Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Tra centro-destra e centro-sinistra, stravince il centro-mafia

Tra centro-destra e centro-sinistra, stravince il centro-mafia

di Peter Gomez e Lirio Abbate - 14/03/2007

Fonte: Dagospia

TUTTI GLI UOMINI DI BERNARDO PROVENZANO DA CORLEONE AL PARLAMENTO
CRISAFULLI, IL DIESSINO AL BACIO - IL FORZISTA MORMINO E “L’AGNELLI DI PALERMO”


Il due brani che seguono sono tratti da il libro "I complici - Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento" (Fazi Editore) di Peter Gomez e Lirio Abbate in libreria da venerdì 9 marzo.

1 – IL DIESSINO MIRELLO CRISAFULLI, DETTO “CAPPEDDAZZO”, E IL BACIO DEL BOSS BEVILACQUA
L’idea che con la mafia si possa convivere, del resto, non è solo appannaggio degli esponenti della Casa delle Libertà. Trova anche numerosi estimatori nelle file dei DS siciliani. Persino ai livelli più alti. La cosa diventa evidente nel 2003 quando finisce in manette per la seconda volta Raffaele Bevilacqua, il boss della provincia di Enna. Pure lui, come ormai quasi tutti i capimafia di terza generazione, è un borghese: di professione fa l’avvocato e, nei primi anni Novanta – quando era ancora sottocapo della commissione provinciale di Cosa Nostra e reggente della famiglia mafiosa di Barrafranca – era stato iscritto alla DC (corrente andreottiana) venendo eletto consigliere provinciale.

Allora il suo referente nell’onorata società era Piddu Madonia, che in quel periodo trascorreva la latitanza a Bagheria assieme al capo dei capi. Un rapporto quasi simbiotico il loro, tanto che Bevilacqua,nel 1991, partecipa persino a una riunione della commissione interprovinciale di Cosa Nostra organizzata a Enna alla quale erano presenti Riina, Provenzano e il catanese Nitto Santapaola. Un anno dopo viene però arrestato.
Uscito di prigione, Bevilacqua sale di grado e diventa il mammasantissima di tutta la sua provincia.

La sorpresa degli investigatori della squadra mobile di Enna è insomma grande quando, in un video registrato in un albergo, accanto al volto di Bevilacqua compare la faccia rotonda e simpatica dell’allora vicepresidente diessino dell’Assemblea Regionale Siciliana (ARS), Wladimiro “Mirello” Crisafulli. Seduti uno di fronte all’altro nell’ufficio del direttore dell’Hotel Garden di Pergusa, i due appaiono distesi e sorridenti. Il politico chiede un posacenere, uno dei titolari dell’albergo porta anche una penna e un bloc-notes. «No, non mi serve la carta», risponde l’avvocato-boss, «tutto a mente, non si lasciano tracce».

Inizia così, alle 13,45 del 19 dicembre 2001, il primo colloquio tra un capomafia e un leader istituzionale, interamente ripreso da una videocamera. Un documento straordinario, che apre una finestra sui rapporti diretti mafia-politica in Sicilia e che, nell’estate del 2003 quando diventa pubblico, crea divisioni e imbarazzo nei DS, proprio nel momento in cui il presidente della Regione Totò Cuffaro (UDC) finisce indagato per fatti di mafia e il suo vice, Giuseppe Castiglione (FI), viene condannato in primo grado a dieci mesi per tentativo di turbativa d’asta (sarà però assolto in appello).

Il caso esplode a Enna, dove Crisafulli, cresciuto nel PCI, soprannominato “cappeddazzo” per i suoi cappelli a larghe falde, genuino, sanguigno, e schietto, ha costruito un solido sistema di potere, per sua stessa ammissione, borderline con il codice penale. «Il mio concetto di legalità», ha detto una volta Crisafulli a Francesco Forgione, deputato di Rifondazione, «è più elastico del tuo». [...] Bevilacqua è scortato da due guardaspalle, mentre il monitor segna le ore 13,40. Due minuti dopo le videocamere inquadrano Crisafulli col suo autista. Segue immancabile il bacio sulle guance tra il boss e il deputato (se lo avesse raccontato un pentito non ci avrebbe creduto nessuno). [...] Poi si comincia a parlare di politica. Il boss, che tradisce una certa deferenza nei confronti di Crisafulli, chiede e il parlamentare risponde. L’avvocato si lamenta di Piazza Armerina, un comune dell’Ennese, dove un rimpasto rischia di privilegiare candidati che non gli piacciono. «Spererei», dice, «che mi facessi contento questo gruppo. Se sono amici miei sono anche amici tuoi». Crisafulli ascolta. [...]

Quindi discutono di appalti. [...]«Allora, per quei taglialegna», dice Bevilacqua, «avevi detto due». «Magari di più», risponde Crisafulli, «tre, quattro». Si riferiscono a un disboscamento affidato a una ditta calabrese, nel quale anche il boss Bevilacqua, titolare di un’impresa, vuole, a giudicare dal tenore delle richieste, inserire dei suoi raccomandati. E non solo in quello. [...] Si parla del campus universitario, centoventi miliardi di vecchie lire, da realizzare a Enna Bassa e di certi lavori nella “salita di Enna”. [...]

