Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Patologie e business. Malati molto immaginari

Patologie e business. Malati molto immaginari

di Enrico Pedemonte - 30/05/2008



La timidezza che diventa fobia sociale. La vivacità che diventa sindrome da iperattività. La caduta del desiderio che diventa nevrosi... E tutto per produrre nuove pillole e terapie. La denuncia di un guru Usa
colloquio con Christopher Lane

Una volta si diceva: "È timido e intelligente", e i due aggettivi erano affiancati per descrivere un bambino educato e sensibile. "Ai tempi di mia madre", racconta Christopher Lane, professore di Letteratura alla Northwestern University: "La timidezza era considerata una forma di intensità tranquilla, di lodevole reticenza e capacità introspettiva. Poi le cose sono cambiate, e la timidezza si è trasformata in un problema".

Come questo sia successo Lane lo racconta in un libro appena pubblicato: ('Shyness: How a Normal Behauviour Became a Sickness': timidezza, come un normale comportamento è diventato una malattia) che dimostra con una meticolosa analisi storica come gli interessi economici dell'industria dei farmaci e quelli di una categoria professionale (gli psichiatri) si siano saldati e siano riusciti a modificare in modo radicale la cultura collettiva e i comportamenti delle famiglie. Grazie anche a due alleati formidabili: il mondo del marketing e quello dei media. Lo abbiamo intervistato.

Professor Lane, com'è successo che la timidezza è diventata una malattia?

"La storia comincia nel 1980, quando viene pubblicata la terza edizione del 'Manuale di diagnostica e statistica delle malattie mentali', la Bibbia degli psichiatri. Fu allora che vennero introdotte nuove malattie, per esempio la 'fobia sociale' o il 'disturbo evitante di personalità', che però furono definite in modo così generico da includere anche reazioni comuni come la timidezza".

Come nacque questa scelta?

"Gli psichiatri responsabili del 'Manuale di psichiatria' erano convinti che nelle vecchie edizioni le definizioni di alcuni comportamenti fossero imprecise, con troppi termini, tratti dalla psicologia e dalla psicoanalisi, che gli psichiatri americani non amavano. Soprattutto un termine freudiano come 'nevrosi'. Gli psichiatri americani volevano azzerare l'influenza culturale di Freud e della psicoanalisi per spingere la psichiatria verso la neuro-psichiatria".

Eliminare la parola 'nevrosi' era così importante?

"Cancellando il linguaggio delle nevrosi si mette l'enfasi sulla malattia, e si sposta il focus dalla mente al cervello. In questo modo le sofferenze vengono descritte più come effetto di squilibri chimici nel cervello che di conflitti psicologici o stress ambientali nella mente delle persone. E le pillole prendono il posto delle terapie legate alla parola".

Che ruolo ha avuto l'industria farmaceutica?

"C'è un legame stretto tra aziende e psichiatri. Le prime sponsorizzano gli esperimenti clinici, i secondi sono spesso riluttanti a diffondere i risultati negativi per l'industria. Recentemente il 'New England Journal of Medicine' ha pubblicato uno studio che dimostra come le ricerche divulgate abbiano distorto o esagerato per 17 anni gli effetti di certe medicine. Sto parlando di molte pillole per combattere depressione e ansia".

Sono farmaci dannosi?

"La Glaxo Smith Kline, un'azienda britannica, ottenne l'approvazione del Paxil (in Europa si chiama Seroxat), nel 1996, per ogni tipo di 'ansia sociale' (social anxiety disorder). Si tratta di un farmaco che ha parecchi effetti collaterali, crea dipendenza e può avere conseguenze gravi. È una situazione assurda, perché ci sono milioni di persone che soffrono di ansie limitate e che prendono un farmaco con effetti collaterali gravi, inclusa l'ansia cronica".

Colpa del marketing?

"Il marketing ha giocato un ruolo importante. Quando gli psichiatri inserirono l'ansia sociale tra le patologie, aprirono le porte alle compagnie farmaceutiche che cominciarono a promuovere l'esistenza di questa nuova malattia e a incoraggiare la gente ad analizzare i propri comportamenti e le proprie emozioni per capire se ne soffrivano".

Lei accusa gli psichiatri americani di avere medicalizzato problemi di routine come l'ansia di parlare in pubblico...

