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ll gruppo di predominio globale e i grandi media*

di Peter Phillips, Bridget Thornton, Lew Brown e Andrew Sloan - 07/03/2007

 

La classe dominante negli Stati Uniti è ora guidata da un gruppo neo-conservatore di individui che hanno il comune obiettivo di voler affermare in maniera aggressiva il potere militare statunitense in tutto il mondo. In questo capitolo si identificheranno i personaggi chiave che sostengono un programma politico di dominio globale e si esaminerà il modo in cui questo gruppo è strettamente interconnesso a e supportato dai mezzi di comunicazione in mano alle grandi società statunitensi. Vedremo anche in che modo chi fa notizia sia diventato affiliato alle società di pubbliche relazioni che ritoccano le notizie a proprio uso e consumo, e come i media di proprietà dei grandi gruppi accettino acriticamente questa nuova forma di censura americana. Verificheremo con attenzione chi ha tratto beneficio dall'11 settembre 2001 e determineremo in che modo Bush, Cheney e Rumsfeld, insieme a partnership in cui si intrecciano pubblico e privato, grandi gruppi mediatici, fondazioni private, contractor militari, élite politiche e funzionari governativi, sostengano congiuntamente un programma politico di predominio militare globale da parte degli Stati Uniti.

Un lungo filo fatto di ricerche e indagini sociologiche documenta l'esistenza di una classe dominante, la quale stabilisce le linee politiche e determina le priorità per la politica americana nazionale ed estera. La classe che governa gli Stati Uniti è complessa e molto competitiva al suo interno, e riesce ad auto-alimentarsi attraverso famiglie di elevata condizione sociale che interagiscono tra loro e condividono stili di vita, affiliazioni alla grande impresa e l'appartenenza a club sociali e scuole private d'élite. Questa classe dominante americana perpetua se stessa in maniera autonoma, conservando la sua influenza attraverso istituzioni che creano tendenze politiche come la National Manufacturing Association, la National Chamber of Commerce, il Business Council, il Business Roundtable, il Conference Board, l'American Enterprise Institute, il Council on Foreign Relations e altri gruppi politici incentrati sull'impresa.

C. Wright Mills, nel suo libro del 1956 L'élite del potere, documenta in che modo la Seconda Guerra Mondiale abbia consolidato una trinità al potere negli Stati Uniti, trinità costituita da élite aziendali, militari e governative in una struttura centralizzata e tenuta insieme da interessi di classe, che lavora in perfetta armonia attraverso le "sfere più elevate" fatte di contatti e intese. Mills ha descritto come l'élite al potere sia costituita da coloro "che decidono qualunque cosa della massima importanza venga decisa".

LE FONDAMENTA DEL GLOBAL DOMINANCE GROUP (GDG), L'ÉLITE A FAVORE DEL DOMINIO GLOBALE

A Leo Strauss, Albert Wohlstetter e ad altri del Committee on Social Thought dell'Università di Chicago va attribuito il grande merito di aver promosso il programma neo-conservatore attraverso i loro studenti Paul Wolfowitz e Allan Bloom, e tramite uno studente di quest'ultimo, Richard Perle.

La rivista culturale canadese Adbusters così definisce il neo-conservatorismo: "il ritenere che la democrazia, per quanto imperfetta, possa essere difesa al meglio da un pubblico ignorante pompato a dovere su nazionalismo e religione. Solo uno stato aggressivamente nazionalista potrebbe fare da deterrente all'aggressività umana [.]. Un tale nazionalismo richiede una minaccia esterna e, se tale minaccia è impossibile da trovare, allora deve essere appositamente fabbricata".

La filosofia neo-conservatrice emerse come reazione all'era delle rivoluzioni sociali degli anni '60. Numerosi funzionari e personaggi legati alle presidenze di Reagan e George W. Bush senior furono fortemente influenzati dalla filosofia neoconservatrice, tra i quali: John Ashcroft, Charles Fairbanks, Richard Cheney, Kenneth Adelman, Elliot Abrams, William Kristol e Douglas Feith.

All'interno dell'Amministrazione Ford si instaurò una divisione tra i tradizionalisti della guerra fredda che, utilizzando la diplomazia e la distensione, cercavano di minimizzare gli scontri aperti, e i neo-conservatori, che sostenevano invece il ricorso a confronti più aspri con l'"impero del male" sovietico. Quest'ultimo gruppo si arroccò ancora di più sulle sue posizioni quando George H. W. Bush, padre dell'attuale Presidente, diventò direttore della CIA. Bush permise la formazione del "Team B", guidato da Richard Pipes insieme a Paul Wolfowitz, Lewis Libby, Paul Nitze e altri, che costituirono il Committee on Present Ranger (Consiglio sul pericolo presente, NdT) per destare maggiore consapevolezza riguardo alla minaccia sovietica e alla necessità continua di una forte e aggressiva politica di difesa. I loro sforzi portarono a delle energiche prese di posizione antisovietiche negli anni dell'Amministrazione Reagan.

Il giornalista John Pilger ricorda la sua intervista al neo-conservatore Richard Perle realizzata in piena era reaganiana: "Intervistai Perle nel periodo in cui era consigliere di Reagan, e quando parlò di 'guerra totale', lo liquidai erroneamente come pazzo. Ha usato  recentemente la stessa espressione nel descrivere la 'guerra al terrore' dell'America. 'Nessuna fase', disse. 'Questa è una guerra totale. Stiamo combattendo un gran numero di nemici, ce ne sono moltissimi là fuori. Tutto questo parlare a proposito di cosa andremo a fare prima in Afghanistan, poi faremo in Iraq [.] questa è assolutamente la maniera sbagliata di affrontare la cosa. Se lasciamo  semplicemente che sia la nostra visione del mondo a precederci, e la abbracciamo interamente e non cerchiamo di mettere insieme una diplomazia intelligente, ma dichiariamo semplicemente una guerra totale [.] i nostri figli canteranno grandi canzoni su di noi negli anni a venire'".

L'elezione a Presidente di Bush padre nel 1988 e la nomina di Cheney a Segretario della Difesa estesero la presenza dei neo-conservatori all'interno del governo, e la caduta del muro di Berlino nel 1989 aprì la strada all'iniziazione formale di una politica di dominio globale. Nel 1992, Cheney appoggiò Lewis Libby e Paul Wolfowitz nella stesura del rapporto Defense Planning Guidance (Guida alla pianificazione della difesa), in cui si auspicava il dominio militare statunitense in tutto il mondo, all'insegna di un "nuovo ordine". Nel documento si esortavano gli Stati Uniti a impedire a qualsiasi nuovo rivale di insorgere per sfidarci. Servendosi di espressioni come "azione unilaterale" e "presenza avanzata" militare, nel rapporto si auspicava che gli Usa dominassero allo stesso modo amici e avversari. Si giungeva alla conclusione che gli Stati Uniti potessero raggiungere questa posizione rendendosi "assolutamente potenti". Questa Guida per la politica della difesa, trapelata alla stampa, fu bersaglio di aspre critiche provenienti da varie parti.

L'11 marzo 1992 il New York Times riferì: "Funzionari di alto livello della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato hanno duramente criticato una bozza di direttiva politica del Pentagono, nella quale si asserisce che la missione dell'America nell'era post-guerra fredda sarà quella di impedire a qualsiasi gruppo di nazioni amiche od ostili di competere con gli Stati Uniti per ottenere lo status di superpotenza".

Un funzionario dell'Amministrazione, che sapeva quali erano state le reazioni del personale di più alto grado della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato, descrisse il documento come un 'rapporto insulso' che 'non rappresentava né contribuiva a formare in alcun modo la linea politica statunitense'". Il senatore Robert C. Byrd, democratico della West Virginia, definì la bozza del documento del Pentagono "miope, superficiale e ingannevole". Molte persone appartenenti alle più alte sfere della politica governativa non erano pronte per un programma di dominio globale unilaterale. Con l'elezione di Bill Clinton nel 1992, gran parte dei neo-conservatori fu tagliata fuori dalle stanze del potere.

