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Come «Lo Stato profondo» permane al di là delle alternanze dei partiti

di Thierry Meyssan* - 12/03/2008



Dietro la Casa Bianca, la continuità del potere


Sessant’anni di propaganda atlantista ci hanno convinto che gli Stati Uniti sono una grande democrazia. Eppure, nessun osservatore pensa che Ronald Reagan o George W. Bush abbiano esercitato il potere legato alla loro funzione; ma, allora, chi presiede ? O, ancora, gli osservatori sono concordi nel ritenere che, una volta ricontate le schede elettorali, Al Gore avesse vinto le elezioni del 2000; ma, allora, perché Bush occupò la Casa Bianca ? Altrettante domande alle quali nessun giornalista ha voglia di rispondere. Thierry Meyssan rompe il tabù.


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24 febbraio 2008


Nel corso degli ultimi 60 anni, gli Stati Uniti si sono dotati di ciò che viene chiamato «l’apparato di sicurezza dello Stato». Esso fu costituito come uno Stato dietro lo Stato, incaricato di condurre nell’ombra la Guerra fredda contro l’URSS, poi di occupare lo spazio lasciato vacante dall’Unione Sovietica dopo il suo smantellamento e di condurre la Guerra al terrorismo. Esso dispone di un governo militare fantasma, designato per sostituire il governo civile, nel caso in cui quest’ultimo sia decapitato da un attacco nucleare.

Il presidente Eisenhower dichiarò nel suo celebre discorso di addio (17 gennaio 1961) : « Nei consigli di governo, dobbiamo guardarci da un’influenza illegittima, sia essa cercata o meno, dal complesso militare-industriale. Esiste e persisterà il rischio di un’evoluzione disastrosa di un potere usurpato. Non dobbiamo mai lasciate che il peso di questa congiunzione minacci le nostre libertà o i processi democratici ».

Ma tale messa in guardia è stata insufficiente. La logica dell’« apparato di sicurezza dello Stato » ha progressivamente sommerso quella delle istituzioni civili che pure doveva proteggere. Il complesso militare-industriale ha usato il suo potere per modellare le istituzioni civili a suo vantaggio invece di servirle. In definitiva, la lobby della guerra ha falsato il processo elettorale ed è arrivata, ad ogni elezione presidenziale, a scegliere l’uomo che avrebbe occupato la Casa Bianca.

Da 60 anni, senza eccezioni, il presidente è il candidato che si è impegnato a realizzare le esigenze dell’« apparato di sicurezza dello Stato » e che ha ottenuto il massiccio finanziamento delle imprese che hanno contratti col Pentagono. Naturalmente, una volta installato nella Sala ovale, l’eletto tenta sempre di affrancarsi dai suoi patrocinatori e di riavvicinarsi ai reali interessi del suo popolo. Sta a lui scoprire il margine di manovra di cui dispone, col rischio di perdere la sua unzione e di essere eliminato, politicamente o addirittura fisicamente. Stando così le cose, il rischio di un presidente che si liberi dallo «Stato profondo» e si mantenga comunque al potere è limitato dal divieto, stabilito alla stessa epoca, di avere più di due mandati consecutivi.

In tali condizioni, — come vedremo — l’alternanza tra democratici e repubblicani non è per i cittadini statunitensi un mezzo per cambiare politica, ma un mezzo per l’« apparato di sicurezza dello Stato » per continuare la stessa politica al di là dell’impopolarità di un presidente usato. È l’applicazione del principio che Giuseppe Tomasi di Lampedusa attribuisce al Gattopardo: « Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi ».

Occasionalmente, « lo Stato profondo » affiora e lascia intravedere la sua forza. A volte accade nel periodo della transizione presidenziale : una semi-vacanza del potere quando il presidente uscente amministra le questioni ordinarie e il presidente eletto si prepara a governare.

Nel XVIII secolo, questo periodi di transizione di 11 settimane si spiegava con il tempo necessario per stabilire i risultati e costituire una squadra in relazione con l’immensità del paese e con la lentezza dei mezzi di comunicazione. Il primo si svolse nel 1797 quando John Adams succedette a George Washington. Per un secolo e mezzo questo periodo non fu retto da nessuna procedura, perché i due presidenti (uscente ed entrante) non avevano alcuna ragione di collaborare l’uno con l’altro. Oggi è del tutto diverso in quanto questo periodo è messo a profitto dall’« apparato di sicurezza dello Stato » per presentare al nuovo locatario della Casa Bianca quello che deve sapere dello « Stato profondo ». Per capire tale sistema, torniamo alla storia di queste transizioni.

