Giampiero Mughini e Massimo Fini su giovinezza e bellezza femminile
di Stenio Solinas - 16/10/2007
In due libri si legge l’eterna curiosità di essere qualcosa di diverso, di non essere ciò che si è stato
G
iampiero Mughini eMassimo Fini sono
più o meno coetanei,
provengono più o
meno dalla stessa
parte politica, scrivono
libri che hanno più
o meno lo stesso successo, si detestano più o
meno con lo stesso affetto. A Mughini non
piace il catastrofismo finiano e il suo narcisismo
da bastian contrario, a Fini dà fastidio
l’entusiasmo mughiniano e la sua passione
per la modernità. Una trentina
d’anni fa parteciparono entrambi
alla fondazione di un mensile
che si chiamava Pagina, e convissero
per un certo periodo sotto
lo stesso tetto. Fu una bella
esperienza giornalistica, ma la
strana coppia non le sopravvisse
e da allora si guardano, appunto,
più o meno in cagnesco.
Chi scrive li conosce, più o
meno, da allora e per quanto non
possa definirsene amico (l’amicizia
presuppone una frequentazione
fisica e di sentimenti, nonché
un commercio di idee e di
azioni) li stima, gli vuole bene e,
con misurato orgoglio, può dire
di averli “battezzati” come scrittori.
Fu infatti in un libro di
Maurizio Cabona e mio, C’eravamo
tanto a(r)mati, che Mughini
e Fini cominciarono a raccontarsi.
Da allora non hanno più
smesso.
Adesso sulla scrivania ho le loro
ultime fatiche,
Sex Revolution.Muse, eroi, tragedie di una
avventura che ha cambiato il
mondo
del primo (Mondadori,229 pagine, 17,50 euri),
Ragazzo.Storia di una vecchiaia
delsecondo (Marsilio,
112 pagine, 13
euri), emblematiche
nel loro essere
incentrate su due
ossessioni, la giovinezza
per Fini, la
bellezza femminile
per Mughini, e rivelatrici
di pregi e
difetti, gusti e caratteri,
verità e ambiguità.
Va da sé che si
tratta di libri belli,
per forma e contenuto,
e quindi ben scritti
e ben costruiti, profondi
e vissuti, anche
sofferti: ma qui più
che una recensione
classica che ne dia
conto nella loro interezza,
val la pena di
andare dietro a un’intuizione,
una chiave di
lettura, una suggestione.
In quest’ottica, l’impressione
più forte che viene dalla duplice
lettura è che entrambi i libri ruotino più
intorno a una assenza che a una presenza,
raccontino più un vuoto che un pieno. Fini
insegue il fantasma di una giovinezza che
non ha mai avuto, Mughini il fantasma di
una bellezza femminile che non ha mai posseduto.
Naturalmente, Fini è stato anagraficamente
giovane e Mughini è stato carnalmente
sedotto e seduttore, ma questo non
significa nulla. Al fondo e a lungo sono
rimasti estranei a ciò che a un certo punto si
è rivelato fondamentale quanto a desiderio e
ad aspirazione. Da qui una rincorsa fuori
tempo e contro il tempo a ciò che il tempo
era andato erodendo.
A negare la giovinezza a Fini è stata la carriera.
A negare la bellezza femminile a
Mughini è stata la politica. Fra la fine degli
anni Sessanta e per buona parte dei Settanta,
Fini è stato uno dei più brillanti inviati della
sua generazione, grintoso, competitivo, alla
ricerca del successo e del riconoscimento,
troppo impegnato a riuscire per trovare il
tempo di essere e di, semplicemente, vivere.
Noi sappiamo benissimo, con Malraux, che
“la giovinezza non è assenza di maturità,
ma l’immenso campo della vita di cui noi
conosciamo la natura solo per la nostalgia
che ci resta allorché scompare. Certi uomini
ne hanno il genio. Disinteresse, coraggio,
romanticismo, sono sentimenti da adolescente.
I conflitti fra etica e politica sono drammi
dell’adolescenza, così come il confrontarsi
con l’assoluto è la tragedia dell’adolescenza”
.La giovinezza, insomma, non è un qualcosa
di biologico, destinato come tale a
infrangersi contro gli scogli della maturità
prima, della vecchiezza dopo: è una vocazione,
o se si
vuole un
mestiere, così
come altri
scelgono
quello della
guerra o
degli affari. E come tale, nel corso del suo
tempo, che dura quanto dura la vita, ha
momenti di tensione più o meno alti. Ma
questi hanno un senso, un significato, un
ordine, se si ha la volontà di avere un destino.