Entrambi i partiti politici collaborarono, incoraggiando il Congresso a proteggere gli interessi Usa all'estero e i profitti della grande impresa in patria. Per mantenere i guadagni degli appaltatori della difesa, il Defense Science Board (Consiglio scientifico per la Difesa presso il Pentagono) di Clinton invocò un'industria della difesa globalizzata, ottenuta attraverso fusioni di appalti della difesa con compagnie transnazionali che sarebbero diventate partner per garantire la prontezza militare statunitense.

In generale, l'Amministrazione Clinton preferì tenersi alla larga da una politica di promozione del predominio globale come giustificazione ideologica per il mantenimento delle alte spese militari. Per controbilanciare invece la diminuzione dei profitti per gli appalti alla difesa riscontrata dopo la caduta del muro di Berlino, l'Amministrazione Clinton promosse aggressivamente la vendita internazionale di armi, elevando la percentuale di esportazione mondiale dal 16% del 1988 al 63% raggiunto nel 1997.

Esterni all'Amministrazione Clinton, i neo-conservatori continuarono a promuovere un programma politico di predominio globale. Il 4 giugno 1994, circa 2.000 gruppi élitari di livello locale e nazionale parteciparono a una "conversazione sul lago" dei neo-conservatori organizzata all'esclusivo ritrovo estivo del San Francisco Bohemian Club. Un professore di Scienze politiche dell'Università di Berkeley presentò la conferenza, intitolata Debolezza violenta. Il relatore affermò che l'aumento della violenza nella nostra società stava indebolendo le istituzioni sociali. A contribuire a tale violenza e "decadimento" delle nostre istituzioni, disse, c'erano la bisessualità, la politica dell'intrattenimento, il multiculturalismo, l'afrocentrismo e una perdita dei confini familiari. Il professore dichiarò che per scongiurare un ulteriore "deterioramento" era necessario riconoscere che "le élite, grazie ai propri meriti e abilità, sono importanti per la società, e qualsiasi élite che non riesce a definire se stessa non riuscirà a sopravvivere [.] Abbiamo bisogno di limiti e valori ben definiti e chiari! Abbiamo bisogno di una politica estera incentrata sull'America [.] e di un presidente che comprenda la politica estera".

Proseguì arrivando alla conclusione che non possiamo permettere alle masse "non qualificate" di portare avanti la politica, ma sono le élite a dover stabilire i valori che possono essere tradotti in "standard di autorità". Il discorso fu salutato da un'entusiastica standing ovation.

Come precedente detto, anche durante l'Amministrazione Clinton i neo-conservatori continuarono ad agire per promuovere il predominio militare globale.

Molti di essi e dei loro alleati trovarono poi incarichi presso istituti di consulenza conservatori e con gli appaltatori del Dipartimento della Difesa. Continuarono a mantenere stretti contatti d'affiliazione reciproca tramite l'Heritage Foundation, l'American Enterprise Institute, l'Hoover Institute, il Jewish Institute for National Security Affairs, il Center for Security Policy e numerose altre organizzazioni politiche conservatrici. Gli esponenti delle élite politiche favorevoli a un "nuovo ordine mondiale" guidato dagli Stati Uniti, insieme ai più intransigenti collaboratori di Reagan e Bush ed ad altri sostenitori dell'espansionismo militare, fondarono il Project for the New American Century (PNAC; Progetto per il nuovo secolo americano) nel giugno del 1997. Nella loro dichiarazione d'intenti venivano così asseriti i loro obiettivi:

"È necessario aumentare le spese per la difesa in maniera significativa, se dobbiamo attuare le nostre responsabilità globali oggi e modernizzare le nostre forze armate per il futuro. È necessario rafforzare i nostri legami con gli alleati democratici e sfidare i regimi ostili ai nostri interessi e valori. È necessario promuovere la libertà politica ed economica all'estero. È necessario accettare la responsabilità del ruolo unico che ha l'America nel conservare ed estendere un ordine internazionale favorevole alla nostra sicurezza, alla nostra prosperità e ai nostri principi. Una tale politica reaganiana che propugna forza militare e chiarezza morale potrebbe non essere di moda oggi, ma è necessaria per gli Stati Uniti, se vogliono costruire sui successi dello scorso secolo e assicurare la propria sicurezza e grandezza nel secolo che verrà".

Tra i firmatari della dichiarazione vi sono: Elliot Abrams, Gary Bauer, William J. Bennet, Jeb Bush, Richard Cheney, Eliot A. Cohen, Midge Decter, Paula Dobriansky, Steve Forbes, Aaron Friedberg, Francis Fukuyama, Frank Gaffney, Fred C. Ikle, Donald Kagan, Zalmay Khalilzad, I. Lewis Libby, Norman Podhoretz, Dan Quayle, Peter W. Rodman, Stephen P. Rosen, Henry S. Rowen, Donald Rumsfeld, Vin Weber, George Weigel e Paul Wolfowitz. Tra i venticinque fondatori del PNAC, dodici hanno ricevuto incarichi di alto livello da George W. Bush nella sua Amministrazione.

Fin dalla sua fondazione, il PNAC ha attirato numerosi altri sostenitori che hanno firmato documenti di natura politica o hanno preso parte alle attività dell'associazione.

Otto dei suoi membri interni sono legati al contractor numero uno della difesa, il colosso Lockheed Martin, mentre sette altri sono connessi al numero tre, Northrop Grumman. Il PNAC è una delle numerose istituzioni che uniscono i neoconservatori del dominio globale ai grandi appaltatori militari statunitensi.

Nel settembre 2000, il PNAC elaborò un rapporto di settantasei pagine intitolato Ricostruire le difese dell'America: strategie, forze e risorse per un nuovo secolo. Il documento era simile al "Defense Planning Guidance" scritto da Lewis Libby e Paul Wolfowitz nel 1992.

La cosa non sorprende, dato che i due parteciparono alla stesura del rapporto PNAC del 2000. Anche Steven Cambone, Doc Zarkehim, Mark Lagan e David Epstein furono notevolmente coinvolti nel progetto. Ognuno di questi individui sarebbe poi andato a ricoprire incarichi di alto livello nell'Amministrazione di George W. Bush.

In Ricostruire le difese dell'America si rivendicava la protezione della patria, l'abilità di aprire simultaneamente vari fronti di guerra, di avere un ruolo di polizia globale e controllare spazio e ciberspazio. Si dichiarava che gli anni '90 erano stati un decennio in cui la difesa era stata trascurata e che gli Stati Uniti avrebbero dovuto aumentare le spese militari, per conservare la leadership geopolitica americana in quanto unica superpotenza mondiale. Nel rapporto si affermava che, allo scopo di preservare una Pax Americana, potenziali rivali quali Cina, Iran, Iraq e Corea del Nord dovevano necessariamente essere tenuti a bada. Nel documento si sottolineava anche che "il processo di trasformazione [.] [sarebbe stato] probabilmente lungo, in mancanza di un qualche evento catastrofico e catalizzante come una nuova Pearl Harbor". Gli eventi dell'11 settembre 2001 furono esattamente il tipo di catastrofe di cui gli autori di Ricostruire le difese  dell'America avevano bisogno per accelerare lo sviluppo di un programma di dominio globale.

Prima dell'11 settembre, i membri del Congresso e le élite più liberali, che continuavano a mantenersi all'interno di un quadro di politica estera di distensione, tradizionalmente sostenuta dal prestigioso istituto Council of Foreign Relations e dal Dipartimento di Stato, contestavano le politiche di dominio strategico globale.