La Guerra fredda mantiene la democrazia tra parentesi

Harry Truman (1945-1953) modificò profondamente la natura dello Stato federale creando al suo interno l’« apparato di sicurezza dello Stato » composto dal trittico Consiglio dei capi di stato maggiore (JCS), Agenzia centrale d’informazione (CIA) e Consiglio nazionale di sicurezza (NSC). Questi organismi non trasparenti dispongono di poteri esorbitanti, come ne esistono solo in tempo di guerra. Perché la loro missione è precisamente quella di prolungare la mobilitazione della seconda guerra mondiale, senza tuttavia mantenere la società civile sotto pressione, per condurre una nuova forma di guerra contro l’Unione Sovietica, la Guerra fredda.

Per « contenere » l’influenza sovietica, Truman organizzò il ponte aereo verso Berlino, costituì l’Alleanza Atlantica (NATO) e dichiarò la guerra di Corea. Inoltre, estese lo « Stato profondo » USA all’interno degli Stati alleati, attraverso la creazione delle reti stay-behind e la loro integrazione in seno alla CIA [1].

« L’apparato di sicurezza dello Stato » riteneva che il miglior successore di Truman fosse il generale Dweight Eisenhower. Egli era stato il comandante supremo delle forze alleate in Europa durante la Seconda guerra mondiale, poi quello della NATO. Era l’uomo idoneo per continuare la guerra di Corea fino alla vittoria. L’opinione pubblica lo idolatrava e lo considerava un eroe, sebbene non avesse mai combattuto personalmente, né si fosse mai avvicinato alla linea del fronte.

Eisenhower non era un uomo politico e non aveva mai preso una precisa posizione di appartenenza, per cui ogni partito tentò di attirarlo a sé. Truman lo sollecitò invano per conto dei democratici, ma alla fine ebbe l’investitura repubblicana. Con questo partito egli concluse un accordo in base al quale avrebbe avuto libertà di azione per condurre una politica estera anti-sovietica e per « mettercela tutta » in Corea fino alla vittoria. In contropartita, Eisenhower si impegnava a condurre una politica interna ed economica conservatrice. Ad affiancarlo nella candidatura, scelse il senatore Richard Nixon (la cui figlia doveva ben presto sposare suo nipote) ; personalità che si era messa in luce animando la « caccia alle streghe » contro i comunisti.

Quando Dweight Eisenhower fu eletto, Truman prese contatto con lui per presentargli il dispositivo di sicurezza nazionale la cui esistenza era pubblica, ma il funzionamento segreto.

Eisenhower elaborò la dottrina di difesa che porta il suo nome, in base alla quale gli Stati Uniti non avrebbero esitato ad impiegare la forza, ovunque nel mondo l’influenza comunista avesse minacciato gli interessi occidentali. Inoltre, egli unì al sistema di sicurezza nazionale il principio della continuità del governo. Designò, con un decreto segreto, un governo alternativo, formato sia da militari che da industriali scelti tra i suoi amici, incaricato di prendere il testimone in caso di annientamento delle istituzioni da un attacco nucleare sovietico. Così, accanto al processo costituzionale di vacanza del potere, esiste dagli anni 50 una seconda procedura — stavolta militare-amministrativa — che può essere messa all’opera in caso di apocalisse nucleare. Nel primo caso, il presidente è sostituito dal vice-presidente e poi, se necessario, dal presidente pro-tempore del Senato, poi da quello della Camera dei rappresentanti. Nel secondo caso, gli eletti sono corto-circuitati da un governo fantasma — la cui composizione è segreta — che esce improvvisamente dall’ombra sebbene non disponga di alcuna legittimità elettorale.

Eppure, « l’apparato di sicurezza dello Stato » rimproverò ad Eisenhower di non aver fatto abbastanza, specialmente in material di missili e rifiutò di sostenere il vice-presidente Nixon come successore. Preoccupato delle conseguenze che poteva avere per la democrazia il crescente potere del complesso militare-industriale, Einsenhower mise in guardia i suoi concittadini nel suo discorso di addio che abbiamo citato in precedenza. La lobby della guerra si rivolse dunque verso il partito democratico.

