Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / I terrori del mezzogiorno e l'immaginario fantastico degli antichi

I terrori del mezzogiorno e l'immaginario fantastico degli antichi

di Francesco Lamendola - 21/01/2008

 

 

Ci siamo già occupati, in un precedente saggio intitolato Mostri, fantasmi e vampiri nel mondo antico, delle credenze dei Greci e dei Romani circa i fenomeni misteriosi della natura e quelli soprannaturali o, per usare un'espressione moderna, preternaturali.

Vogliamo adesso riprendere quelle riflessioni in una prospettiva più ampia, ossia delineando le caratteristiche generali dell'immaginario nel mondo antico tra magia, religione e superstizione, ambiti che non sempre erano nettamente delimitati l'uno con l'altro, ciò che del resto si può osservare anche nel mondo moderno.

In linea di massima si può affermare che l'uomo greco e quello romano erano maggiormente aperti e disponibili ad accettare la presenza del miracoloso e del soprannaturale nella loro sfera di vita quotidiana., di quanto non lo siamo noi oggi.

Giacomo Leopardi, nel suo giovanile ma eruditissimo Saggio sopra gli errori popolari degli antichi del 1815, così scrive nel capitolo settimo, intitolato Del meriggio (da: Leopardi, Tutte le opere, Firenze, Sansoni, 1969, 1989, vol. IV, p794-798):

 

"Tutto brilla nella natura all'istante del meriggio. L'agricoltore, che prende cibo e riposo; i buoi sdraiati e coperti d'insetti volanti che, flagellandosi colle code per cacciarli, chinano di tratto in tratto il muso, sopra cui risplendono ininterrottamente spesse stille di sudore, e abboccano con negligenza 4e con pausa il cibo sparso innanzi ad essi; il gregge assetato, che col capo basso si affolla, e si rannicchia sotto l'ombra; la lucerta, che corre timida a rimbucarsi, strisciando rapidamente e per intervalli lungo una siepe; la cicala, che riempie l'aria di uno stridore continuo e monotono; la zanzara, che passa ronzando vicino all'orecchio; l'ape, che vola incerta e si ferma su di un fiore, e parte, e torna al luogo donde è partita; tutto p bello, tutto è delicato e toccante.(…)

"Chi crederebbe che quello del mezzogiorno fosse stato per gli antichi un tempo di terrore, se essi stessi non avessero avuto cura d'informarcene con precisione?

"Fu sentimento antichissimo che gli Dei si lasciassero di tratto in tratto vedere dagli uomini. Nell'età d'oro ,dice Catullo, quando la pietà e le virtù regnavano ancora sulla terra, soleano gli abitatori del cielo discendere spesso a visitarla.(…)

"Ben tosto le apparizioni, in luogo di essere desiderate, furono temute.. Gi antichi tremarono al solo immaginarsi di poter vedere un Essere di cui non conoscevano la figura, e del di cui potere avevano una spaventosa idea. Raccontavasi che Pane si era qualche volta fatto vedere agli agricoltori, i quali dopo la sua apparizione erano stati sorpresi da morte improvvisa.(…)

"Il tempo destinato al sonno, cioè quello della quiete e del silenzio, è stato sempre il più proprio a risvegliare le chimeriche idee di fantasmi e di visioni, che quasi ogni uomo ha succhiate col latte. Si tace, si è solo, si è nelle tenebre: ecco i timori panici in folla, ecco i palpiti, ecco i sudori angosciosi, l'orecchio in aria per spiare ogni romore, i sospetti, e tavolta ancora le visioni immaginarie. Se tutto ciò è proprio dei fanciulli, noi possiamo considerar come tali gli antichi volgari, allevati in una religione che dava peso ai loro errori, e autorizzava i loro spaventi. Soleasi un tempo dormire regolarmente nell'ora del meriggio dopo il pranzo. Questo costume può sembrare antichissimo, e comune anche agli Ebrei. (…)

"Può dunque credersi che siffatta consuetudine fomentasse in qualche modo la persuasione in cui erano gli antichi, che gli Dei e i Geni comparissero in singolar modo, e atterrissero gli uomini nel tempo del meriggio.(…)

"Credevasi volgarmente, a dir di S. Girolamo, che v'avessero certi Demonii particolari, chiamati meridiani, e fra gli Ebrei è commun sentimento che la voce Keteb, che si ha nel testo originale del Salmo (90, 6), significhi un Demonio fierissimo, che assalisce apertamente e di giorno, mentre gli altri meno arditi si contentano di tendere insidie di notte. Non può dedursi dalle parole del Salmista che egli credesse ai folletti o agli spiriti vaganti precisamente nel tempo del meriggio, ma bensì che Ebrei fossero persuasi della loro esistenza. (…)

