diritto internazionale, decisero di muovere guerra all'Iraq di Saddam Hussein, George W. recitò così la sua parte: “ C ari concittadini, in questo momento, le forze americane e della coalizione stanno iniziando le operazioni militari per disarmare l'Iraq, liberare la popolazione e difendere il mondo da un grave pericolo 1 .

Parlava di armi di distruzione di massa allora, perché ancora le si cercava, di motivi umanitari e di pericoli incombenti, perché era di quello che si era nutrita la pancia delle ragioni e delle giustificazioni nei mesi precedenti e parlava, ovviamente, di difesa e sicurezza.

Anche la frase che ho citato all'inizio è del Presidente, ma di un Presidente uscito sconfitto dalle elezioni di midterm, di un Presidente ancora a capo di un'iniziativa nel frattempo rivelatasi travolgente e disastrosa. Era il 10 gennaio scorso, in diretta televisiva dalle stanze della biblioteca della Casa Bianca.

Ciò che sorprende è che il discorso alla Nazione di quel giorno, doveva contenere, nelle intenzioni di chi lo ho pronunciato, la niente meno che nuova strategia americana per l'Iraq:

“… La nuova strategia che spiegherò questa sera cambierà la linea dell'America e ci aiuterà a vincere la lotta contro il terrorismo 2 .

La “nuova” strategia è in realtà quella di aumentare le decimate truppe statunitensi sul territorio iracheno. Una conferma più che una novità: cambiamento.siamo ancora in guerra contro il terrorismo, e forse lo saremo per sempre…

Scorrendo per intero il testo del discorso di qualche settimana fa, ci si accorge di una sorprendente somiglianza con quelli pronunciati dai membri dell'Amministrazione Bush nei due anni che hanno preceduto la guerra all'Iraq: quasi nulla sembra mutato, nemmeno nella dialettica e nelle scelte linguistiche e argomentative di Bush e dei suoi

Certo, il Presidente di oggi ammette le proprie colpe: “ Dove sono stati commessi degli errori, la responsabilità è mia. E' chiaro che abbiamo bisogno di cambiare la nostra strategia …” 3 . Eppure, a quattro anni di distanza, sembra riproporre gli stessi argomenti.

Sono gli stessi di quando, spalleggiato dalla squadra degli ideologi che bisbigliavano nelle sue orecchie, pedalava affannosamente sulla macchina propagandistica che per più di due anni ha insistito nel rendere necessaria “questa” guerra nell'immaginario collettivo degli americani scampati all'11 settembre.

Passiamo dunque in rassegna alcuni degli argomenti e delle modalità espressive utilizzate dal “nuovo” Presidente, che in realtà già facevano parte dei suoi discorsi precedenti e di quelli del Vicepresidente Dick Cheney, dell'allora Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, del Sottosegretario alla Difesa Paul Wolfowitz.

Il “collegamento”

Nelle dichiarazioni ufficiali della Casa Bianca che costellano il periodo prebellico, moltissime volte è paventato un collegamento tra il Paese iracheno e la rete terroristica di al Qaeda. L'idea di un'alleanza e connivenza tra le due realtà accreditava così, oggi come allora, la tesi secondo cui bin Laden e Saddam Hussein rappresentavano i pezzi di un unico disegno, volto a distruggere gli Stati Uniti e i loro interessi nel mondo. Ciò rendeva la campagna contro Saddam il naturale proseguimento della guerra contro il terrorismo intrapresa il 12 settembre del 2001. Non c'era nemmeno spazio per eventualità e possibilità contrarie:

18 settembre 2002 L'Iraq ha relazioni e rapporti con al Qaeda , che è presente stabilmente sul territorio iracheno che ci siano dei legami, è assolutamente fuori questione

La stessa sicurezza di allora pare riproporsi oggi. Sembra addirittura che la questione sia ormai un dato di fatto, un'incontestabile verità:

10 gennaio 2007 Al Qaeda è ancora attiva in Iraq Un documento di al Qaeda che abbiamo intercettato descrive il piano dei terroristi… sarà un paese che lotta contro i terroristi, anziché offrire loro protezione 5 .