Fu così che John F. Kennedy ottenne il sostegno degli industriali dell’armamento. Per accattivarseli, egli incentrò la sua campagna elettorale sulla denuncia di un presunto vantaggio acquisito dai Sovietici in materia di missili e sulla necessità di colmare tale iato (« missile gap »). Inoltre, egli designò come suo candidato vicepresidente il guerrafondaio leader del gruppo parlamentare democratico Lyndon Johnson. Direttamente legato al complesso militare-industriale, nel corso della campagna elettorale egli prese l’iniziativa di creare dei gruppi di lavoro per tracciare un bilancio della situazione e per preparare le sue prime decisioni nel caso fosse stato eletto. Mise i suoi due principali rivali per l’investitura democratica alla testa dei due più importanti gruppi di lavoro, neutralizzando così il loro rancore e traendo beneficio dalla loro consulenza. Giunse a creare fino a 29 gruppi tematici. Tutti i membri erano volontari. Una volta eletto, Kennedy designò l’avvocato Clark Clifford come coordinatore del passaggio di poteri con Eisenhower, poi chiamò nel suo gabinetto almeno un membro di ogni gruppo di lavoro. Clifford non era stato scelto per le sue qualità di avvocato e di negoziatore, ma perché era un falco e un rappresentante dello « Stato profondo ». Aveva partecipato a fianco di Truman alla creazione dell’« apparato di sicurezza dello Stato » ed era stato nominato da Eisenhower ministro fantasma in seno al governo militare di sostituzione.

Più tardi, Kennedy fece adottare il Presidential Transition Act per consentire ai future presidenti di continuare sulla sua strada, beneficiando di un finanziamento federale per pagare i loro gruppi di lavoro.

Davanti al Muro di Berlino, Kennedy sfidò l’URSS, schierò dei missili in Turchia e arrivò a dissuadere i Sovietici dal replicare installando i loro a Cuba. Soprattutto, lanciò i grandi programmi spaziali. Ma, non tardò a rivedere al ribasso i suoi impegni. Certo, autorizzò l’invasione di Cuba ma, dopo il fiasco della Baia dei Porci, si ricredette. Certo, ci mise la sua nell’impegno vietnamita, ma ben presto cercò il modo di avviare un ritiro. Facendosi forza sulla legittimità datagli da un vasto sostegno popolare, entrò in conflitto con il suo stato maggiore e ordinò delle inchieste sulle attività politiche di certi generali. In definitiva, fu assassinato a vantaggio del suo vicepresidente, Lyndon B. Johnson — la cui cerimonia di prestazione del giuramento era stata preparato giusto prima che Kennedy fosse abbattuto — che approvò senza indugi la progressione in Vietnam, prendendo del resto Clifford Clarck come ministro della Difesa per realizzare quel lavoro sporco.

L’impopolarità di Johnson rendeva impossibile la sua rielezione, così egli rinunciò a ripresentarsi. Essendo il partito democratico nelle mani di pacifisti disgustati dagli orrori del Vietnam, i falchi ebbero bisogno di un’alternativa partitica per mantenersi al potere e continuare la loro politica. La loro scelta cadde logicamente sull’ex vicepresidente Richard Nixon, un opportunista che già conosceva tutti i segreti.

Quando i due principali candidati ebbero ricevuto l’investitura dal loro rispettivo partito, Johnson li convocò per concordare con loro dei dettagli della transizione. Era una messa in scena puramente formale, ma permise al democratico Johnson di prendere politicamente contatto con il candidato repubblicano ancor prima che fosse eletto.

Approfittando del Presidential Transition Act, il repubblicano Nixon seguì la strada del democratico Kennedy creando 30 gruppi di lavoro per definire la sua futura politica in collegamento con lo « Stato profondo ».