"Anche le ombre dei morti riputavansi comparire e andar vagando sul mezzogiorno, come vedesi sì nei citati versi di Stazio (Thebaid., lib. IV), sì presso Filostrato, il qual narra che i pastori non ardivano nel mezzogiorno avvicinarsi a Pallene, ossia Flegra, dove giacevano le ossa dei giganti, per timore degli spettri che apparivano in quel luogo facendo uno strepito spaventevole (Heroic., cap. 3).

"Quando agli Dei, dice Porfirio che nell'ora del mezzodì essi vanno passeggiando a diporto μεσημβριάζοντες, cioè, meridiantes: ovvero, come taluno ha creduto, che essi s'incamminano allora ai tempii per dormire (Porphyrius, De antro nympharum). «Quando il sole - così egli scrive - declina verso l'austro, non è lecito agli uomini entrare nei tempii. Allora passeggiano gl'Immortali. Perciò suol porsi sulla porta il segno del meriggio e dell'austro (…)».

"È dunque evidente che gli antichi aveano del tempo del meriggio una rande idea, e lo riguardavano come sacro e terribile. Noi abbiamo a rallegrarci che di un pregiudizio una volta sì commune, e di cui si trovano vestigi nei libri più antichi, rimanga ora appena la rimembranza, essendo esso totalmente cancellato dalla mente dei popoli."

 

In altra sede ci occuperemo specificamente di quello che, per i Greci e i Romani antichi, era il pavor nocturnus; qui ci basta aver ricordato che, quasi altrettanto temuta e, a volte, anche più temuta, era presso quei popoli l'ora del mezzogiorno.

Ciò aveva origine dal fatto che la giornata era immaginata come suddivisa in due parti (così come, ad esempio, presso la civiltà cinese antica, di cui erano riflesso certi riti magico-respiratori propri del taoismo): l'una che andava dalla mezzanotte al mezzogiorno, e che era considerata benigna; l'altra dal mezzogiorno alla mezzanotte, considerata, invece - almeno potenzialmente - malefica. Pertanto il mezzogiorno era il momento ambiguo e pericoloso in cui alla prima subentrava la seconda; e, più in generale, quella in cui alle divinità benefiche della luce subentravano quelle malefiche, o minacciose, delle tenebre.

Abbiamo visto che Leopardi ricorda il demone ebraico chiamato Keteb, che assaliva gli esseri umani anche in pieno giorno ed era, perciò, particolarmente e universalmente temuto.

Scrive, a questo proposito, Daniela Bisagno nel libro La parola incantata, Torino, Edisco, 2002; 2006, pp,  223-224:

 

"L'IMMAGINARIO EBRAICO-ORIENTALE: ANGELI E DEMONI

"Anche nell'immaginario religioso degli antichi ebrei, il mezzodì era il momento consacrato alle apparizioni soprannaturali, a quelle angeliche (è a mezzogiorno che i tre angeli di Dio si manifestano al patriarca Abramo, per annunciargli la nascita del figlio Isacco), come a quelle demoniache. È questa infatti l'ora pericolosa in cui irrompe, con tutta la sua forza malefica, il temibile demone 'devastatore' (yashud), provocando epidemie, febbre malarica e mietendo morte intorno a sé. Personificazione del contagio e della malaria, che si diffondevano nelle ore più calde della giornata, il demone meridiano era una figura frequente nell'immaginario dei popoli orientali.

"IL KETEB E IL DEMONE CORNUTO

"Un'altra figura mostruosa che, nelle credenze popolari ebraiche, usava manifestarsi nell'ora di mezzogiorno, era il demone keteb, un mostro ricoperto di capelli e dotato di un occhio solo posto vicino al cuore. Il keteb, che infieriva soprattutto nei mesi estivi e nelle ore più calde della giornata (dalle dieci antimeridiane alle tre meridiane),aveva l'abitudine di rotolare in avanti come una palla e di provocare la morte istantanea di tutti coloro che avevano la sventura di incontrarlo. Per questo, si raccomandava ai maestri di scuola di lasciar uscire i bambini non dopo le dieci, al fine di risparmiare ai piccoli l'incontro pericoloso con il demone 'rotolante'. Le leggende ebraiche narrano anche di un altro demone, monocolo come il keteb, un mostro cornuto che si faceva vivo a mezzogiorno, soprattutto nei mesi estivi e aveva l'abitudine di girare continuamente in cerchio.