Spesso era inglobando la questione irachena nel quadro della lotta globale al terrorismo che le affermazioni suggerivano la connessione, laddove, nella mente di chi aveva subito gli attacchi al World Trade Center, il termine era inevitabilmente associato alla rete terroristica di Osama bin Laden, l'ufficiale grande accusata:

7 ottobre 2002 “Le cellule di terroristi e i regimi fuorilegge che costruiscono armi di distruzione di massa sono due facce distinte dello stesso male 6 .

10 gennaio 2007 Oggi, proprio come allora, “… la nuova strategia ci aiuterà a vincere la lotta contro il terrorismo … in Iraq le forze armate degli Stati Uniti sono impegnate in una lotta che determinerà la direzione della guerra globale al terrore ….” 7 .

Eppure, prima del conflitto del 2003, la CIA aveva dichiarato che Saddam Hussein sarebbe stato più pericoloso se deposto piuttosto che al potere: in caso di pericolo infatti, avrebbe potuto essere molto più propenso a stringere legami con il gruppo terroristico di quanto avrebbe fatto da capo del governo iracheno.

Nell'ottobre del 2002 il rapporto CIA National Intelligence Estimate , inoltre, aveva reso chiaro che la comunità di intelligence aveva seri dubbi sul fatto che l'Iraq potesse armare la rete di al Qaeda: il rapporto considerava infatti improbabile il fatto che Saddam avrebbe condiviso armi chimiche e biologiche con al Qaeda.

Secondo il documento, inoltre, “Saddam… potrebbe decidere che solo un'organizzazione come al Qaeda... potrebbe perpetuare il tipo di attacco terroristico che egli vorrebbe condurre”, ma “… per ora Baghdad avrebbe deciso di non condurre attacchi terroristici con armi convenzionali o chimiche e biologiche contro gli Stati Uniti, temendo che il coinvolgimento iracheno avrebbe potuto fornire a Washington una ragione ancora più forte per fare la guerra”.

Nell'ottobre del 2002 fu il direttore della CIA George Tenet a notare che, nonostante esistessero rapporti di intelligence relativi ai contatti tra le due realtà, “la nostra comprensione della relazione tra l'Iraq e al Qaeda è sviluppata e basata su risorse di varia affidabilità”

Secondo un articolo comparso sul New York Times nel dicembre del 2003, nove mesi dopo l'inizio del conflitto gli agenti dell'intelligence avrebbero inoltre affermato che “da quando le forze americane hanno rovesciato il governo di Saddam Hussein e gli Stati Uniti hanno ottenuto la collaborazione degli ufficiali iracheni catturati, e la documentazione irachena, la CIA non ha cambiato le considerazioni fatte in precedenza relativamente alla connessione tra Mr. Hussein e Osama bin Laden, il leader di al Qaeda”. Ma nessuno si è fermato.

Nel 2004 fu l'ex ispettore Unscom Scott Ritter a definire poi la presunta connessione tra le due realtà una faccenda assurda: “Saddam Hussein è un dittatore laico, ha passato gli ultimi trent'anni a dichiarare guerra al fondamentalismo islamico, facendolo a pezzi… Osama odia in modo particolare Saddam, lo chiama l'apostata, un'accusa che implica la pena di morte” .

Anche secondo un rapporto dei servizi segreti militari inglesi, gli obiettivi di bin Laden sarebbero stati ideologicamente in contrasto con quelli iracheni, in quanto espressione di tendenze diverse del mondo arabo-musulmano: Saddam era leader laico, modernizzatore, nazionalsocialista, con un'ideologia antagonista a quella di al Qaeda. Osama bin Laden è un fanatico capo religioso,fondamentalista islamico, antimodernizzatore, nemico dell'Occidente, una diversità di obiettivi e cultura che, nel febbraio del 2003, poco prima dell'attacco, conduce gli 007 inglesi a negare l'esistenza di legami tra Saddam e Bin Laden: sebbene in passato vi fossero stati contatti, non solo quel collegamento non sarebbe più esistito, ma Saddam e Osama resterebbero comunque divisi da ideologie incompatibili.