Nixon condusse nei confronti dell’URSS una politica di distensione e negoziò gli accordi di limitazione della corsa agli armamenti rispettando gli interessi del complesso militare-industriale, ossia eliminando certe armi a vantaggio di altre più sofisticate. Su iniziativa del suo consigliere Henry Kissinger, allacciò una sorprendente alleanza con la Cina comunista per isolare Mosca. Tuttavia, rinunciò a vincere in Vietnam, cosa che l’« apparato di sicurezza dello Stato » gli fece pagare organizzando una procedura di destituzione in occasione dello scandalo del Watergate. Il n°2 del FBI in persona, Mark Felt (alias «Gola profonda»), passò per mesi informazioni devastanti al Washington Post.

Messo alle strette, Nixon preparò in segreto le sue dimissioni e avvertì il vicepresidente Gerald Ford solo all’antivigilia. I due uomini conclusero un accordo : Ford avrebbe occupato la Sala Ovale in cambio della grazia e della fine di ogni procedimento giudiziario. Ford accettò. Aveva già sentito girare il vento ed aveva riunito attorno a sé una piccolo squadra, ma essa fu istantaneamente sciolta. Un membro importante dell’« apparato di sicurezza dello Stato », l’ambasciatore degli Stati Uniti alla NATO Donald Rumsfeld (un avversario di Kissinger), fu richiamato d’urgenza per assicurare la transizione. Egli aiutò a costituire la nuova squadra dosando ex collaboratori di Nixon e nuove teste. La cosa era molto più complicata di quanto non sembrasse, perché si trattava di sanzionare la politica di perdita del Vietnam incarnata da Kissinger, mantenendo l’influenza dell’industria di armamento impersonata dallo stesso Kissinger (che era stato il segretario generale dell’American Security Council, allora principale organizzazione del complesso militare-industriale). Ford designò Nelson Rockefeller come nuovo vicepresidente. Si trattava non solo dell’erede della più importante dinastia industriale del paese, ma anche dell’ex capo delle operazioni segrete dell’« apparato di sicurezza dello Stato » sotto Eisenhower. Rapidamente, Ford si rese conto che gli ex collaboratori di Nixon trasportavano con sé l’immagine del Watergate e chiese a Rumsfeld di terminare il lavoro. Quest’ultimo divenne dunque segretario generale della Casa Bianca. Ringraziò seccamente gli ultimi nixoniani, a parte lo stesso Kissinger e fece nominare George H. Bush alla direzione della CIA. Con l’aiuto di quest’ultimo, Rumsfeld mise in piedi una commissione di valutazione della minaccia sovietica (« la squadra B ») che non mancò di gridare al lupo e di rilanciare la corsa agli armamenti.

L’immagine di Ford era disastrosa. L’opinione pubblica vedeva in lui un intrallazzatore che aveva graziato Nixon per succedergli, mentre l’« apparato di sicurezza dello Stato » voleva cancellare l’umiliante immagine della caduta di Saïgon alla quale egli era associato (sebbene non fosse che la conseguenza della pace voluta da Nixon). Egli non disponeva della legittimità sufficiente per prendere iniziative importanti. Lo « Stato profondo » aveva dunque bisogno di un nuovo presidente democratico. Questo fu Jimmy Carter, un protetto di David Rockefeller (fratello del vicepresidente Nelson Rockefeller), in grado sia di voltare la pagina dei crimini precedenti che di tenere testa all’URSS.

Carter scelse come consigliere nazionale di sicurezza Zbignew Brzezinski [2], segretario generale della Commissione trilaterale, il think tank dei Rockefeller. Egli aveva teorizzato una versione moderna del « contenimento » dell’Unione Sovietica, ridando così vigore alla dottrina dell’« apparato di sicurezza dello Stato ». Su questa base, egli diminuì la pressione militare in America del Sud (rinegoziazione dello statuto del canale di Panama, fine delle dittature militari) e la spostò verso l’Asia centrale (guerra dell’Afghanistan contro i Sovietici). In quella occasione, ingaggiò Usama Ben Laden e sviluppò il sostegno USA alle organizzazioni estremiste sunnite anticomuniste.

Sfortunatamente la credibilità degli Stati Uniti fu messa alle corde dal caso degli ostaggi dell’ambasciata di Teheran. Soprattutto, dopo le rivelazioni delle commissioni parlamentari d’inchiesta, il battista Carter si mise in testa di moralizzare la CIA sullo slancio della pulizia post-Watergate. Minacciato da tale pretesa, l’« apparato di sicurezza dello Stato » organizzò una campagna mediatica contro di lui, accusandolo di essere affetto dalla «sindrome vietnamita». Poi, si mise a cercargli un sostituto repubblicano. In definitiva, lo «Stato profondo» organizzò il tandem Reagan-Bush (quest’ultimo ex capo dell’Agenzia). Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, il vicepresidente era l’uomo forte, mentre il presidente non era che un attore di Hollywood che interpretava un ruolo di composizione [3].