L'11 settembre sconvolse così tanto le élite liberal-moderate da spingerle a garantire immediatamente pieno sostegno al Patriot Act, all'Homeland Security e alla legislazione per appoggiare l'azione militare in Afghanistan e, in seguito, in Iraq. La conseguente guerra permanente al terrore ha portato a massicce spese governative, un enorme deficit (dovuto in parte anche ai tagli fiscali effettuati da Bush) e alla rapida progressione dei piani delle élite neo-conservatrici per il controllo militare del mondo.

LE ORGANIZZAZIONI A SOSTEGNO DEL DOMINIO GLOBALE

I principali gruppi che nello scorso decennio si sono fatti promotori della dottrina del dominio globale comprendono: Project for the New American Century (PNAC), Hoover Institute (HI), American Enterprise Institute (AEI), Hudson Institute (HI), National Security Council (NSC), Heritage Foundation (HF), Defense Policy Board (DPB), Committee on Present Danger (CPD), Jewish Institute of National Security Affairs (JINSA), Manhattan Institute (MI), Committee for the Liberation of Iraq (CLI), Center for Security Policy: Institute for Strategic Studies (CSP), Center for Strategic and International Studies (CSIS), National Institute for Public Policy (NIPP) e l'American Israel Public Affairs Committee (AIPAC).

Gli elementi centrali di ciascuno di questi gruppi, in collaborazione con i principali contractor della difesa, hanno incoraggiato e sostenuto l'espansione militare statunitense, una potente presenza Usa nel mondo e il contenimento degli avversari, piuttosto che una politica di distensione o dialogo diplomatico. Ecco gli esempi principali, di un programma d'azione neo-conservatore, citati nelle notizie riportate dai media mainstream.

L'Associated Press riferì una dichiarazione di Condoleezza Rice del 17 dicembre 2000: "In quanto superpotenza guida del mondo, gli Stati Uniti hanno responsabilità speciali. Mi piace pensare a un grande treno che scorre lungo il suo binario, e ci sono mercati e competizione per i capitali privati", disse la Rice.

"Chiaramente, gli Stati Uniti sono, per così dire, al posto di guida. Con questa posizione di leadership ci si assume anche la responsabilità di mantenere la pace", affermò la Rice, suggerendo quindi che le politiche militari dell'Amministrazione Clinton non fossero l'ideale. "Chiaramente, è necessario riequilibrare le missioni militari americane e delle risorse militari dell'America", disse, insistendo sul fatto di voler tenere le armi di distruzione di massa fuori dalla portata di paesi come Iraq e Corea del Nord.

Tom Donnelly dell'American Enterprise e del PNAC, citato nel Washington Post del 27 novembre 2005: "La riorganizzazione del Pentagono in Asia e il viaggio del Presidente implicano che l'Amministrazione può essere piuttosto realistica riguardo a ciò che significa realmente l'ascesa della Cina. Possiamo starne certi, la competizione già in corso con Pechino è chiave: l'America ha un interesse vitale nel sostenere la sua posizione di garante della sicurezza dell'Asia. La sua leadership ha portato pace e prosperità nella regione. Eppure c'è molto di più in gioco. La Cina è un attore sempre più importante in Medio Oriente e, in realtà, a livello globale. In definitiva, se la dottrina Bush non verrà applicata con successo all'Asia orientale, e la Cina potrà esportare il suo cattivo comportamento in Medio Oriente, la strategia di promozione della democrazia fallirà anche lì".

Richard Perle, dell'American Enterprise Institute, del PNAC e del Committee to Liberate Iraq, nonché ex vicesegretario alla Difesa, intervenne alla National Public Radio il 20 giugno 2000, dichiarando: "Credo che quando gli altri avranno elaborato tutto questo, sarà riconosciuto che l'abilità degli Stati Uniti di difendere se stessi sia un elemento stabilizzante per la nostra sicurezza e che, a seconda di quali siano le situazioni che ci possono riguardare, può essere stabilizzante per altri. Per esempio, immaginate che abbiamo - dal momento che io credo siamo tecnologicamente capaci di produrlo - un sistema di difesa con missili balistici collocati su navi. E immaginate che ci sia un violento incremento della tensione nel subcontinente asiatico, nella disputa tra India e Pakistan. Immaginate che un presidente americano potesse dire: 'Sto inviando un incrociatore Aegis con un sistema di difesa con missili balistici, e intercetteremo il primo missile esploso da una qualunque delle parti in causa in questo conflitto'. Sarebbe una cosa negativa per gli indiani o per i pakistani? Ame sembra che potrebbe molto verosimilmente portare stabilità in una situazione molto pericolosa".

Il 18 ottobre 2005 Peter Brooks dichiarò in un'intervista alla NPR: "I leader cinesi ritengono che se la crescita economica progredirà celermente, la Cina potrà superare 150 anni di umiliazioni inflittele dalle potenze straniere, tornando alla sua passata gloria di Regno di mezzo, [.] e questa crescita economica le permetterà di essere in grado di sfidare le nazioni più potenti del mondo, compresi gli Stati Uniti".

In ognuno dei casi appena menzionati, si nota una comune presunzione di fondo, e cioè che gli Usa siano la potenza globale dominante e che gli avversari (Cina, Iraq e Iran) debbano necessariamente essere contenuti attraverso un aumento delle spese militari e delle politiche statunitensi particolarmente dure.

Collettivamente, queste quindici organizzazioni che sostengono la dottrina del dominio globale, in collaborazione con i principali contractor militari, stringono in una morsa di controllo l'esercito e la politica estera Usa all'interno dell'attuale Amministrazione e rappresentano un potere nascente nelle tradizionali élite delle massime sfere politiche degli Stati Uniti.

CHI TRAE PROFITTO DALLE POLITICHE DI DOMINIO GLOBALE?

La Lockheed Martin ha beneficiato in maniera significativa dall'espansione militare post-11 settembre promossa dai fautori del dominio globale. Il budget del Pentagono destinato all'acquisto di nuove armi è passato dai 61 miliardi di dollari del 2001 agli oltre 80 miliardi del 2004. Le vendite della Lockheed Martin sono aumentate di più del 30% nello stesso periodo, con decine di miliardi di dollari sui registri contabili per futuri acquisti. Dal 2000 al 2004, il valore azionario della Lockheed aumentò del 30%.

Il giornalista del New York Times Tim Weiner scrisse nel 2004: "Nessun contractor si trova in una posizione migliore della Lockheed Martin per fare affari a Washington. Quasi l'80% delle sue entrate proviene da fondi del governo statunitense.

Gran parte dei restanti profitti deriva da vendite militari, molte delle quali finanziate con i soldi delle tasse".

Alla data di agosto 2005, gli azionisti della Lockheed Martin avevano guadagnato il 18% dai loro titoli nei dodici mesi precedenti. La Northrup Grumann aveva beneficiato di una crescita simile nei tre anni precedenti, con contratti stipulati con il Dipartimento della Difesa che passarono dai 3,2 miliardi di dollari del 2001 agli 11,1 miliardi del 2004.

La Halliburton, il cui ex CEO è l'attuale vicepresidente Richard Cheney, ha goduto di una crescita fenomenale dal 2001 a oggi. La Halliburton ha ottenuto contratti con la difesa per un totale di 427 milioni di dollari nel 2001; nel 2003 è riuscita ad avere 4,3 miliardi di dollari in contratti, quasi un terzo di questi era costituito da esclusive. Cheney, non casualmente, continua a ricevere un salario differito dalla Halliburton. Secondo i rendiconti ufficiali, la società pagò a Cheney 205.298 dollari nel 2001, 162.392 dollari nel 2002, 178.437 dollari nel 2003 e 194.852 dollari nel 2004; le sue 433.333 stock option della Halliburton aumentarono di valore, passando dai 241.498 dollari del 2004 agli 8 milioni di dollari del 2005.