"I DEMONI DEL MEZZOGIORNO NELLA RADIZXIONE CRISTIANA: L'IPPOCENTAURO

"Anche le leggende cristiane attestano l'esistenza dei demoni meridiani, figure mostruose che presentavano molte affinità con quelle concepite dall'immaginario pagano ed erano in buona parte un'eredità delle credenze greche antiche. Nei racconti sulla vita di sant'Antonio, ad esempio, si parla dell'ippocentuaro, un essere per metà uomo e per metà cavallo, che aveva la consuetudine di apparire a mezzogiorno, sotto i raggi ardenti del sole e di terrorizzare il santo. Gli studiosi sostengono che questo mostro fosse una figura strettamente legata alle Sirene, le quali, nell'immaginario arabo, erano creature mostruose abitanti del deserto, raffigurate con corpo in parte umano e in parte equino.

"LA FIGURA DI DIANA-ARTEMIDE NELLE LEGGENDE MEDIEVALI

"D'altronde, l'ippocentauro non è l'unico essere demoniaco creato dall'immaginario cristiano su suggestione di una figura mitologica greca. Le leggende cristiane medievali, ad esempio, testimoniano l'esistenza di un altro demone, altrettanto temibile,che si manifestava nell'ora di mezzogiorno e che veniva chiamato col nome di Diana-Artemide, la dea-cacciatrice, sorella del dio Apollo. Questa figura mitologica, che già nell'antichità pagana presentava molti aspetti malefici (si credeva ad esempio che il suo sguardo, oltre a essere pericoloso per gli uomini, avesse anche il potere di rendere sterili gli alberi o di farne cadere a terra i frutti), veniva rappresentata dai cristiani come una specie di furia. Vestita da cacciatrice, con l'arco e le frecce appesi alle spalle, essa percorreva a mezzogiorno le selve, seguita da una muta di cani o accompagnata da un ampio stuolo di demoni: chi per caso si fosse imbattuto in lei, veniva immediatamente assalito dalla collera, da desideri illeciti e impuri, quando non si ammalava di sonnambulismo.

"LE STORIE DEL PRETE IMPICCATO E DEI DIAVOLI LANCIATORI DI PIETRE.

"Gli effetti che la visione di Diana-Artemide causava negli uomini sono molto diversi da quelli provocati dagli altri demoni meridiani, di cui parlano le leggende medievali e a cui gli autori cristiani attribuivano l'insorgere di impulsi diabolici nelle persone. Lo storico francese Gregorio di Tours (538-594), per esempio, racconta il caso di un prete mendicante, il quale, in pieno mezzogiorno, era stato assalito da un'entità demoniaca e si era impiccato con una fune in casa sua. Mezzogiorno è anche l'ora in cui si vedono i fantasmi e in cui il diavolo in persona appare nei panni di una monaca, talvolta insieme alle streghe sue compagne. Non meno nefasto il demone notturno (un'altra entità malefica che si manifestava intorno alla mezzanotte), il demone meridiano si poteva combattere ricorrendo a esorcismi, a scongiuri, incantesimi, di cui ci è pervenuto qualche esempio attraverso antichi manoscritti.

"I MONACI E L'ACCIDIA

"Fra le varie conseguenze attribuite dagli antichi all'influsso del demone meridiano, una delle più gravi era senza dubbio l'accidia, che aggrediva soprattutto i monaci rinchiusi nei conventi. Il religioso colpito da questa malattia veniva assalito dal disgusto per le sue occupazioni quotidiane, comprese le letture dei libri sacri, da una grande stanchezza e spesso da una fame lancinante. Le sue facoltà razionali erano completamente annebbiate, per cui gli riusciva difficile applicarsi allo studio, come a qualsiasi altra attività che richiedesse un benché minimo impegno. In questo stato di depressione temporanea ,il monaco diventava preda di brutti pensieri, in molti casi anche di desideri carnali e illeciti, che venivano severamente condannati dalla Chiesa. Questo spiega il motivo per cui l'accidia, che veniva chiamata anche 'demone meridiano', fosse considerata dai teologi l'effetto di un'opera diabolica e compresa nel novero dei sette peccati capitali."