Fu infine David Kay dell' Iraq Survey Group che, testimoniando al Senate Armed Service Committee il 28 gennaio 2004 in merito al presunto collegamento intercorrente tra la realtà irachena e quella di al Qaeda, dichiarò: “…non c'è prova che io possa pensare o che conosca”.

La connessione tra il regime di Saddam Hussein e la rete terroristica di al Qaeda non era dimostrata prima dell'inizio delle ostilità e non fu confermata nemmeno in seguito. Ma nessuno ha sollevato (né pare intenzionato a farlo oggi) qualche dubbio sulla veridicità di tale elemento. Che continua così a giocare un ruolo fondamentale a quasi quattro anni dal primo tuono e dal primo lampo in quella notte dal cielo bellissimo di Baghdad.

Per Noi e… anche per Loro

Nonostante il sangue scorra a fiumi lungo le strade dell'Iraq e il Presidente si dica pentito, quella guerra, quella di oggi, di tutti contro tutti, nelle parole del mese scorso, sembra ancora un'incontestabile necessità:

10 gennaio 2007 “… la nostra causa in Iraq è nobile e necessaria … i nostri soldati hanno visto i loro compagni perdere la vita in nome della libertà ”. La guerra di oggi “… determinerà…la nostra sicurezza, qui a casa nostra ”.

Anche tutto questo sembra somigliare in maniera sorprendente a cose già dette e già sentite… Gli oratori del conflitto, infatti, erano soliti edulcorare spesso la guerra descrivendola come un'azione difensiva volta a preservare l'integrità valoriale (democrazia e libertà), nazionale e occidentale dalla minaccia rappresentata dal Male globale. Il diritto alla difesa dei propri valori e della propria sicurezza conferiva all'azione i toni della legittimità:

4 novembre 2002 “…non importa quanto ci vorrà per difendere la libertà , noi la difenderemo…Gli Stati Uniti d'America, con una grande forza militare e una forte alleanza per la libertà , lavoreranno sodo per proteggere la nostra nazione e per proteggere la nostra libertà ”.

In virtù poi della superiorità economica, militare, morale e valoriale che contraddistinguerebbe il Paese, rendendolo custode dell'unica via giusta e incarnazione del Bene, oltre al diritto di attivarsi per la salvaguardia di se stessa e dei suoi valori, all'America spettava anche il dovere morale di attivarsi per diffondere globalmente il proprio universalismo valoriale. L'America diveniva così l'agente di una provvidenziale impresa di civilizzazione.

Nell'azione del Paese erano insiti così, oggi come allora, propositi rivoluzionari finalizzati alla realizzazione dell'Impero del Bene, alla diffusione di valori destinati ad illuminare le terre e i popoli soggetti al giogo del Male:

19 febbraio 2003 “… sarà un atto di umanità nei confronti del popolo iracheno noi non parliamo di un' occupazione dell'Iraq . Parliamo invece della liberazione dell'Iraq ...”.

10 gennaio 2007 Nel 2007 tutto è ancora indiscutibilmente a favore degli iracheni: “… l'America cambierà la strategia per aiutare gli iracheni a portare avanti il loro compito, fermare la violenza settaria e garantire la sicurezza … Le nostre truppe avranno una missione ben definita: aiutare gli iracheni a ripulire e rinforzare i loro quartieri, a proteggere la popolazione locale… le nostre truppe stanno…proteggendo la popolazione locale ”.

L'insistenza operata dalla retorica governativa al fine di veicolare la percezione del carattere corretto, umanitario, nobile e legittimo della causa è questo e altro ancora. Lo si ritrova così, tale e quale, alcuni anni dopo. Dopo le perdite, le stragi, gli attacchi, dopo tutto questo, anche Dio è ancora “con noi”: “Andiamo avanti con la consapevolezza che l'Autore della Libertà ci guiderà in questi difficili momenti ”.