Nel momento cruciale della sua vita, quando
cioè si delineano autonomamente le scelte, si
taglia il cordone ombelicale con la famiglia,
si costruisce cioè il proprio destino, Fini mise
il suo Dio nella carriera: vinse, ma si perse e
dopo non ha fatto altro che rimpiangere il sé
stesso che sarebbe potuto essere e non fu.
Non è un caso che
Ragazzo sottolinei soprattuttoi guasti dell’età: non è che Fini rimpianga
la giovinezza, più crudamente respinge la
vecchiaia, proprio perchè lega la prima a un
elemento fisico più che psicologico,
a una sanità corporale, non a
uno stato mentale.
A Giampiero Mughini l’ha rovinato
la politica, spesa oltretutto su un
versante ideologico dove le preferenze
per il materialismo, storico e dialettico,
mettevano la sordina a tutti quegli elementi
estetici e gratuiti che in altri versanti potevano
fungere da correttivo e da antidoto. Dalla
metà degli anni Sessanta e per almeno un
quindicennio, dove c’è lui c’è una rivista,
una corrente di idee, una polemica intellettuale:
da Giovane critica al Manifesto, da
Lotta continua a Mondo operaio... In Sex
Revolution c’è una frase emblematica:
“Sedi quelle ragazze affascinanti e pericolose ne
sto scrivendo così ossessivamente è ad autorisarcirmi
dei mondi nei quali non ho vissuto,
a vivere almeno con l’immaginazione una
seconda e diversa giovinezza, e tanto più che
del mondo che nei Sessanta era stato il mio
non mi è rimasto né il nome di un amico, né
le briciole di un ricordo, né un’immagine che
valga e duri all’oggi. Niente di niente”.
Come in tutte le forme autocompensatorie, il
rischio è quello dell’esaltazione acritica e
infatti nel libro Mughini si appassiona con la
fantasia a figure e movimenti che nella realtà
avrebbe accuratamente evitato,
tanto li avrebbe considerati
noiosi, ripetitivi e in
fondo vani.
Il diverso uso, spreco e/o
abuso della giovinezza spiega
anche, e molto bene, il
loro successivo percorso
esistenziale. Laddove
Mughini si definisce uno
che “di mestiere vende
parole. Esattamente com’è
degli idraulici, quando lo
chiamano e dopo aver fissato
il prezzo, raccatta gli
attrezzi e va”, e quindi scrive,
indifferentemennte, della
Juventus e di Brigitte
Bardot, della Prima repubblica
e del terrorismo, Fini
vuole giustamente per sé la
qualifica di
Ribelle, recita inteatro come
Cyrano, scrivemanifesti contro la
Democraziae la
Modernità. Nell’unoe nell’altro c’è la
ricerca affannosa a non
essere ciò che sono stati, a
cercare di essere qualcosa di
diverso.
Interessante è anche la loro
visione del sesso, e per certi
versi sorprendente. Fini che
scrive un libro dal titolo
Ragazzo
, e che continua avestirsi come fosse un teenager,
confessa che lui con
una ventenne non ci andrebbe:
“Non si può andare a
letto con i propri figli”
chiosa, mentre Mughini,
che fa della prosaicità borghese
una bandiera, nutre
per la giovinezza dei corpi
una venerazione che
dovrebbe essere finiana...
C’è qualcosa che non quadra,
un non detto oppure un
non risolto.
Come tutti quelli che sono
stati prima bambini intelligenti,
ma timidi e non toccati
dalla grazia della bellezza
pura, poi adolescenti
intellettuali a disagio con i
coetanei e impacciati con
l’altro sesso, Fini e Mughini
hanno sempre saputo che la
loro carta da giocare era
quella della testa e non del
corpo, ma a loro modo hanno cercato
comunque di indugiare su quest’ultimo: il
primo in un eccesso di notti bianche, fumo,
alcol, il secondo in una disciplina di atleta e
in un cosutme di vita più spartano. È anche
per questo che ne spiano i confini, l’odiata
vecchiaia che avanza per Fini, o li presidiano,
l’esasperazione del look per Mughini, ma
tutti e due senza l’illusione di ingannare il
tempo, l’unico vincitore certo dell’eterna
partita della vita