 

 

Più in generale, la credenza che a mezzogiorno il soprasensibile potesse fare irruzione nel mondo sensibile e che, pertanto, fosse assai pericoloso per gli umani farsi sorprendere in quell’ora presso templi o luoghi sacri (fonti, boschi, grotte), faceva parte di una mentalità aperta alla possibilità del trascendente. Non solo: di una mentalità che considerava possibile e “naturale” l’ingresso del trascendente nella sfera dell’umano, non solo per volontà degli uomini stessi – come nel caso della magia -, ma anche indipendentemente da essa e contro di essa.

La particolare struttura del pensiero mitico (di cui ci siamo già occupati nell’articolo Il pensiero mitico è diverso, non certo inferiore a quello scientifico) predisponeva gli animi e le intelligenze a una tale credenza, perché il pensiero mitico presuppone l’eterna attualità di eventi accaduti in illo tempore. Si pensi - tanto per fare un esempio – al mito di Artemide ed Atteone, in cui l’ignaro pastore viene tramutato in cervo e sbranato dai suoi stessi cani, per aver scorto al bagno, nuda fra le sue ninfe, la dea della caccia. L’episodio si colloca in un passato storico indefinito ma, al tempo stesso, sta a significare una possibilità sempre presente e in agguato nella vita quotidiana degli esseri umani: quella di trovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato; di essere, cioè, testimoni della vita degli dei. La morte, o la cecità, o una grave malattia erano la pena inevitabile per tale “colpa”.

C’è un bassorilievo, nel Museo romano di Aquileia, che raffigura il castigo inflitto a Zeus a un cacatoa, ossia a un lordatore di luoghi sacri. Vi è raffigurato un malcapitato personaggio che si abbatte sotto la folgore divina, mentre ancora la sua nudità rivela il misfatto compiuto, forse inconsapevolmente: quello di aver orinato in un boschetto consacrato al re dei Celesti. Si comprende, pertanto, come l’intera vita dei Greci e dei Latini si svolgesse sotto la spada di Damocle di una possibile apparizione - per lo più dalle funeste conseguenze - delle divinità maggiori o minori, di quelle supere o di quelle infere. L’animo era costantemente oppresso dal timore, dall’angoscia, dalla paura e spingeva i fedeli a moltiplicare le preghiere, gli scongiuri, i rituali superstiziosi, per cercar di rassicurare sé stesso.

Non era una concezione religiosa fatta per dare serenità e pace agli esseri umani, né per avviarli alla redenzione e alla salvezza, e sia pure attraverso rinunce, sacrifici e mortificazioni. Sta qui la prima radice del successo dei culti misterici prima, e di quelli soteriologici d’origine orientale, poi. Si può anzi pensare che questi ultimi, alla fine, prevalsero proprio perché, per una serie di ragioni storiche, i culti misterici non furono più in grado di compensare le carenze di una religiosità “ufficiale” che non sollevava gli uomini dall’angoscia. Il cristianesimo, ultimo arrivato, fu uno di tali culti soteriologici,; ma è stato osservato, con molta ragione, che se il mondo antico non fosse divenuto cristiano, certamente sarebbe divenuto mithraico: tale era l’inesorabile trasformazione avvenuta gradualmente nella spiritualità antica, dopo secoli e  secoli di religiosità insoddisfacente, che aveva prodotto i due estremi dello scetticismo radicale o della frustrazione e della paura di vivere croniche e irrimediabili.

Scrive ancora Daniela Bisagno (op. cit., pp. 236-237):

"Come i greci, anche i romani antichi possedevano un vasto repertorio di superstizioni, di cui una parte era stata importata dal mondo greco-orientale, un'altra era stata ereditata dagli etruschi, e un'altra, infine, era un prodotto locale, frutto dell'immaginazione spontanea di questo popolo. Le Lamie, per esempio, figure terrificanti particolarmente golose di bambini, di cui andavano a caccia, erano il corrispettivo della Mormò greca, raffigurata come una donna spaventosa con una gamba d'asino. I Lemuri, le ombre dei morti, erano invece un prestito della religione etrusca, maestra e guida di quella romana. Sii trattava di fantasmi, che vagavano nel mondo dei vivi, perché incapaci di vincere la loro attrazione per la vita terrena; oppure di anime di persone morte il cui corpo non era stato sepolto e onorato, come prevedevano i riti, e che continuavano a vagare sulla terra, per esortare i superstiti a seppellirne il cadavere, ponendo così fine alla loro pena.

"LUPI MANNARI, VAMPIRI, STREGHE E MOSTRI MARINI.