Abbiate Paura!

Nel gioco del consenso, alla roulette degli argomenti, la squadra governativa punta ancora oggi sulla paura, quella che già aveva avuto un gran successo nel favorire irrazionalità e creduloneria al momento di sferrare l'attacco all'Iraq di Saddam:

10 gennaio 2007 I nostri nemici avrebbero un paradiso sicuro da cui pianificare e lanciare attacchi contro gli americani. L'11 settembre del 2001 abbiamo visto che cosa può fare un rifugio per gli estremisti dall'altra parte del mondo nelle strade delle nostre città . Per la sicurezza del nostro popolo , l'America deve vincere in Iraq”.

Proprio come oggi, anche quattro anni fa si paventò la

possibilità di avvenimenti tragici:

26 agosto 2002 Non c'è dubbio sul fatto che colpiranno ancora e che stanno lavorando duramente per acquisire tutta la lista delle armi della morte”.

Spesso inoltre, l'Amministrazione USA, operando un confronto con la tragedia vissuta l'11 settembre, e richiamando le sensazioni popolari conseguenti all'attacco, descriveva possibili scenari futuri da incubo:

8 settembre 2002 “…ha utilizzato armi di distruzione di massa… E preferiremmo che non le usasse contro di noi… Tornando indietro all'11 settembre, abbiamo perso tremila uomini, donne e bambini innocenti… se pensate che questo sia il problema, immaginate un 11 settembre con armi di distruzione di massa. Non tremila, ma decine di migliaia di uomini, donne e bambini innocenti ”.

Profezie catastrofiche, scenari apocalittici, avvertimenti di altre stragi in agguato, dichiarazioni audaci e allarmanti, immagini a forte impatto emotivo. Erano questi i veicoli della diffusione di un clima di allarmismo che, mediante l'eccitazione del senso di vulnerabilità popolare, investiva i cittadini americani. L'allarmismo, agendo sul senso popolare di limite, di precarietà, di insicurezza e di paura, sembrava così trasformare “ cittadini attivi in spettatori sgomenti ”.

In maniera meno evidente, sono queste le modalità che si ritrovano oggi nelle parole di chi intende ancora sostenere la necessità di un conflitto sfuggito di mano. Abbiate paura: l'Iraq stremato e disperato di oggi può sempre attaccarci!

10 gennaio 2007 “… un messaggio è arrivato forte e chiaro: una sconfitta in Iraq significherebbe un disastro per gli Stati Uniti … ciò avvicinerebbe al Qaeda al suo scopo di abbattere la democrazia irachena, costruire un impero islamico radicale e lanciare nuovi attacchi contro gli Stati Uniti, sia sul territorio nazionale sia all'estero i nostri nemici faranno di tutto per riempire i nostri schermi TV di immagini di morte e sofferenza ”.

Bene e Male

Nel 2007 c'è nelle parole del Presidente un tipo di narrazione dualistica, che pare adoperarsi per contrapporre i due poli della lotta odierna, enfatizzandone la distanza:

10 gennaio 2007 “La sfida in atto nel grande medio oriente è ben più di un semplice conflitto armato. E' una battaglia ideologica d'importanza epocale. Da un lato, sono schierati coloro che credono nella libertà e nella moderazione. Dall'altro, sono schierati gli estremisti che uccidono gli innocenti e hanno dichiarato la loro intenzione di distruggere il nostro stile di vita …”.

Anche nei giorni che precedevano la guerra questa modalità espressiva era tra le preferite degli oratori del conflitto: da una parte infatti erano spesso schierate la civiltà, positività e giustizia connesse al fronte americano e occidentale, dall'altra la barbara inciviltà, negatività, indiscutibile ingiustizia, malvagità e peccaminosità connesse al fronte antagonista, contenitore di avversari resi mostruosi. Era ed è una tipica visione bianco/nero che diluisce i significati, che semplifica l'interpretazione, che spiega il mondo nei termini semplicistici del bipolarismo, che caratterizza le forze in gioco come monoliti privi di sfumature.

