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La dittatura della diagnosi

di redazionale - 08/03/2007

La ricerca della perfezione e l’aborto per una malformazione che non c’era

Una puerpera, informata dai medici che il figlio in gestazione rischiava di essere affetto da una malformazione, che avrebbe comunque potuto essere rimossa per via chirurgica, ha chiesto e ottenuto di abortire alla ventiduesima settimana di gravidanza. Il feto, dopo l’aborto, è vitale e non presenta la malformazione diagnosticata, ma ora la sua vita è in gravissimo pericolo. Non si tratta soltanto di un errore diagnostico, tragico ma possibile, ma delle conseguenze di una mentalità che pretende la perfezione nella vita, aprendo la strada alla selezione genetica.
La madre, che è ricorsa a uno psichiatra per farsi dichiarare inidonea al parto per il grave turbamento che le aveva provocato la diagnosi sul nascituro, ora soffre e la sua sofferenza va rispettata. Se suo figlio morirà, ne sentirà tutto il rimorso. Se sopravviverà, leggerà nei suoi occhi un muto e insopportabile rimprovero per tutta la vita. La sua punizione è fin troppo dura. Ma non sarà soltanto lei a dover sopportare lo sguardo di quel bambino, siamo tutti noi. Una società, una cultura che per pretesa di perfezione sceglie con noncuranza la morte a discapito della vita subisce una sorta di dittatura ideologica, tanto più feroce quanto più si ammanta dei “buoni” sentimenti, della volontà di garantire alla vita che nasce le migliori condizioni. L’eccesso diagnostico è lo strumento di questa dittatura. Forse non è colpa dei medici, che sono indotti a prudenze eccessive anche dal moltiplicarsi di cause giudiziarie che addebitano loro la responsabilità di non aver previsto possibili imperfezioni. Non è colpa neppure della legge sull’aborto, che prescrive che dopo il novantesimo giorno la gestazione può essere interrotta soltanto in caso di pericolo di vita per la madre. La stessa legge è stata forzata interpretando come pericolo di vita la preoccupazione certificata dallo psichiatra, e su questo si è già aperta giustamente una discussione politica. Ma solo se tutti ci sentiremo osservati dagli occhi di quel bambino forse le cose cambieranno.