Il Carlyle Group, fondato nel 1987, è una società privata d'investimento globale che gestisce circa 30 miliardi di dollari in attività finanziarie. Numerosi membri di alto livello del Global Dominance Group sono stati coinvolti nel Carlyle Group, tra cui Frank Carlucci, George H. W. Bush, James Baker III, William Kennard e Richard Darman. Il Carlyle Group acquistò la United Defense nel 1997. Vendette  poi le sue azioni della compagnia dopo l'11 settembre, guadagnando un miliardo di dollari. Il Carlyle continua a investire in appalti per la difesa e si sta movendo nel settore della sicurezza nazionale.

I profitti per gli appalti della difesa sono stati estremamente elevati, tanto che secondo quanto riferito dal New York Times nel marzo del 2005 qualcosa come 20-30 miliardi di dollari sono stati depositati nei forzieri dei principali contractor militari, in conseguenza degli stanziamenti record del Pentagono e delle corpose spese governative in fatto di sicurezza interna. Il New York Times riferì che la Boeing aveva a disposizione 6,5 miliardi di dollari in contanti.

PARTNERSHIP PUBBLICO-PRIVATE: I MEDIA E IL GLOBAL DOMINANCE GROUP

Un programma politico di dominio globale prevede anche l'infiltrazione negli uffici dirigenziali delle grandi società di comunicazione degli Stati Uniti.

Un'équipe di ricerca della Sonoma State University ha recentemente terminato uno studio sui consigli d'Amministrazione delle prime dieci società medianiche statunitensi. Il gruppo ha determinato che i principali rappresentanti dei consigli d'Amministrazione dei dieci giganti della comunicazione sono in tutto 118. Questi 118 individui a loro volta sono membri dei consigli di 288 corporation nazionali e internazionali. Quattro delle maggiori imprese mediatiche degli Stati Uniti hanno nei loro consigli d'Amministrazione contractor legati al Global Dominance Group e al Pentagono, tra cui:

William Kennard: New York Times, Carlyle Group
Douglas Warner III, GE (NBC), Bechtel
John Bryson: Disney (ABC), Boeing
Alwyn Lewis: Disney (ABC), Halliburton
Douglas McCorkindale: Gannett, Lockheed Martin

Considerato quanto sia strettamente interconnessa la rete della comunicazione, si può dire che i media negli Stati Uniti rappresentino effettivamente gli interessi dell'America della grande impresa. L'élite mediatica, una componente chiave delle élite politiche negli Usa, deve difendere i messaggi ideologicamente accettabili, il contenuto mediatico e informativo, ed è responsabile delle decisioni che riguardano le risorse dei mezzi di comunicazione. Le élite mediatiche sono soggette alle stesse pressioni dei responsabili della politica nelle più alte sfere del potere e, pertanto, ugualmente influenzabili da una risposta reazionaria alla nostra più recente Pearl Harbor e alle continue minacce di terrorismo.

Di conseguenza, le grandi corporation mediatiche negli Stati Uniti hanno mostrato una sempre maggiore dipendenza dai portavoce delle élite neo-conservatrici come fonti affidabili di notizie. Di seguito sono elencati i risultati comparati dei contatti avvenuti tra i media mainstream e alcuni tra i principali istituti di consulenza nel 2000 e 2005:

AEI: American Enterprise Institute§
New York Times
2000: 55; 2005: 99 - aumento dell'80%
Washington Post
2000: 87; 2005: 157 - aumento dell'80,4%
Trascrizioni
2000: 137; 2005: 148 - aumento dell'8%

CSIS: Center for Strategic and International Studies
New York Times
2000: 25; 2005: 61 - aumento del 44%
Washington Post
2000: 54; 2005: 81 - aumento del 50%
Trascrizioni
2000: 46; 2005: 98 - aumento del 113%
Trascrizioni rappresentate: ABC News, CBS News, CNN, National Public Radio e NBC News.

I programmi d'informazione di MSNBC, Fox e CNN sono strettamente collegati a varie fonti governative e d'impresa che forniscono loro informazioni. Riuscire a mantenere per molto tempo numerosi programmi d'informazione richiede che vengano costantemente forniti intrattenimento e notizie stimolanti, inframmezzati da ultimissime d'attualità. È la reclamizzazione del consumo di massa a guidare il sistema, e le fonti preconfezionate di informazioni sono vitali all'interno di questo processo mediatico globale. Il regime dettato dagli indici d'ascolto impone che vi sia una collaborazione continua con fonti multiple per previsioni del tempo sempre aggiornate, racconti di guerra, risultati sportivi, notizie d'affari e titoli locali. Anche l'informazione di stampa, radio e televisione locale è impegnata in questo interscambio costante con fonti informative.

Il doversi preparare a guerre e azioni anti-terrorismo senza fine si addice perfettamente al caleidoscopio visivo delle notizie pianificate in anticipo. Gli specialisti in pubbliche relazioni del governo e gli esperti mediatici al servizio di interessi privati alimentano con notizie costanti i sistemi di distribuzione dei media nazionali. Il risultato è un'emergente relazione simbiotica tra i dispensatori di notizie e i fornitori di notizie. Esempi di questo rapporto sono le équipe della stampa organizzate dal Pentagono, sia in Medio Oriente sia a Washington D.C., le quali consegnano rapporti preprogrammati sulle operazioni in Iraq a gruppi selezionati di raccoglitori di notizie (giornalisti) affinché le distribuiscano tramite le singole organizzazioni mediatiche di appartenenza.

I reporter embedded, che operano direttamente con le unità dell'esercito sul campo, devono mantenere dei rapporti di lavoro collaborativi con i comandanti delle unità per poter rimanere al seguito delle truppe. Un lavoro giornalistico svolto in collaborazione con le truppe è vitale per poter continuare ad avere accesso alle fonti informative del governo. Inoltre, schiere di revisori delle notizie nei quartier generali dei grandi organi d'informazione riscrivono, addolciscono o bloccano notizie dal campo che potrebbero mettere a rischio la natura simbiotica della gestione dell'informazione globale.

IL DOMINIO GLOBALE, L'IRAN E I MEDIA

L'Iran, in quanto parte dell'"asse del male", è da lungo tempo un bersaglio del Global Dominance Group. I grandi mezzi di  comunicazione hanno aumentato in maniera significativa la copertura informativa al riguardo, evidenziando il pericolo rappresentato da un eventuale Iran nuclearizzato. Le notizie che collegavano l'Iran a una minaccia atomica, apparse nei quotidiani e nelle riviste mainstream del Nord America, sono aumentate in maniera consistente negli ultimi sei anni, passando dai 251 servizi nel 2000-2001 agli 890 nel 2005-2006.

Seymour Hersh sul New Yorker ha descritto in dettaglio quale sia la disponibilità dell'attuale Amministrazione a lanciare un attacco atomico preventivo contro l'Iran. Una guerra contro l'Iran rappresenterebbe un rapido sviluppo del programma di dominio militare del Global Dominance Group e potrebbe portare gli Stati Uniti a un'aperta chiarificazione atomica con Russia e Cina. Inoltre, Michael Klare ha spiegato su The Nation come l'Amministrazione stia spingendo per un'azione militare contro l'Iran e ha citato le parole del Presidente Bush: "Quest'idea che gli Stati Uniti si stiano preparando ad attaccare l'Iran è semplicemente ridicola", ha dichiarato Bush in Belgio il 22 febbraio. Ha quindi aggiunto: "Detto questo, tutte le possibilità sono da valutare".