11 marzo 2002 “… la nostra determinazione è solo crescente, perché ricordiamo. Ricordiamo l'orrore e l'eroismo di quella mattina, la morte dei bambini in gita scolastica, la resistenza dei passeggeri su un aereo condannato, il coraggio dei soccorritori che morirono con coloro che cercavano di salvare. E ricordiamo le immagini del video dei terroristi che risero della nostra perdita ”.

Alla contrapposizione finemente operata da quella retorica contribuiva la “mostrificazione” degli avversari, dove la descrizione dell'indole e delle condotte attribuite loro veicolava rappresentazioni malvagie:

10 febbraio 2003 Saddam Hussein considera gli iracheni scudi umani da sacrificare interamente quando la loro sofferenza serve ai suoi scopi… L'America considera gli iracheni esseri umani che hanno già sofferto troppo sotto questo tiranno”.

Tolto il cappio al collo ancora caldo del dittatore, il mondo è ancora popolato di mostri:

10 gennaio 2007 “… i terroristi e i ribelli in Iraq sono persone senza coscienza , tingeranno di rosso e violenza l'anno che ci sta davanti …”.

Abbiate Fede!

Alla roulette della persuasione la “squadra” di Bush decideva spesso di scommettere anche sulle capacità realizzative del “sistema”, rappresentato dalla forza militare dell'America e della sua coalizione.

19 febbraio 2003 “Ho un altro messaggio, e questo è rivolto a Baghdad. Vinceremo… Su questo, non c'è ombra di dubbio... Se dovremo utilizzare la forza, Saddam Hussein sarà spacciato , ed è bene che lo sappia. Penso che lo sappiano anche le forze armate irachene. Così, il risultato è sicuro, in qualunque caso

Tali affermazioni assumevano le vesti di un'americana dichiarazione di superiorità e forza dalla quale discendevano le evocate immagini di vittoria.

Oggi il governo americano è immerso nel pantano iracheno fino alle ginocchia, ma ciò non lo priva certo della sicurezza di un tempo:

10 gennaio 2007 Questa volta, avremo la forza di cui abbiamo bisogno per tenere sotto controllo le aree che abbiamo ripulito… fra qualche tempo, possiamo aspettarci di vedere truppe irachene inseguire assassini, un minor numero di attacchi terroristici a sangue freddo e maggiore fiducia e cooperazione da parte dei cittadini di Baghdad …. Il punto è se la nostra nuova strategia ci porterà più vicini al successo. Io penso di sì Noi possiamo vincere. E ce la faremo ”.

Argomenti e tecniche linguistiche già sperimentate sembrano così tornare come fossero formule magiche. I maghi di allora ci offrono le stesse pozioni, le stesse allettanti confezioni di prodotti fasulli.

Per gli strateghi comunicativi della Casa Bianca, nel gioco politico del consenso, la dimensione popolare sembra davvero poter essere abilmente condotta e persuasa tramite la diffusione e la ripetizione di informazioni non verificate o attraverso la possibilità politica di impressionarla e di agire nel quadro e nell'ambito della sua dimensione emotiva. Ancora oggi.

Al termine di questa breve rassegna, ci rendiamo conto che nei discorsi del presente dell'Amministrazione Bush quasi nulla è cambiato rispetto a quelli del passato. Forse per una questione di immagine, forse a causa di una profonda irrazionale convinzione nella superiorità delle proprie idee e valori, forse per non aver pensato ad altro. Certo per una scarsissima considerazione del proprio pubblico.

Anche se il sangue non è mai riuscito a seccarsi al sole rovente di Baghdad, nulla è cambiato nella strategia degli Stati Uniti dell'Amministrazione Bush.

Ne partiranno altri: “ Ho impegnato ventimila soldati in più per l'Iraq …”.

Ne racconteranno ancora. Sempre uguali.

da Cronache trentine