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Quando la follia diventa strategia: la trappola degli asset russi

di Pino Cabras - 09/12/2025

Quando la follia diventa strategia: la trappola degli asset russi

Fonte: Pino Cabras

Ursula Guerrafonderleyen e il suo circo di sonnambuli bellicisti insistono. Ci martellano i cabasisi giorno e notte con l’idea malsana di trasformare gli asset sovrani russi “congelati” in un grande fondo di guerra per alimentare l’insaziabile buco nero delle cosche di Kiev. La presentano come un atto di “giustizia”, addirittura come una leva per costringere Mosca al tavolo dei negoziati. In realtà siamo di fronte a una delle operazioni politiche più irresponsabili e destabilizzanti che si potessero concepire nel momento più fragile dell’ordine globale.
La fiducia internazionale è già un casino che la metà basta. Di certo non è un bene ornamentale. Dovrebbe essere la struttura portante su cui si reggono mercati, scambi, riserve valutarie, interdipendenze commerciali e stabilità geopolitica. Se l’Europa decidesse di rompere unilateralmente quel principio fondamentale – la sicurezza delle riserve sovrane depositate in mano a Paesi che si dicono “civilizzati” – si aprirebbe una ferita insanabile. Da un giorno all’altro, decine di Stati non occidentali sarebbero incentivati a ritirare ogni disponibilità finanziaria dai mercati europei. Non tanto per simpatia verso Mosca, quanto per semplice autodifesa. Crollerebbe l’immagine dell’Europa come spazio prevedibile e affidabile. Le facce di Ursula, di Merz, di Macron, di Starmer, già vicine alla totale impresentabilità, diventerebbero un marchio d’infamia assoluto. Si aprirebbe una fuga di capitali senza precedenti, capace di erodere ogni tenuta monetaria europea e di scuotere a fondo i sistemi bancari e industriali del continente, con effetti a catena letteralmente “imprevedibili”.
Nel secolo dell’economicismo ottuso e dei suoi Draghi va precisato una volta di più – a scanso di equivoci - che in questo caso non si tratta solo di economia. Un simile atto creerebbe un precedente legale tossico, che nessuna potenza emergente potrebbe accettare: basterebbe una maggioranza politica del momento per dichiarare un Paese “aggressore” e requisirne le riserve. È la legalizzazione del saccheggio. Per questo le potenze dell’Eurasia, dall’India alla Cina fino ai Paesi del Golfo, considerano l’idea di Bruxelles una minaccia diretta alla propria sovranità, un avvertimento brutale a diversificare e soprattutto ad allontanare i propri capitali dall’Occidente. Non che gli impieghi alternativi sarebbero automatici, anche perché i recenti usi del dollaro come arma hanno creato sfiducia anche verso la moneta più importante. Ma di certo si creerebbe un’ondata sconvolgente che lascerebbe soprattutto l’Europa in braghe di tela.
Le ritorsioni, poi, sarebbero inevitabili. Non esiste Stato al mondo che subisca un esproprio di questa portata senza reagire. Mosca nazionalizzerebbe gli asset europei sul proprio territorio, taglierebbe selettivamente esportazioni cruciali (uranio, combustibili, metalli rari), chiuderebbe valvole energetiche e rotte logistiche, e aprirebbe allora sì i tanto paventati fronti “ibridi”: dopo tante bufale sulla guerra ibrida usate come “false flag” al rallentatore per spillarci soldi per darli alle industrie belliche, allora sì che un ampio spettro di misure ostili entrerebbe in campo su ogni vulnerabilità, resa più grave proprio dai presunti fanatici della sicurezza. E soprattutto: si chiuderebbe ogni varco di negoziato. Perché nessuno si siede a un tavolo mentre gli stanno rubando sfrontatamente la cassaforte.
È qui che la narrazione di Ursula e dei suoi zelanti propagandisti (ne abbiamo a bizzeffe, tatuati e non) tocca l’apice del grottesco. Ci raccontano che la confisca degli asset “porterebbe la Russia alla pace”, quando in realtà porterebbe l’Europa nella trappola micidiale di un’economia di guerra permanente. Se tocchi le riserve sovrane di una potenza nucleare, non la dai a bere a nessuno che stai compiendo un gesto “etico”: ti vedono come uno che sta spingendo l’intero continente verso un’escalation incontrollabile, con la politica assorbita dagli apparati militari, la società compressa dall’emergenza, l’economia asfissiata da tensioni esterne e interne. Una spirale distruttiva che nessun cittadino europeo ha mai votato.
E allora bisogna dirlo con chiarezza: chi sostiene questa manovra non sta difendendo l’Europa, anzi, la espone al disastro. I complici di Guerrafonderleyen, la banda di interventisti da divano – politici, editorialisti, strateghi improvvisati che sognano il saccheggio come se fosse una crociata morale – stanno tradendo gli interessi vitali del popolo. Con un entusiasmo irresponsabile, sono pronti a sacrificare stabilità, benessere, pace e credibilità internazionale pur di assecondare la loro ossessione bellicista. Per cosa, poi? Per consentire un’altra rimpinguata ai conti correnti dell’imbarazzante nomenklatura zelenskyana? Anche no, grazie. Traditori che ci danno dei traditori perché raccontiamo la verità della loro follia, e che vanno trattati da traditori.
Se mai l’Europa dovesse imboccare davvero quella strada, magari truccando le regole per superare l’opposizione di alcuni Stati, non sarà certo per amore della giustizia, bensì per una miscela velenosa di fanatismo geopolitico e sudditanza strategica agli interessi di pochi pescecani della guerra. E il conto, come sempre, lo pagheranno milioni di innocenti. Non i banditori della guerra che oggi gridano vittoria, ma domani scapperanno lasciando un continente in macerie.