Infine sul video scorrono dei fotogrammi destinati a riaprire il dibattito sul terzo livello, sui rapporti di forza tra mafia e politica. Chi comanda chi? Il summit Bevilacqua-Crisafulli offre una risposta inequivocabile: «A chi lo hai dato?», chiede il boss a proposito di un appalto. «Agli unici che lo possono fare», risponde Crisafulli, «i fratelli Gulino». [...] All’avvocato la cosa non va giù e se ne lamenta. Ma l’onorevole DS risponde con decisione: «Fatti i cazzi tuoi». [...]

L’incontro si chiude alle 14,05, le microtelecamere della squadra mobile, piazzate all’Hotel Garden all’insaputa del direttore per sorprendere una banda di estorsori, hanno registrato un documento straordinario che spinge il direttivo regionale dei DS a censurate il compagno Mirello perché «frequentare boss è inammissibile», mentre quasi tutte le sezioni DS di Enna si stringono attorno a lui, chiedendogli di revocare l’autosospensione dalla carica di vicepresidente dell’ARS.

La Procura di Caltanissetta indaga Crisafulli per concorso esterno in associazione mafiosa. I magistrati, però, procedono con i piedi di piombo, tanto che il procuratore Francesco Messineo, che allora guidava la Procura nissena, dice ai giornalisti: «Mi sono assunto la responsabilità di sconsigliare la perquisizione nello studio del vicepresidente dell’ARS a Palazzo dei Normanni, perché in questo momento ritengo che abbiamo bisogno di tranquillità, evitando scontri istituzionali». Ad altri indagati forse questi “sconti” non sarebbero stati fatti.

Alla fine la Procura, il 19 febbraio 2004, chiede e poi ottiene dal GIP l’archiviazione perché quel colloquio non portò ad alcun beneficio a Cosa Nostra. Scrivono però i PM nella richiesta di archiviazione che è «dimostrata da parte del Crisafulli la disponibilità a mantenere rapporti con il Bevilacqua, accettando il dialogo sulle proposte politiche dello stesso, ascoltando la sua istanza e rispondendo alle domande sulle possibili iniziative politico-amministrative, in particolare in materia di finanziamenti e appalti». Quell’incontro e gli altri che seguirono, nonché le numerose telefonate fra i due, costituiscono per la Procura «un complesso di contatti e disponibilità al dialogo di inquietante valenza: il solo fatto che un autorevole rappresentante politico incontri un personaggio del quale non poteva ignorare (ogni contraria ipotesi appare irrealistica) [...] la nota caratura nel
contesto della illiceità mafiosa, è fatto troppo grave perché sia il caso di insistere [...]. La pubblicità dell’incontro [...] enfatizza in tutti i presenti al congresso l’idea di stabili contatti mafia-politica, con ovvio vantaggio per la prima».

Ma tutto ciò non basta a provare il reato, perché «Crisafulli appare disponibile a esplorare con Bevilacqua l’area delle ipotesi strettamente politiche nel territorio e, in parte, ad addentrarsi nell’area grigia dell’affarismo politico-elettorale, ma in ambedue i casi senza fornire alcun apprezzabile apporto causale ai fini associativi [...]. Nell’ambito affaristico non risulta che le richieste di Bevilacqua siano state esaudite, e quindi l’ascolto e la discussione appaiono piuttosto finalizzate a mantenere aperto un canale di collegamento. Sinteticamente e globalmente considerata, la condotta di Crisafulli può apparire oggettivamente legittimante rispetto a Bevilacqua e quindi pericolosamente vicina al sottile confine della attività penalmente illecita [...]. Però si deve concludere che non vi sono sufficienti elementi di prova per sostenere che abbia arrecato significativa, rilevante utilità al Bevilacqua, al sodalizio criminoso di appartenenza dello stesso o all’intera Cosa Nostra». [...]

Ce n’è abbastanza per chiudere tutto sul piano penale. Ma ce ne sarebbe a sufficienza almeno per stroncare la carriera politica di Crisafulli in nome della “questione morale” tanto cara a Enrico Berlinguer, oggi caduta in prescrizione. Soprattutto nel partito che fu di Pio La Torre, morto ammazzato da Cosa Nostra per aver rifiutato anche il minimo compromesso con i mafiosi. Mirello Crisafulli invece viene addirittura promosso. È un dalemiano di ferro e nel 2006 il partito della Quercia gli trova un posto sicuro nel collegio Sicilia-2 per la Camera dei Deputati. Quando Antonio Di Pietro critica l’incredibile decisione della Quercia, Luciano Violante gli replica che «non esiste alcun motivo di incompatibilità: Crisafulli è nelle stesse condizioni in cui si è trovato in passato Di Pietro, prima incriminato e poi assolto».

E sorvola sul fatto che Crisafulli, al contrario di Di Pietro, intratteneva amichevoli rapporti con un capomafia. Violante, per la cronaca, sedeva nella stessa lista che ospitava il prode Mirello: numero 1 Rutelli, 2 Violante, 3 Piscitello, 4 Crisafulli. Il quale, grazie alla legge elettorale che consente ai partiti di “nominare” a tavolino i parlamentari, atterra senza sforzo a Montecitorio. Dalle stragi di mafia del 1992-93 sono ormai trascorsi quattordici anni. Anno dopo anno anche nei DS la tensione è caduta. La strategia della sommersione decisa da Bernardo Provenzano è risultata vincente. Su tutta la linea.

……