Reagan e Bush designarono un triumvirato per organizzare la transizione : Ed Meese doveva preparare le nomine e il programma, l’avvocato William Casey si occupava delle relazioni con l’« apparato di sicurezza dello Stato », mentre il brillante James Baker sembrava avere il dono dell’ubiquità. In realtà, Casey era stato funzionario di Reagan quando, anni prima a Hollywood, egli era stato il patrocinatore del Comitato internazionale dei profughi (International Refugee Committee), una vetrina anticomunista della CIA. E, appena possibile, Reagan nominò Casey direttore dell’Agenzia.

Immediatamente accadde il doloroso episodio del tentativo di assassinio contro Ronald Reagan da parte di un amico dei Bush. L’attentato fallì, ma Reagan comprese il messaggio e lasciò la totalità delle questioni della difesa nelle mani del suo vicepresidente.

Fu in quel periodo che vene sviluppata la procedura di continuità del governo. Il governo militare di sostituzione creato da Eisenhower fino a quel momento non era che un’istruzione. Fu deciso di dargli sostanza. Fu costituita una squadra permanente e si costruirono giganteschi bunker o rifugi per ospitalo con i dirigenti sopravvissuti : Cheyenne Mountain, Raven Rock (detto "sito R") e Mount Weather. Fu installato un sistema di sorveglianza del governo civile in modo da poter seguire in tempo reale tutte le pratiche in corso e di essere in grado di proseguire l’azione di governo senza un minuto di interruzione in caso di apocalisse nucleare. Due volte all’anno, furono organizzate delle esercitazioni di simulazione di continuità del governo.

In maniera del tutto confidenziale, l’« apparato di sicurezza dello Stato » sostenne il vicepresidente Bush affinché succedesse a Reagan. Il collegamento tra lo « Stato profondo » e la squadra della campagna elettorale fu assicurato da un membro del Consiglio nazionale di sicurezza, il generale Colin Powell.

Nel 1989-91, i « guerrieri freddi » assistettero alla caduta dell’Unione Sovietica, che sempre avevano auspicato, ma che li lasciò disorientati. L’« apparato di sicurezza dello Stato » aveva adempiuto alla sua missione. Per 45 anni, uomini sinceri avevano creduto di difendere il loro paese manipolando le istituzioni e mettendo la democrazia tra parentesi. Come aveva previsto Dweight Eisenhower, certuni aveva assaporato troppo quel potere per accettare di privarsene. Senza ragion d’essere, lo « Stato profondo » sarebbe rimasto, ma a che prezzo ?

In mancanza di un nemico, « l’apparato di sicurezza dello Stato » entra in guerra contro se stesso

George H. Bush Sr. ebbe il pesante compito di definire gli obiettivi degli Stati Uniti nel mondo post-sovietico. Non senza esitare, ideò la costruzione di un « nuovo ordine mondiale » favorevole ad una dominazione economica globale degli Stati Uniti. Ordinò una riduzione del formato degli eserciti e studiò le possibilità di riconversione dell’« apparato di sicurezza dello Stato » per lottare contro l’emergere di nuovi competitori. Davanti a questa minaccia esistenziale, lo Stato profondo suscitò un’alternanza tra partiti.

I giornalisti trotzkisti, che la CIA aveva a suo tempo reclutati per lottare all’interno della sinistra contro l’influenza sovietica, erano passati al partito repubblicano sotto il nome di «neoconservatori». Essi erano divenuti i propagandisti della lobby della guerra. Come banderuole che girano con il vento, essi si rivoltarono contro Bush Sr., rimproverandogli di non aver approfittato della fine dell’URSS per rovesciare Saddam Hussein alla fine di Tempesta del deserto e facendo appello al voto per il solo candidato capace di fare la prossima guerra in Jugoslavia, Bill Clinton.