Il fatto è che una politica di aggressione del genere "colpire per primi uno stato sovrano" ha radici di vecchia data nel terreno della politica estera statunitense. I piani noti come "Global Strike" (Attacco globale), svelati dalla Air Force all'inizio del 2001 da John Jumper e dal suo staff, comprendono dettagli relativi a "imminenti" minacce provenienti da nazioni bersaglio, come Iran, Russia, Cina e Corea del Nord. Secondo globalsecurity.org, la Global Strike Task Force è destinata a essere la "forza di abbattimento [delle nazioni] per il nuovo secolo".

Abbattere significa lanciare caccia "stealth" F-22 per distruggere qualsiasi infrastruttura anti-aerea, rapidamente seguiti da bombardieri "stealth" B-2 in partenza dagli hangar di Diego Garcia e dalla base della Royal Air Force di Fairford, in Gran Bretagna. Quei bombardieri e caccia possono attaccare 380 obiettivi in cinquantadue sortite. Per capire quale sia la loro capacità distruttiva, basti pensare che nelle prime ventiquattr'ore dell'operazione "Desert Storm" vennero colpiti solo 203 obiettivi con 1.223 sortite d'attacco di forze miste. La Global Strike rappresenta una forza d'attacco trentasei volte più grande dell'intera forza congiunta impiegata nell'invasione della Desert Storm; una forza armata nucleare costantemente all'erta e pronta a venire scatenata contro qualsiasi punto nel mondo con un preavviso di pochi istanti, ma rivolta principalmente contro i paesi costituenti l'asse del male.

I grandi mezzi di comunicazione Usa non hanno presentato alcuna vera discussione riguardo alle implicazioni a lungo termine di una politica di dominio globale e di un attacco all'Iran. È stato un segreto noto a tutti, fin dai primi giorni di questa Amministrazione, il fatto che il Global Dominance Group intenda usare pienamente la capacità militare degli Stati Uniti per attaccare un insieme specifico di stati sovrani, con o senza provocazione. In realtà, i media si sono resi complici delle operazioni di controllo dell'opinione pubblica, ignorando la brama di dominio globale del Global Dominance Group.

LE PUBBLICHE RELAZIONI, I MEDIA E IL DOMINIO GLOBALE

L'industria delle pubbliche relazioni ha sperimentato una crescita fenomenale a partire dal 2001, dopo anni di tenace consolidamento. Sono tre le mega-corporation del settore quotate in borsa: in ordine di grandezza, Omnicom, WPP e Interpublic Group. Insieme, queste società hanno alle loro dipendenze 163.932 persone, distribuite in più di 170 paesi. Non solo queste mostruose compagnie controllano una cospicua quantità di ricchezza, ma possiedono una rete di connessioni in potenti istituzioni internazionali con legami diretti a governi, multinazionali ed enti politici legati al Global Dominance Group.

La Omnicom mantiene una fitta rete di società controllate, affiliate e agenzie semi-indipendenti quali BBDO Worldwide, DDB Worldwide e TBWAWorldwide, GSD&M, Merkely Partners e Zimmerman Partners, insieme a più di 160 società tramite la divisione Diversified Agency Services, comprese Fleishman-Hillard, Integer e Rapp Collins. Anche la WPP, un conglomerato con sede in Gran Bretagna, vanta una lista impressionante di società consociate quali Young & Rubicam, Burson-Marsteller, Ogilvy & Mather Worldwide, Hill & Knowlton, insieme a numerose altre imprese di pubbliche relazioni, pubblicità e gestione delle crisi.

Prima che lo spettacolo della propaganda della prima guerra del Golfo avesse luogo, per gentile concessione di Hill & Knowlton, la società contribuì a creare un clima di sdegno nazionale contro l'Iraq riferendo di orribili eventi presumibilmente causati dai soldati iracheni in Kuwait. Un giovane donna di nome Nayirah dichiarò in una deposizione resa di fronte al Congresso, e davanti a un'audience nazionale, di aver visto "soldati iracheni arrivare in ospedale [in Kuwait] armati di fucili ed entrare nella stanza in cui erano tenuti in incubatrice quindici bambini.

Tirarono fuori i bambini dalle incubatrici e li lasciarono sul pavimento freddo a morire". Ciò che al pubblico non venne però detto era che Nayirah era la figlia dello sceicco Saud Nasir al-Sabah, ambasciatore kuwaitiano negli Stati Uniti. Al pubblico non venne neanche detto che la sua esibizione era stata coordinata dalla Casa Bianca e inscenata dall'impresa statunitense di pubbliche relazioni Hill & Knowlton, per conto del governo del Kuwait.

Le grandi società di pubbliche relazioni sono strettamente interconnesse ai mezzi di comunicazione di proprietà dei grandi gruppi. Quattro esponenti del gruppo WWP sono anche membri del Council on Foreign Relations; un membro del consiglio d'Amministrazione della Omnicom ha un incarico alla Time Warner, uno dei più grandi conglomerati mediatici degli Stati Uniti, mentre un altro è un membro permanente del consiglio della PBS.

Malgrado il rapido consolidamento e l'enormità delle più grandi società quotate in borsa, parecchie compagnie indipendenti hanno potuto approfittare di eccezionale crescita e successo. Alcune imprese che meritano attenzione sono 5W Public Relations, Lincoln Group e Rendon Group. Queste imprese hanno conosciuto un periodo di sviluppo esplosivo dopo l'11 settembre.

O'Dwyers ha nominato la 5W "la società di pubbliche relazioni di più rapida crescita del 2005". La compagnia, fondata nel 2002, ha registrato un aumento dell'85% delle sue entrate nette dal 2004 al 2005. Tra i clienti della 5W figurano numerose organizzazioni sioniste ed enti ufficiali: il governo di Israele, il sindaco di Gerusalemme, il partito israeliano Likud, il sindaco di Tel Aviv, il Ministero israeliano del Turismo, la Zionist Organization of America, l'American Jewish Congress e l'Heritage Affinity Services (in assoluto la prima carta di credito Visa Platinum che offre premi fedeltà con cui sostenere Israele).

La società di pubbliche relazioni Rendon Group è una delle compagnie ingaggiate per la gestione della comunicazione relativa alle guerre preventive americane.

Negli anni '80, il Rendon Group contribuì a formare sentimenti condivisi dagli americani riguardo all'estromissione del Presidente panamense Manuel Noriega. Forgiò il sostegno internazionale alla prima guerra del Golfo, e negli anni '90 creò l'Iraqi National Congress, dall'immagine al lancio sul mercato, fino all'accurata selezione di Ahmed Chalabi. Il Rendon Group creò l'immaginario che ha formato il sostegno a una guerra permanente al terrore, con l'eroico salvataggio di Jessica Lynch e i drammatici racconti relativi alle armi di distruzione di massa.

Il Lincoln Group deve il suo successo direttamente alla guerra in Iraq. Sul suo sito web, la società dichiara: "Il Lincoln Group è stato costituito nel 2003. Nel 2004, dopo che il governo statunitense ha iniziato a richiedere aiuto per le campagne di comunicazione e divulgazione, è stata creata una società consociata di servizi professionali per il governo con il nome di Iraqex LLC, ma abbiamo in seguito adottato il nome della società madre, dato che quell'impresa consociata ha iniziato a svolgere la sua attività di pubblicità e marketing nella regione mediorientale".

Un esempio del suo lavoro è stato l'incarico affidato a soldati e sub-appaltatori, pagati perché scrivessero articoli che sembrassero opera di giornalisti freelance.

Il Lincoln Group si occupa anche di campagne che coinvolgono operazioni psicologiche (PSYOP) in Iraq e Afghanistan. L'abilità che ha questa impresa di ottenere cospicui contratti governativi, come quello da 100 milioni di dollari che le è stato garantito nel giugno 2005, risiede nell'elenco di connessioni provate e di vecchia data con i contractor del governo, dell'esercito e della difesa. In cima alla loro lista di collaboratori importanti c'è Vincent Breglio, esperto di sondaggi che ha collaborato con le amministrazioni Reagan e Bush senior, seguito dal membro del PNAC Devon Cross. Di seguito c'è Douglas H. Dearth, che ricopre l'incarico di titolare di cattedra presso il Joint Military Intelligence Training Center e ha lavorato presso la Defense Intelligence Agency. Altri consulenti sono William Zartman della SAIS e il colonnello in pensione Charles Dennison Lane.

