Monadologia tecno-umana
di Rita Remagnino - 09/12/2025

Fonte: EreticaMente
Se prendiamo per buona la credenza secondo cui l’uomo sarebbe un angelo caduto dal cielo, incapace di dimenticare il tempo felice in cui ebbe le ali (Platone), assume un senso la scelta di vivere il corpo come una condanna ingiusta. Un ergastolo che lega gli umani alla terra, mentre il loro sguardo cerca ancora le stelle. Una prigione di carne che, comunque, non ha scoraggiato gli innumerevoli tentativi di fuga – spirituale, esistenziale e filosofica – pianificati nel corso del tempo per rimediare all’inconveniente:
• gli Gnostici si aggrapparono alla conoscenza, sperando di guadagnare la libertà con la ragione e l’innovazione;
• la tradizione umanista rinascimentale (Pico della Mirandola) confidò nelle potenzialità dell’uomo artefice di sé stesso;
• l’Illuminismo e l’ottimismo scientifico (Condorcet, Kant) individuarono nella scienza l’arma decisiva per ottenere il riscatto;
• il darwinismo sconfinò nell’eugenetica (H.G. Wells: “L’uomo è una fase transitoria“);
• il futurismo degli anni ’20-’30 (J.B.S. Haldane, ingegneria biologica) ripose ogni speranza nelle magnifiche sorti e progressive;
• la cybernetica degli anni ’60 (Norbert Wiener, FM-2030) associò la svolta alla fusione uomo-macchina.
Oggi la religione implicita transumanista scommette sulle le tecnologie avanzate, sperando che portino l’uomo al superamento dei limiti biologici (morte, malattie, capacità cognitive/fisiche), al potenziamento radicale (enhancement), alla condizione post-umana (posthumanity). Ma nel fare ciò il nuovo credo si contraddice, finendo per costruire altre gabbie in mondi estetici pre-costruiti, dove la finzione (deepfake) sostituisce il reale e i filter bubble (es. TikTok) decidono le tendenze, i canoni di bellezza o bruttezza, il lecito e l’illecito, il permesso e il proibito.
La fuga dalla dualità, insomma, è sfociata in nuove dualità.
D’altra parte, la religione transumanista non esce dalle elucubrazioni di menti eccelse, né appartiene a importanti civiltà, ma è un semplice costrutto progettato a tavolino da ingegneri, artisti e designer, la cui matrice culturale giudaico-evangelica si è limitata a cambiare abito all’ idea gnostica di «salvezza», conservando la sostanza.
Il corpo continua così ad essere vissuto come una prigione (cfr. Orfici, Platone, gnostici, ascetismo orientale e occidentale, dualismo cartesiano, ecc.), mentre la speranza si rifugia nell’ultimo ritrovato della tecnica, vista ogni volta come un grimaldello per scardinare le sbarre del reale e bypassare le emozioni «arcaiche» (es. upload mentale, esistenza digitale). Il tutto si svolge nell’atmosfera dilatata che intercorre tra la domanda e la risposta, cioè nell’attesa del fattore risolutivo che estirperà il problema alla radice, liberando l’uomo dalla carne, dall’inconscio, dai desideri mimetici.
Chiaramente il mondo del transumanista non è più quello degli «attendisti» tradizionali, perciò il pellegrino spirituale sulla Via della Tecnica, o redenzione escatologica, si serve di strumenti concettuali più moderni. Per esempio, il ritorno ideale al Pleroma (l’unità originaria della luce gnostica) è stato sostituito da soluzioni artificiali come la Singolarità post-biologica e l’ibridazione uomo-macchina.
La situazione, però, non è affatto migliorata. Anzi: lo gnostico respingeva il Demiurgo, mentre il transumanista lo serve. La sua fuga dal mondo, è adattamento a un futuro ipertecnologico creato dal Demiurgo sotto forma di IA. Il suo disprezzo della carne, è adorazione dell’«esistenza digitale». Solo la speranza, è rimasta la stessa:
• “Chi conosce il Padre ritorna all’unità luminosa del Pleroma”
(Vangelo di Verità, NHC I,3).
• “Il mind uploading ci permetterà di vivere per sempre come software”
(R.Kurzweil, The Singularity Is Near, 2005).
Un esempio plastico del passato che non passa, è l’architettura californiana di Apple Park, il cosiddetto “Centro della Gnosi Tecnologica“: un enorme anello di cemento armato che evoca il Pleroma, interpretato dagli gnostici come la dimensione divina primordiale, eterna e infinita, ovvero lo stato «pre-lapsariano» (dal latino pre + lapsus [caduta] + -ariano) che precedette la caduta e la frammentazione del cosmo materiale.