Perfettamente consapevole dell’occasione che gli si offriva, il governatore Clinton fece la campagna sull’emergere di nuove minacce e sulla necessità di mettere sotto custodia la Jugoslavia. Propose anche di modernizzare gli eserciti adattando la loro gestione alle evoluzioni sociali, il che significava, tra l’altro, la loro apertura alle donne e agli omosessuali. Bush Sr., che era il più popolare presidente degli Stati Uniti del XX secolo (90 % dell’opinione pubblica a suo favore !) sottovalutò la capacità dei « guerrieri freddi » di tagliarlo fuori. Per privarlo di una parte dei suoi voti, costoro finanziarono la candidature indipendente di Ross Perot, un miliardario che era servitor da copertura per un’operazione di salvataggio delle Forze speciali in Iran. Bush Sr. fu battuto.

Bill Clinton si oppose all’eliminazione dell’embargo dell’ONU contro l’Iraq, dopo che Saddam Hussein si era conformato alle risoluzioni dell’ONU, affamando così la popolazione e provocando almeno 500 000 morti. Tuttavia, frenò il riarmo (in particolare bloccando il progetto di armamento spaziale) e rifiutandosi di lanciare l’operazione in Jugoslavia in vista della quale l’« apparato di sicurezza dello Stato » lo aveva sostenuto. Peggio, nel 1995, in occasione di un esercizio di simulazione, egli scoprì la composizione del governo ombra che l’« apparato di sicurezza dello Stato » aveva formato per sostituirlo. Esso era diretto dall’ex ministro della Difesa Donald Rumsfeld e avrebbe compreso alcuni suoi collaboratori come il capo della CIA, James Woolsey. Per tenersi pronte alla sostituzione, quelle persone spiavano in permanenza il governo civile, del quale intercettavano tutte le comunicazioni e tutti i documenti. Considérando obsoleto quel dispositivo della Guerra fredda, Clinton — che rifiutava di essere un altro presidente usa e getta — ordinò lo scioglimento della struttura. Mal gliene incolse.

Il conflitto apertosi allora cominciò a erodere gli Stati Uniti dall’interno, in quanto certi responsabili dello « Stato profondo » erano presi dall’ebbrezza del potere, mentre altri tentavano di bloccare quella deriva infernale. La lacerazione spingeva inesorabilmente gli Stati Uniti verso la disintegrazione o la dittatura.

Passato in una totale clandestinità, parzialmente ripiegato in Israele, lo « Stato profondo » USA ordì un complotto contro Bill Clinton. Intrappolato nel 1995 in un caso di buon costume da una stagista israeliana della Casa Bianca, Monica Lewinsky, fu sottoposto ad una procedura d’impeachment nel 1998-99. Ma, a differenza di Nixon che non aveva margine di manovra, Clinton fece marcia indietro. Mentre la Camera dei rappresentanti aveva votato la sua destituzione, egli ripristinò il governo ombra e fu salvato dal Senato. Poi ordinò il bombardamento della Serbia da parte della NATO.

In ogni caso, dopo quel braccio di ferro, per l’« apparato di sicurezza dello Stato » non era accettabile che il vicepresidente Albert Gore succedesse a Clinton. Ma, il ben rodato sistema della continuità politica si inceppò. Il candidato dell’« apparato di sicurezza dello Stato », il repubblicano John McCain, perdette una primaria decisiva, passando la mano ad una personalità poco credibile, George W. Bush Jr. Nella più grande precipitazione, fu messo in opera di tutto per inquadrare quel candidato dell’ultima possibilità. Egli formò un duo con Dick Cheney, il nume tutelare del partito repubblicano e uno degli uomini chiave dello « Stato profondo ». Gli fu impartita una formazione accelerata da un gruppo di specialisti, i Vulcains (dal nome del dio che forgia le armi dell’Olimpo), guidato dall’inossidabile Henry Kissinger e dalla sovietologa Condoleezza Rice. Fu raccolto un mare di dollari per la sua campagna elettorale. Niente da fare. Bush Jr. fu battuto da Al Gore. Lo « Stato profondo » fu allora costretto a truccare il risultato dello scrutinio, in modo visibile e poco glorioso, e a far nominare il nuovo presidente dalla Corte suprema senza essere riuscito a farlo eleggere.