Il settore delle pubbliche relazioni continua nel suo rapido consolidamento di potere e influenza, dovuto in parte ai contratti legati alle guerre in Iraq e Afghanistan e ai controversi rapporti tra Iran, Russia, Cina, America Latina e Stati Uniti, oltre che a questioni interne come l'assistenza sanitaria pubblica, l'immigrazione e la previdenza sociale.

I contratti per le pubbliche relazioni durante gli anni di Bush, se paragonati al periodo dell'Amministrazione Clinton, sono aumentati passando da milioni a miliardi di dollari. Nel 2000, l'ultimo anno fiscale effettivo dell'Amministrazione Clinton, il governo federale spese 38,6 milioni di dollari distribuiti in sessantaquattro contratti con le maggiori agenzie di pubbliche relazioni. Nel 2001, il primo anno dell'Amministrazione Bush, il governo federale spese 36,6 milioni di dollari per sessantasette contratti con le principali agenzie di pubbliche relazioni. Nel 2002, il primo anno fiscale pienamente pianificato dall'Amministrazione Bush, le spese federali per le pubbliche relazioni passarono a 64,7 milioni di dollari distribuiti in sessantasette contratti.

Dopo essersi reso conto che l'attuale Amministrazione pagava determinati personaggi per rappresentare la politica nella campagna a favore della legge "No Child Left Behind", il Deputato Henry Waxman richiese un rapporto del GAO sull'uso di finanziamenti pubblici per operazioni mediatiche. L'inchiesta dettagliata, documentata nel rapporto, concluse che, dal 2003 al 2004 e per metà del 2005, l'Amministrazione aveva speso 1,6 miliardi di dollari per 343 contratti con società di pubbliche relazioni, agenzie pubblicitarie, organizzazioni mediatiche e singoli personaggi del mondo della comunicazione. Il più spendaccione risultò essere il Dipartimento della Difesa, con 1,1 miliardo di dollari in contratti.

L'industria delle pubbliche relazioni detiene un potere significativo. La facilità con cui il popolo americano ha accettato l'invasione dell'Iraq è il risultato di uno sforzo concertato che ha visto coinvolti il governo, i contractor della difesa, le società di pubbliche relazioni e i grandi mezzi di comunicazione. Queste istituzioni sono le istigatrici e le principali beneficiarie di una guerra al terrore permanente.

L'importanza di questi legami risiede nel fatto che potenti settori del Global Dominance Group possiedono il denaro e le risorse necessari per trasmettere ripetutamente la propria propaganda al popolo americano, finché questi messaggi non diventeranno verità lapalissiane e opinioni prevalenti.

IL DOMINIO GLOBALE E I GRANDI CONGLOMERATI DEI MEDIA

All'inizio del 2006, il Global Dominance Group ha stabilito in maniera netta e precisa le sue priorità all'interno dei circoli politici di più alto livello e presso il governo statunitense. Lavora fianco a fianco dei contractor della difesa promovendo il dispiego delle forze Usa in più di 700 basi in tutto il mondo e ha forti legami, di vario tipo, con i colossi della comunicazione negli Stati Uniti.

L'Amministrazione Bush sta ingannando l'opinione pubblica americana, ricorrendo a sotterfugi e disinformazione sul terrorismo mondiale, per spaventarci e spingerci ad appoggiare uno stato di polizia globale. Con una campagna di pubbliche relazioni da un miliardo di dollari, settecento basi militari e un budget più grande di quello del resto del mondo messo insieme, l'esercito Usa è diventato la nuova forza suprema che reprime il "terrorismo" ovunque.

Il discorso fondamentale tenuto dal vicepresidente Dick Cheney alla conferenza politica dell'American Israel Public Affairs Committee (AIPAC) il 7 marzo 2006 è un esempio efficace del pensiero neo-conservatore di dominio globale che pervade l'attuale Amministrazione. Ecco le sue esatte parole: "Israele, gli Stati Uniti e tutte le nazioni civilizzate vinceranno la guerra al terrore. Per prevalere in questa lotta, dobbiamo comprendere la natura del nemico [.] come l'America ha potuto sperimentare l'11 settembre, il nemico terrorista è brutale e spietato.

Questo nemico non indossa uniforme, non ha alcun riguardo per le regole della guerra e non è frenato da nessun parametro di decenza o moralità. [.] I terroristi vogliono porre fine a qualsiasi influenza americana e occidentale in Medio Oriente. Il loro obiettivo in quella regione è conquistare il controllo di un paese, in modo che abbiano una base da cui lanciare gli attacchi e dichiarare guerra ai governi che non soddisfano le loro richieste [.] per istituire in definitiva un impero totalitario comprendente una vasta area che va dalla Spagna al Nord Africa, attraverso il Medio Oriente e l'Asia meridionale, fino ad arrivare all'Indonesia".

Cheney sostiene che i terroristi cattivi in tutto il mondo stiano complottando per la rovina delle nazioni "civilizzate". Per riuscire a fermarli, dobbiamo controllare militarmente tutte le regioni che ci minacciano in una guerra globale permanente.

L'impero militare di Cheney combacia perfettamente con il programma di dominazione militare assoluta del mondo del Global Dominance Group. Per Cheney e altri neo-conservatori fautori del dominio globale, l'etichetta di "terrorista" è così ampia che può essere applicata a qualsiasi individuo, gruppo o stato che resista alle occupazioni militari statunitensi, alle minacce Usa o agli interessi delle grandi imprese americane in qualunque luogo del mondo.

Nel dicembre 2002, il giornalista olandese Willem Oltmans, intervenendo all'incontro di lancio della Campagna internazionale contro l'aggressione Usa all'Iraq tenutosi al Cairo, descrisse i suoi anni da adolescente durante la seconda guerra mondiale, quando partecipò al movimento di resistenza in Olanda. "I nazisti ci chiamavano terroristi", esclamò. "Ora, mentre gli Stati Uniti invadono e occupano altri paesi, voi fate la stessa cosa", aggiunse.

Mantenere una forza militare Usa in tutto il mondo arricchisce i contractor della difesa e infiamma la resistenza. Non c'è nessuna minaccia terroristica mondiale, se non quella fabbricata ad arte dai grandi colossi mediatici e creata quando dichiariamo guerra ad altri popoli. Contestare il programma di dominio globale dei neo-conservatori non è che una parte del lavoro necessario per ricostruire la democrazia negli Stati Uniti. Altrettanto necessaria è una riforma dei mezzi di comunicazione a partire dalle fondamenta, finanziando un gran numero di operazioni mediatiche indipendenti per sfidare la propaganda dei grandi colossi della comunicazione. È anche necessaria l'approvazione di leggi che rendano illegale la creazione di notizie false da parte delle società di pubbliche relazioni.

Occuparsi di povertà nel mondo, malattie e questioni ambientali contribuirà enormemente a impedire singoli atti di terrorismo all'interno degli Stati Uniti, più di qualsiasi azione militare che possiamo mettere insieme. È tempo di mettere in dubbio il programma di dominio globale dei neo-conservatori e schierarsi in difesa dei diritti umani e dei tradizionali valori americani di democrazia che parte dal basso, giusto processo, trasparenza governativa e libertà individuali, per noi e per il resto del mondo.