Anticamente il Pleroma era percepito come la totalità perfetta e indivisa della divinità dentro cui gli «eoni», o emanazioni della luce trascendente, agivano come mediatori tra l’Uno e il molteplice. Oggi, invece, la sede del «mondo eonico» è Cupertino, nel cuore della Valle del Silicio, dove sorge un centro efficiente in cui le IA svolgono funzioni di sorveglianza e controllo.
Sormontato da una centrale ad energia solare e contenente un laghetto circondato da circa 6.000 alberi, l’enorme anello di vetro e cemento è un incrocio fra l’Eden in miniatura e la sua parodia materialista. All’interno di questa disneyland del digitale, le intelligenze artificiali rappresentano l’ultima forma di hybris (chi le programma, decide l’«ordine» del mondo), mentre la Singolarità ha sostituito il Pleroma gnostico.
Dall’argilla al silicio, ma senza staccarsi dalla materia.
Per ovvie ragioni, gli attori di questo dramma umano sono cambiati, sicché dalla Sophia gnostica (simbolo della saggezza perduta e della caduta nel mondo materiale), passando per il Salvatore-Androgino (Cristo gnostico che riconcilia gli opposti), si è giunti all’AI God (ipotetica intelligenza divinizzata). Il copione, però, si ripete.
L’ultimo aspirante all’unicità mistica (henosis) che cancellerà per sempre la fragilità umana, è l’Uno-Tecnologico, o Redentore-Androgino. Un ruolo già interpretato dall’attore primordiale e archetipico descritto nell’Apocrifo di Giovanni e nel Vangelo degli Egiziani, a sua volta proveniente da culture ancestrali presso le quali l’Uomo Originario (Sapiens?) era l’essere perfetto e spiritualmente indiviso, incarnazione dell’unità perduta.
Nella cosmogonia gnostica questa entità rappresentava la pienezza dello stato edenico antecedente alla caduta nella dualità, mentre il transumanesimo l’ha trasformata in un nume mitologico in sembianze di cyborg: un soggetto/oggetto composto da elementi biologici e tecnologici integrati tra loro in modo sinergico.
Ad ogni modo, niente di nuovo:
• “L’Uomo originale era un essere luminoso, maschio e femmina insieme”
(Apocrifo di Giovanni, NHC II,1).
• “Il cyborg è una condizione post-gender, oltre la biologia”
(Donna Haraway, Manifesto Cyborg, 1985).
A seconda delle scelte tecniche, narrative o filosofiche poste alla base del suo concepimento, l’ibrido di carne, metalli e terre rare (il corpo minerale del Demiurgo?) chiamato «cyborg» può essere asessuato e/o genderizzato, ma comunque resta estraneo alla sessualità umana.
Siamo all’interno di un più ampio processo di decostruzione dei confini identitari? L’uomo-macchina fluido, privo di una rigida biologia, rientra in una visione post-umana dove l’autodefinizione – svincolata dalla natura – si fa scelta, ovvero programmazione algoritmica? Esiste una regia occulta dietro tutto questo (Baudrillard)? C’è un disegno per destabilizzare l’umano e preparare l’avvento di un dispotismo tecnocratico?
Se accettiamo l’idea che il genderismo (decostruzione di genere) e il transumanesimo siano due facce della stessa medaglia, allora è lecito pensare al peggio. Forse, qualcuno sta spianando la strada a un’epoca in cui l’identità sarà completamente malleabile non soltanto nella struttura fisica, ma soprattutto nella mente e nello stesso status di «persona».
È possibile che la fluidità assoluta porti a una perdita di radicamento e a un nuovo totalitarismo digitale, come temono molti autorevoli pensatori (es. Byung-Chul Han). Ma potrebbe anche darsi che tutto questo sia destinato a rimanere nella letteratura religiosa, magari come versione 4.0 dell’inganno degli Arconti. Di sicuro, c’è un solo fatto: l’uomo è l’unico animale che si vergogna di essere ciò che è, per questo fa di tutto per apparire diverso.
Il disagio risale al gesto fatale di Adamo ed Eva che coprirono le proprie nudità dopo il peccato originale (Genesi 3,7-21), vergognandosi del loro stesso corpo (Genesi 2,25). Da allora, l’essere umano è più esposto, vulnerabile, malaticcio. Patologico, direbbe il dottor Freud.