"La credenza negli spettri era diffusissima in Roma: c'erano case spiritate, che erano state in passato scenario di qualche delitto e che diventavano perciò la meta preferita dei fantasmi dei poveri assassinati, i quali avevano l'abitudine di frequentarle nottetempo, accompagnando le loro manifestazioni con fragore di ferro e di catene, Altre figure paurose, che compaiono accanto agli spettri nella classifica dei mostri romani, sono i lupi mannari, chiamati in latino versipelles. I lupi mannari erano uomini che, nottetempo, si trasformavano in lupi e, in queste sembianze, assalivano gli ovili, per far scorpacciate di pecore, prima di riprendere, con l'apparire del giorno, il loro aspetto umano. L'oscurità ,da sempre scenario prediletto dai fantasmi e dai demoni, offriva anche lo sfondo ideale per i voli notturni di certe vecchie streghe che, come testimonia anche lo scrittore Apuleio nelle sue Metamorfosi, conoscevano l'arte di trasformarsi in uccelli e svolazzavano, malefiche, nella notte, terrorizzando i passanti. Non meno temibili erano gli strani mostri dei mari settentrionali, mezzo uomini e mezzo belve, e l'uomo marino, molto temuto dai naviganti, il quale di notte saliva sulle navi e, con la sua mole gigantesca, le faceva inclinare. Naturalmente, dalla mitologia superstiziosa degli antichi romani , non potevano mancare i vampiri e le streghe, che sono presenze fisse nell'immaginario favoloso di tutti i popoli. La loro 'specialità' consisteva nel penetrare furtivamente nelle case dove si trovava qualche cadavere, che essi trafugavano, per poi deturparlo in vario modo, ad esempio…mangiandogli il naso!

"SUPERSTIZIONI, PRATICHE MAGICHE E…MALOCCHIO

"I romani antichi conoscevano anche una gran quantità di pratiche magiche e di rituali, che avevano lo scopo di prevenire eventuali disgrazie, di rendere propizie certe potenze oscure o di limitarne gli influssi dannosi. Una pratica molto diffusa era quella di scrivere sulle porte delle case una parola di origine etrusca, Arseverse, 'allontana il fuoco', al fine di scongiurare il pericolo degli incendi. Vi erano formule di incantesimo contro la grandine, contro malattie di ogni specie, persino contro le scottature, sulla cui efficacia abbiamo anche la testimonianza autorevole dello scienziato latino Plinio il Vecchio. Inciampare, uscendo, sulla soglia di casa, era considerato, ad esempio, di cattivo auspicio: il malcapitato avrebbe fatto meglio a ritornarsene in casa e a restarvi chiuso tutto il giorno, per evitare guai e incidenti incresciosi. Nominare un incendio durante un banchetto era considerata una grave imprudenza, a cui si poteva rimediare però buttando acqua sulla tavola. Anche fare brutti sogni alla vigilia di un appuntamento importante era considerato di cattivo augurio, per cui si suggeriva al sognatore di rinviare l'appuntamento a un'altra data, onde evitare brutte sorprese. Da buoni superstiziosi, i romani temevano anche il malocchio e cercavano di allontanarlo servendosi di amuleti di varia forma. Molto temuti erano anche i lampi, contro cui i romani usavano proteggersi con un sistema abbastanza strano, utilizzato, come ci informa Plinio il Vecchio, anche da altri popoli, e cioè…fischiettando.

"SUPERSTIZIONE E RELIGIONE

"L'atteggiamento superstizioso dei greci e dei romani testimonia di una visione della vita e di uno stile religioso molto diversi dai nostri. La superstizione, condannata in tutte le sue forme dal cristianesimo, per gli antichi rientrava perfettamente nel quadro dei normali rapporti fra uomo e divinità. Essi erano convinti che la divinità, nella sua profonda bontà e onniscienza, intendesse avvertire l'uomo di eventuali pericoli e si avvalesse di segni o presagi,allo scopo di avvisarlo che c'erano guai in vista. Inciampare, udire il canto malaugurante del gufo o della cornacchia, fare un cattivo sogno, erano, per la mentalità religiosa dei romani, dei veri e propri presagi, cioè dei segni con cui la divinità ci metteva in guardia contro un pericolo imminente. Solo gli uomini irreligiosi, che escludevano ogni intervento delle divinità nella vita umana, negavano a questi segni ogni valore di presagio e irridevano le superstizioni, considerandole un segno di ignoranza."

 

Per approfondire l'ultimo aspetto qui trattato, ossia il diverso stile religioso degli antichi rispetto a quello dei moderni, rimandiamo al nostro recente articolo La preghiera nel mondo greco e la preghiera nel mondo moderno.