LA LOBBY ISRAELIANA E IL GLOBAL DOMINANCE GROUP

di Andrew Sloan

"Esiste una profonda amicizia tra Israele e gli Stati Uniti - tra i nostri popoli e i nostri paesi. La base di questa amicizia sono i valori condivisi, un impegno verso gli ideali democratici, la libertà, la pace e gli interessi comuni, compresa la spinta verso la stabilità nella regione e la cessazione del terrorismo e della violenza." - Ariel Sharon

"Parleremo in difesa dei nostri principi e ci schiereremo al fianco dei nostri amici nel mondo. E uno dei nostri amici più importanti è lo Stato di Israele." - George W. Bush

Il rapporto di Israele con gli Stati Uniti è stato descritto in molti modi: la pedina degli Usa, una risorsa strategica per gli interessi statunitensi, un cliente degli Stati Uniti, lo "sbirro di quartiere" in pattuglia per conto degli Usa in Medio Oriente, un tirapiedi imperialista, una barriera alla penetrazione sovietica in Medio Oriente durante la guerra fredda, il protetto degli Stati Uniti, un rapporto simbiotico con gli Usa, il cane che ascolta il padrone, il padrone che ascolta il cane oppure, come lo definisce il sito della United States Agency for the International Development (USAID; Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale, NdT), una "stretta relazione bilaterale". Chiaramente, gli Stati Uniti e Israele hanno legami unici rispetto a qualsiasi altra alleanza tra due nazioni. Determinare se Israele sia una pedina o un protetto degli Usa è una questione che riguarda l'autonomia e l'autorità negli affari esteri e interni dello stato di Israele.

Ciò che è stato veramente peculiare in questo rapporto è l'incrollabile appoggio che gli Usa hanno dimostrato nei confronti di Israele, sia dal punto di vista economico sia militaristico. Alcuni sostengono che tale appoggio vada persino contro gli interessi personali degli Stati Uniti in Medio Oriente e oltre. Altri mettono sullo stesso piano il programma espansionistico di Israele e le priorità di dominio globale dei neo-conservatori americani, considerandoli essenzialmente come parti di uno stesso tutto. Questo dibattito sui rispettivi tornaconti nazionali (per quanto possano essere davvero evidenti o visibili le priorità dell'Amministrazione) è stato sollecitato dalla recente e improvvisa comparsa di una domanda ancora più omnicomprensiva: chi è responsabile dell'eccesso di generosità degli Stati Uniti nei confronti di Israele?

Nel loro progetto di ricerca dal titolo La Lobby di Israele e la politica estera statunitense, John Mearsheimer dell'Università di Chicago e Stephen Walt della Kennedy School of Government di Harvard asseriscono che la Lobby di Israele (sì, intendono proprio "Lobby" con la L maiuscola) funga da prestanome nell'azione di accaparramento del magnifico appoggio degli Stati Uniti. Copiose sono state le  recensioni celebrative, che hanno esaltato il duo di autori per il coraggio dimostrato nel dire le cose come stanno. Quale miglior modo di esporre tali assiomi se non quello di utilizzare singoli individui provenienti da prestigiose istituzioni? Alcuni, tuttavia, mettono in dubbio il fatto che la Lobby meriti tanto credito per aver fornito appoggio allo stato di Israele, sostenendo che soltanto Washington sia responsabile per le sue scelte di ripartizione dei fondi USAID.

Secondo questa obiezione, sostenuta apertamente da Noam Chomsky, si ritiene che una potente lobby esista realmente, ma che accordarle una tale influenza equivalga a lasciare il governo degli Stati Uniti "inviolato nel suo alto pinnacolo di nobiltà".1 A dispetto delle critiche o dei consensi sollevati dal loro studio, dobbiamo tutti concordare sul fatto che Mearsheimer e Walt hanno acceso un dibattito di gran lunga necessario sull'influenza della Lobby israeliana.

LA LOBBY

Come è stato spiegato da Mearsheimer e Walt, la Lobby israeliana è stata efficace nel modellare la politica estera statunitense in direzione filo-israeliana. "Noi usiamo 'la Lobby' come nome in codice per indicare una libera coalizione di individui e organizzazioni". Specificano che "ciò non è inteso a suggerire che 'la Lobby' sia un movimento unificato con una leadership centrale, o che gli individui al suo interno non siano in disaccordo su alcune questioni". La Lobby, anche se viene ritratta come un'entità apparentemente concreta, è un insieme piuttosto astratto di sentimenti e atteggiamenti americani nei confronti di Israele, provenienti dalle più piccole sinagoghe e chiese, ma anche da fondate istituzioni lobbistiche come l'American Israel Public Affairs Committee (AIPAC) e la Conference of Presidents of Major Jewish Organizations, entrambe gestite da "intransigenti che in genere appoggiano le politiche espansionistiche del partito Likud".2

Per meglio illustrare gli scopi di questa sezione, mi concentrerò su istituti di esperti e singoli che sono maggiormente identificabili e influenti, anche solo per individuare con esattezza le entità all'interno del vago concetto identificato come "Lobby" da Mearsheimer e Walt.

L'American Israel Public Affairs Committee ha, da solo, un budget annuale di 40 milioni di dollari. Jeffrey Birnbaum del Washington Post scrive: "Nel sondaggio della rivista Fortune sugli insider di Washington, si è coerentemente classificato tra i primi cinque gruppi d'interesse più influenti (accanto ad altre lobby meglio conosciute, come l'AARP e la National Rifle Association). Una recente inchiesta del National Journal ha collocato l'AIPAC alla posizione n.2 tra i legislatori democratici e alla n.4 tra i repubblicani".3 La CNN riferisce che, nel 2000, l'AIPAC "spese più di un milione di dollari per azioni di pressione sul governo. Diresse anche molti dei comitati di azione politica filo-israeliana, che quell'anno fruttarono 6,5 milioni di dollari in contributi elettorali: due terzi ai democratici e un terzo ai repubblicani".4

Mearsheimer e Walt sostengono che non vi sia confronto con la Lobby di Israele. Nessun altro gruppo di questo tipo possiede tali legami e una tale influenza.  Altri critici affermano che noi ingigantiamo il potere della lobby perché trascuriamo i benefici che Israele e gli Stati Uniti condividono l'uno con l'altro, al di là di qualsiasi influenza politica. Oltre all'AIPAC, tra le altre lobby filo-israeliane figurano il Jewish Institute of National Security Affairs (JINSA), la Conference of Presidents of Major Jewish Organizations, il Committee for Accuracy in Middle East Affairs (CAMERA), la Zionist Organization of America e il Washington Institute for Near East Policy (WINEP).

Affermare che queste organizzazioni agiscano isolatamente rispetto alle altre associazioni ebraiche sarebbe una grave mancanza. Mearsheimer e Walt spiegano che i maggiori istituti di consulenza statunitensi,in cui non vi è alcuna affiliazione religiosa, condividono sentimenti comuni. "Negli ultimi venticinque anni, [le lobby] hanno costituito una presenza dominante presso l'American Enterprise Institute, il Brookings Institute, il Center for Security Policy, il Foreign Policy Research Institute, l'Heritage Foundation, l'Hudson Institute, il Project for New American Century (PNAC) e l'Institute for Foreign Policy Analysis". Scrivono: "Questi istituti di consulenza impiegano pochi (se non nessuno) critici della politica Usa di appoggio a Israele".