"Recentemente ho parlato con Robert Spitzer, che era il capo degli psichiatri che compilarono il 'Manuale'. Gli ho contestato che la definizione di ansia sociale ha causato un eccessivo consumo di farmaci, specie da parte dei bambini. Mi ha risposto di essere consapevole che c'è troppa gente trattata per questo disturbo, anche quelli che sono affetti da semplice timidezza, ma che l'ansia sociale è un disturbo serio, e che gli psichiatri conoscono bene la differenza tra ansia sociale e semplice timidezza".

Lei cosa gli ha risposto?

"Se si analizza la letteratura psichiatrica si capisce che la distinzione tra questi due disturbi è quasi impossibile da definire. Parecchi esperti sostengono che i sintomi dei due disturbi sono quasi identici. È disonesto dire che si possono distinguere. È disonesto non sottolineare i possibili effetti collaterali di certi farmaci utilizzati. A dicembre una bambina di quattro anni del Massachusetts è morta per overdose psichatrica. Le erano stati dati degli antipsicotici. L'ospedale ha avviato un'inchiesta e il primario psichiatra ha dovuto ammettere con qualche imbarazzo di avere sotto cura almeno 955 bambini sotto i sette anni che prendono lo stesso farmaco di cui è morta quella bambina. Come siamo arrivati al punto in cui così tanti bambini piccoli prendono farmaci psichiatrici così seri per problemi che spesso sono normali comportamenti nella fase dello sviluppo?".

Ebbene?

"Se si guarda con attenzione alla definizione di 'ansia sociale' si scopre che i sintomi comprendono l'ansia di mangiare da soli al ristorante, il timore che ci tremi la mano quando firmiamo un assegno, o il desiderio di evitare i gabinetti pubblici. Cose normalissime. È successo qualcosa di assurdo ed estremo nella psichiatria americana. La fiducia in questi farmaci ha eclissato qualunque senso delle proporzioni".

L'industria farmaceutica si sta inventando altre malattie?

"Il prossimo 'Manuale di psichiatria' dovrebbe essere pubblicato nel 2012. Ci sono pressioni per introdurre nell'elenco delle patologie da curare anche l'apatia, l'abuso di Internet, lo shopping eccessivo. Un'altra malattia possibile è 'l'infelicità cronica indifferenziata' che si riferisce alle persone che appaiono generalmente tristi e melanconiche. C'è stato persino chi ha proposto 'la malattia della lagnanza cronica' (Chronic Complaint Disorder) che riguarda chi passa il tempo a lamentarsi del tempo, delle tasse e della propria squadra che ha perso. Per fortuna questa proposta è stata respinta, ma già il fatto che sia stata discussa la dice lunga sul clima culturale esistente. Siamo alla farsa".

Nel libro lei sostiene che la psicofarmacologia ha successo perché promette la perfezione, come la chirurgia plastica...

"L'enfasi sulla perfezione aumenta le sofferenze individuali perché le aspettative crescono ed è impossibile soddisfarle. È una tendenza che andrebbe fermata".

Nel libro lei suggerisce che la fede nei farmaci nasce dal fatto che molti hanno elevato lo scientismo al rango di una religione.

"La scienza ci offre spiegazioni sempre più meccanicistiche di che cosa significa essere umani. Ci spinge a credere che se riusciamo a identificare un problema in modo scientifico si possa trovare una soluzione rapida sotto forma di un farmaco. Il linguaggio stesso usato dai neuropsichiatri ci spinge a pensare che, se una persona ha uno squilibrio chimico nel cervello, questo possa essere corretto da una pillola. Si tratta di una fantasia che evita ogni discussione sugli effetti collaterali e sulle conseguenze impreviste in termini di alterazione della personalità. Ci viene fatto credere che il cervello è un meccanismo talmente semplice che può essere corretto in poco tempo con una pillola ogni volta che si incontra un problema. Questa cultura suggerisce che la neuropsichiatria possa evitare l'infelicità e la sofferenza. Molti neuropsichiatri mostrano un atteggiamento messianico quando parlano del loro lavoro, e quando spiegano come si può intervenire sullo sviluppo dei bambini per salvarli da sofferenze future".