In quest’ottica, le foglie di fico utilizzate nel giardino delle delizie possono essere considerate la prima «maschera» del tempo storico: non soltanto servirono a nascondere il corpo, ma occultarono la verità di una condizione ormai corrotta, che, rinnegando la propria immediatezza animale, iniziò a erigere difese pratiche e simboliche, di volta in volta sempre più complesse.
L’ultimo di questi scudi difensivi, appunto, è il cyborg. Un’armatura infeconda contro la vulnerabilità della carne che riecheggia il trauma primordiale, la frattura con dio, lo strappo tra l’umano e il Tutto, la divisione dal mondo animale e vegetale.
Nell’Era della Tecnologia, la nostalgia dell’unità perduta rivive nell’androginia meccanica. Se non che, a furia di passaggi e surrogati, l’ideale dell’essere indiviso si è infilato in una «gnosi rovesciata» dove il cyborg cessa di essere una prospettiva per diventare un esperimento in eterno beta-testing, ovvero una prova di eternità nelle mani del biopotere tecnologico.
All’opposto dell’androgino gnostico, libero dalla materia (completo), quello contemporaneo per sopravvivere deve continuamente fluidificarsi, cioè dissolversi nella rete dei dati. Fino a quando, non si sa. Ma certo il cyborg non potrà essere riparato all’infinito, prima o poi l’incompatibilità con le nuove tecnologie lo farà «morire», mettendolo così sullo stesso piano dell’essere umano.
Inutile dire che i suoi artefici negano tale eventualità, minimizzando: “Il bug, verrà risolto con un aggiornamento“, oppure “L’algoritmo non era allenato abbastanza, ma si può rimediare“. I mercati possono stare tranquilli, tutto è riparabile.
L’insieme appare come un monumento al do ut des: i tecno-scienziati hanno bisogno dello stipendio, le aziende hanno bisogno di narrative a sostegno dei miliardi in gioco, i fedeli hanno bisogno di credere alla magia tecnologica che auto-rigenerandosi li condurrà lontano da questo schifo di mondo, cioè dalla realtà.
Tuttavia, sembra improbabile che la «via di liberazione» lastricata di rivelazioni algoritmiche riesca ad avere successo là dove speculazioni filosofiche di altissimo livello hanno fallito. Se davvero il cyborg fosse l’«uomo perfetto», ovvero la logica conclusione del ciclo iniziato con l’androgino primordiale, che bisogno ci sarebbe di creargli un Nemico Assoluto? Quale interezza potrà mai rappresentare, se deve cercare in continuazione lo scontro/confronto con il corpo biologico per ridefinire il proprio cammino?
A meno che, il cyborg abbia preso il modello sbagliato e, anziché ispirarsi a un ideale puro e disincarnato, funzioni come uno specchio che restituisce l’immagine ingrandita e potenziata dell’«uomo carente» del XXI secolo. Si spiegherebbe, in tal caso, il motivo per cui amplificando le nostre imperfezioni collochi figure antiquate come angeli e demoni nella post-umanità.
Se il mondo si è evoluto, come mai le paure sono sempre le stesse?
In qualità di rivisitazione della dialettica gnostica, l’escatologia transumanista non ha una risposta. La via iniziatico-mistico-simbolica prevista per il cyborg è una ripetizione di sogni e utopie mai realizzati, perciò non si segnalano novità. Solo un’aggravante: l’istinto umano suggeriva allo gnostico come sfuggire alle trappole degli Arconti attraverso simboli di luce e parole di potere (vibrazioni sacre), mentre l’uomo-macchina dipende interamente da algoritmi che sorvegliano, editing genetici che modellano e rituali digitali che legano.
Dalla libertà di scelta, alla sottomissione.
Scartata la possibilità che il cyborg si ribelli, resta l’inquietante prospettiva che possa obbedire troppo bene agli umani che lo possiedono, replicando e potenziando gli errori peggiori. Ciò significa, in concreto, un improbabile «ritorno a casa», da intendersi come superamento delle limitazioni e ricongiungimento ideale con l’androgino primordiale.
Prima di essere tecnica, la strada che conduce alla meta è etica e culturale. La proverbiale saggezza androginica stava nel riconoscimento della propria finitezza, nel rispetto del mistero della propria natura. Ma continueremo a girarci attorno, coltivando l’illusione di riuscire ad abbattere ostacoli insormontabili come le leggi della fisica e della fisiologia (es.: resistenza dei tessuti, decadimento cellulare). L’idea di poter risolvere simili dilemmi in laboratorio, è solo il miraggio di un’epoca al tramonto che verrà dimenticata alle prime luci della prossima alba.