La transizione Clinton-Bush Jr. fu una lunga crisi. Durante la contestazione dei risultati, i fondi destinati ai gruppi di lavoro, sulla base del Presidential Transition Act, furono congelati e gli immensi locali previsti per accoglierli furono chiusi. L’amministrazione Clinton dovette prendere eccezionali misure di sicurezza per proteggere il vicepresidente Gore. In definitiva, questi gettò la spugna dopo che furono indirizzate serie minacce alla sua famiglia. Il duo Bush Jr-Cheney investì la Casa Bianca. Come ai tempi della coppia Reagan-Bush Sr., il vero potere era del vicepresidente. Uscendo ancora una volta dall’ombra, Donald Rumsfeld fu nominato segretario alla Difesa, mentre Colin Powell diventava segretario di Stato e Condoleezza Rice consigliere nazionale della Sicurezza. Alcuni mesi dopo, l’« apparato di sicurezza dello Stato » organizzò degli spettacolari attentati a New York e Washington, rilanciando così il militarismo statunitense, stavolta contro un avversario immaginario : il terrorismo islamista.

Lungi dal rendere permanente il sistema, i successivi colpi di forza del complotto Lewinsky del 1995-99, delle elezioni truccate del 2000 e degli attentati del 2001 hanno accelerato la sua disintegrazione interna post-Guerra fredda. L’inadeguatezza degli eserciti USA alla colonizzazione dell’Afghanistan e dell’Iraq ha portato a una catastrofe paragonabile a quella del Vietnam. Il progetto del vicepresidente Cheney di prendere l’Iran come preda successiva ha suscitato l’ammutinamento di una parte dello stato maggiore, inquietata da questo eccesso di spiegamento militare [4]. Per la prima volta, l’« apparato di sicurezza dello Stato » è diviso, in guerra contro se stesso. Per succedere a George W. Bush, le due fazioni hanno scelto il loro candidate. E non si comprende molto bene come i Clinton possano sperare di approfittare di tale divisione per prendere la loro rivincita e spingere Hillary fino alla Sala Ovale. Gli ammutinati sostengono Barack Obama con il progetto di un parziale ritiro dall’Iraq in buona intesa con l’Iran e di attacco al Pakistan ; mentre il clan Cheney sostiene John McCain nella speranza di prolungare l’occupazione dell’Iraq e di continuare a rimodellare il Grande Medio Oriente.

Nessuno di questi due candidate ha un piano per riconciliare le opposte fazioni in seno all’« apparato di sicurezza dello Stato ». Per questo, chiunque sia il prossimo locatario della Casa Bianca, egli non potrà ostacolare l’implosione del sistema.

Si può deplorare lo sviluppo dell’« apparato di sicurezza dello Stato », ma si deve riconoscere che esso rispondeva ad una logica. Possiamo capire perché la democrazia è stata messa tra parentesi durante la Seconda Guerra mondiale e il suo prolungamento, la Guerra fredda, ma non esiste alcuna giustificazione per la situazione attuale. In definitiva, le contraddizioni interne di questo sistema hanno raggiunto il loro parossismo quando i cantori dell’« apparato di sicurezza dello Stato » hanno preteso di democratizzare il mondo con le armi.


* Analista politico, fondatore del Réseau Voltaire. Ultima lavoro uscito : L’Effroyable imposture 2 (le remodelage du Proche-Orient et la guerre israélienne contre le Liban).


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[1] « Stay-behind : les réseaux d’ingérence américains », di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 20 août 2001. Vedi soprattutto il libro di riferimento : NATO’s Secret Army : Operation Gladio and Terrorism in Western Europe, del professor Daniele Ganser. Versione francese Les Armées Secrètes de l’OTAN, éditions Demi-Lune, 2007. Disponibile per corrispondenza tramite la Librairie du Réseau Voltaire. Intervista di Silvia Cattori con l’autore : « Le terrorisme non revendiqué de l’OTAN », Réseau Voltaire, 29 settembre 2006.

[2] « La stratégie anti-russe de Zbigniew Brzezinski », di Arthur Lepic, Réseau Voltaire, 22 ottobre 2004.

[3] « Ronald Reagan contre l’Empire du Mal », Réseau Voltaire, 7 giugno 2004.

[4] « Washington décrète un an de trêve globale », di Thierry Meyssan, 3 dicembre 2007.


Voltaire, édition internationale