Una lettera inviata dal PNAC al Presidente Bush nel 2002 a proposito di Israele, Arafat e guerra al terrorismo dimostra piuttosto chiaramente la sua ideologia neoconservatrice e favorevole all'espansionismo israeliano: "Nessuno dovrebbe mettere in dubbio il fatto che gli Stati Uniti e Israele abbiano un nemico in comune. Siamo entrambi bersaglio di ciò che lei ha correttamente definito un 'asse del male'. Israele è preso di mira in parte perché è nostro amico e, in parte, perché è un'isola di principi liberali e democratici - i principi americani - in un mare di tirannia, intolleranza e odio. [.] Signor Presidente, la politica degli Stati Uniti non può essere più quella di sollecitare, e ancor meno di fare pressioni su Israele perché prosegua i negoziati con Arafat, non più di quanto noi saremmo disposti a venire spinti a negoziare con Osama Bin Laden o il Mullah Omar. [.] La lotta di Israele contro il terrorismo è la nostra lotta. La vittoria di Israele è una parte importante della nostra vittoria. Per motivi morali e strategici, dobbiamo stare al fianco di Israele nella sua lotta contro il terrorismo".5

La lettera è firmata da personaggi neo-conservatori quali Bruce Jackson, Richard Perle e James Woolsey, tra gli altri. In questo documento non solo si dice al Presidente come gestire gli affari interni di Israele, ma si allineano gli affari esteri dello stato ebraico (così come li vedono gli autori) ai nostri. Le minacce di Israele sono le minacce degli Stati Uniti, e viceversa.

La Lobby di Israele ha una significativa presenza nei grandi gruppi mediatici. Haim Saban è presidente e amministratore delegato di Fox Family Worldwide, Inc. In un'intervista al New York Times del 2002, afferma: "Io sono un tipo da 'dedizione a un'unica causa', e la mia causa è Israele". Il signor Saban ha elargito milioni di dollari per la campagna elettorale dei democratici, ha fatto la corte a John Kerry, ha dato decine di milioni di dollari in favore di una divisione del Medio Oriente del Brookings Institute e trascorre le vacanze con Bill Clinton. Non si può dire se possieda un'influenza diretta sulle politiche tra Israele e Stati Uniti.

Eppure, Bill Clinton gli attribuisce grande merito per la sua dedizione verso Israele, il sostegno alla sua fondazione e l'impegno per la riconciliazione in Medio Oriente. Forse vuole vedere comunque la pace tra Israele e Palestina, ma nell'articolo si nominano le sue conversazioni di ore e ore con Ariel Sharon e le visite informali; non si fa menzione di alcun rapporto tra Saban e Arafat.6

Esempi come quelli di Saban sono decisivi per comprendere in che modo lavori la Lobby. Questo personaggio è un individuo potente che casualmente possiede anche una delle massime società di comunicazione degli Stati Uniti. Sotto questo aspetto, la Lobby è più sistemica che specifica: può agire attraverso canali espliciti, come una lettera aperta da parte del PNAC a un presidente, ma di solito risulta più efficace attraverso i canali degli interessi privati, del nepotismo e delle donazioni elettorali. Dal momento che gli strumenti di dialogo più ampiamente accessibili vengono dalle corporation, si può facilmente intuire quale sia l'effetto valanga della Lobby, a partire dal livello dirigenziale giù fino alla televisione domestica.

Non intendiamo affatto insinuare che la Lobby ebraica possieda interamente i mezzi di comunicazione, ma in realtà non è necessario essere ebreo per avere preconcetti filo-israeliani, così come si può essere ebrei profondamente religiosi e rinnegare le politiche dello stato di Israele.

Non è chiaro quanto la Lobby di Israele sia responsabile della linea di politica estera Usa nei confronti dello stato israeliano. Ciononostante, ci sono innegabili correlazioni che meritano una certa attenzione. Mearsheimer e Walt sottolineano che, dal 1982, gli Stati Uniti hanno apposto il veto a trentadue risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che risultavano critiche nei confronti di Israele, più della somma totale di tutti gli altri veti apposti dagli altri membri del Consiglio di Sicurezza. Gli Usa hanno ostacolato in maniera particolare i tentativi degli stati arabi di portare l'arsenale nucleare di Israele all'attenzione dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA/IAEA), che si adopera per il disarmo nucleare e altre misure di non proliferazione.7

L'Amministrazione Bush-Cheney ha alle sue dipendenze molti esponenti della Lobby, compresi molti personaggi filo-israeliani come Elliot Abrams, John Bolton, Douglas Feith, I. Lewis Libby, Richard Perle, Paul Wolfowitz e David Wurmser. Nel 2004, il New York Times riferì che subito dopo l'11 settembre, Feith e Wolfowitz esortarono vivamente a lanciare attacchi contro l'Iraq e poi l'Iran, scelta politica che l'AIPAC caldeggiava.8

Il recente scandalo AIPAC dimostra chiaramente quale sia il grado di infiltrazione della Lobby nelle alte sfere del governo. Lawrence A. Franklin, un analista veterano del Pentagono, ha ammesso di essersi servito della sua posizione presso il Dipartimento della Difesa per rivelare illegalmente informazioni segretate ai dipendenti dell'AIPAC Steven J. Rosen e Keith Weissman, informazioni che sono state poi inoltrate in Israele. Franklin è stato condannato a un periodo di detenzione, mentre Rosen, ex direttore degli affari di politica estera all'AIPAC, e Weissman, ex analista esperto di Iran di alto livello, sono in attesa di giudizio.9

La Lobby di Israele è stata efficace nel formare i media e nel soffocare qualsiasi discussione pubblica critica nei confronti di Israele e delle politiche di dominio globale in Medio Oriente, limitandosi semplicemente a tacciare di antisemitismo qualsiasi forma di dissenso. È questo voler mettere sullo stesso piano la politica estera di Israele con la sua identità di stato e di popolo storicamente perseguitato che frena i critici, i quali si limitano ad aggirare guardinghi le questioni centrali. L'analista mediatico Edward Herman, nel suo studio "La lobby filo-israeliana", ritiene che una fondamentale manifestazione del potere di questo gruppo di pressione sia "la sua abilità a reprimere qualsiasi discussione pubblica e qualsiasi denuncia degli abusi di Israele (per esempio la tortura, gli aiuti agli stati terroristi, le sue azioni terroristiche oltre confine in Libano, l'accumulo illegale di un arsenale atomico)".10

L'ex Public Editor del New York Times Daniel Okrent pubblicò un articolo nell'aprile 2005, in cui descriveva come un giornale si debba muovere sul filo del rasoio, come un equilibrista, quando si tratta di riferire del conflitto israelo-palestinese.

Gli accesi sostenitori di ogni fazione sono pronti a criticare ogni questione che abbia a che fare con Israele o la Palestina. Nella sua appendice, Okrent scrive: "Nel corso della mia ricerca, i rappresentanti di If Americans Knew ["Se gli americani sapessero", un'organizzazione che contesta la parzialità dei mezzi d'informazione nei confronti di Israele, NdT] manifestarono la propria convinzione che, a meno che il giornale non destinasse alla copertura informativa del conflitto un uguale numero di reporter musulmani ed ebrei, i giornalisti ebrei non dovessero occuparsi della cosa. Io trovo tutto questo profondamente offensivo, ma non tanto ripugnante quanto una calunnia che è comparsa nella mia casella di posta elettronica con deplorevole frequenza, e cioè l'accusa che il Times sia antisemita. Anche se si stabilisse che i giornalisti e i direttori del Times favoriscono la causa palestinese (qualcosa che io non sono neppure lontanamente preparato a fare), questa è una falsificazione sconvolgente. Se fare una cronaca che è favorevole nei confronti dei palestinesi, o non favorevole verso gli israeliani, significa antisemitismo, che cos'è il vero antisemitismo? Che parola si deve riservare alla discriminazione cosciente, o all'odio palese, o agli atti di deliberata violenza scatenata da motivazioni etniche?".11

Alison Weir e i ricercatori di If Americans Knew hanno condotto uno studio sulla copertura informativa delle morti di palestinesi e israeliani da parte dell'Associated Press. La ricerca, condotta per tutto l'anno 2004, ha rilevato che l'AP ha riportato il 131% dei casi di morte violenta in cui