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Il volo del dirigibile tedesco L. 59 sull'Africa nel 1917 e il bombardamento di Napoli del 1918

di Francesco Lamendola - 20/09/2008

 

 

 

L'attività del dirigibile L. 59 durante la prima guerra mondiale, la sua crociera africana del 1917 e il successivo bombardamento di Napoli, l'11 marzo 1918, costituiscono una pagina di storia contemporanea molto interessante, ma relativamente poco conosciuta.

Sia l'una che l'altra impresa dello Zeppelin furono avvolte in una cortina di riserbo, tanto che solo un anno e mezzo dopo il suo volo sopra la valle del Nilo il pubblico seppe, per la prima volta, che un dirigibile era stato inviato in soccorso dell'esercito coloniale del generale Paul von Lettow-Vorbeck, impegnato nella difesa dell'Africa Orientale Tedesca contro le forze britanniche; mentre l'attacco dal cielo subito da Napoli fu ritenuto a lungo opera di aerei.

 

L'idea di soccorrere, in qualche modo, le truppe coloniali tedesche in Africa Orientale era maturata nel corso del 1916, specialmente per opera del prof. Zupitza, un medico tedesco fatto prigioniero dagli Alleati nel Togo fin dal 1914, ma poi rimpatriato tramite la Croce Rossa internazionale, e particolarmente sensibile ai problemi sanitari legati al clima africano.

Il Ministero delle Colonie fece propria la sua proposta di inviare medicinali e altri rifornimenti bellici a Von Lettow-Vorbeck, ma ci volle più di un anno perché l'operazione passasse dalla fase progettuale a quella operativa, anche perché ogni particolare venne studiato in maniera estremamente meticolosa, alla luce del criterio di trasportare la maggior quantità di materiale nel minor spazio e, soprattutto, con il  minor peso possibile. Questa lentezza si rivelò, alla fine, dannosa per la riuscita dell'impresa, poiché, quando tutto fu pronto per la partenza, von Lettow era già stato costretto ad abbandonare l'ultimo lembo dell'Africa Orientale Tedesca e a ripiegare oltre il fiume Rovuma, all'interno della colonia portoghese del Mozambico.

È pur vero che gli ingegneri  dell'aviazione germanica dovevano preparare una operazione audacissima e completamente nuova, che non aveva l'equivalente in nessuna impresa anteriore, corrispondente - per ciò che riguarda la distanza da percorrere - a una traversata atlantica; e che molti problemi tecnici relativi ad essa  non si erano mai presentati, né vi era stata occasione di  affrontarli prima di allora.

Essi ritennero che il mezzo idoneo non potesse essere né un sommergibile né una nave di superficie, dato che non si sapeva se le coste della colonia germanica fossero ancora libere, o se erano state ormai conquistate dalle forze britanniche nel corso della campagna condotta al gen. Smuts nel 1916-17 (cfr. F. Lamendola, Le colonie tedesche in Africa nella prima guerra mondiale, consultabile sul sito di Arianna Editrice).

Non restava, quindi, che puntare sul mezzo aereo; e, precisamente (come allora si diceva), sul «più pesante dell'aria», capace di un'autonomia molto maggiore di quella degli aeroplani: si ricordi, infatti, che il volo su Vienna di Gabriele D'Annunzio, nel 1918, ebbe un sapore leggendario, perché parve - ed era - ai limiti delle possibilità tecniche di quel mezzo. Per non parlare del problema relativo al trasporto dei materiali, che solo un grande dirigibile avrebbe potuto risolvere in maniera adeguata.

Infine la scelta cadde sul dirigibile L. 59 - designato dalla sigla LZ 104 nella numerazione della società Zeppelin -, il quale avrebbe dovuto trasferirsi da Berlino alla base aerea di Jambol, in Bulgaria (Paese alleato degli Imperi Centrali), che era anche la più meridionale d'Europa.

Si trattava di una grande aeronave di tipo rigido, lunga 196 metri, che in vista della lunghissimo volo sui cieli africani venne sottoposta ad imponenti lavori di ingrandimento. Gli vennero aggiunti ben 30 metri di lunghezza, portandola a 225 metri, con un diametro di 24 metri, di modo che il suo volume interno si accrebbe a 68.500 metri cubi. In tal modo divenne il più grande dirigibile che si fosse mai visto al mondo, sino a quel momento.

Si fece ricorso ad ogni possibile accorgimento della tecnica al fine di diminuirne il peso morto; ad esempio, una parte del cotone dell'involucro venne sostituita con della mussolina del tipo usato per il materiale da medicazione.

Al tempo stesso, venne studiata la maniera di ottimizzare il trasporto del materiale destinato alle truppe di von Lettow. Così, una parte dell'involucro avrebbe potuto essere impiegata, una volta giunto il dirigibile a destinazione, come telo da tenda e per la confezione di abiti; mentre persino i palloncini del gas avrebbero potuto trasformarsi in sacchi impermeabili per dormire. I motori sarebbero stati impiegati per alimentare la dinamo della stazione radio che lo stesso dirigibile trasportava; il telaio di alluminio, smontato, avrebbe fornito la struttura per le barelle da campo, per l'impalcatura delle baracche, e perfino per costruire una antenna radio.

Il peso complessivo dell'aeronave era di 79.500 kg., dei quali 27.600 erano dati dal peso della struttura e i restanti 52.000 dal materiale trasportato. Essa era azionata da cinque motori di 240 cavalli ciascuno, che le permettevano di raggiungere una velocità massima di circa 100 km. all'ora. Si trattava, però, di una velocità teorica, raggiungibile solo in condizioni atmosferiche particolarmente favorevoli; di fatto, nelle 14 crociere effettuate dal L. 59, la velocità media non superò i 70 km. all'ora. Infine, vi era a bordo una stazione radio Telefunken della potenza di 800 watt.

Il carico comprendeva, fra l'altro, 312.000 cartucce per fucile, 30 mitragliatrici con 9 canne di ricambio, 230 nastri e  54 casse di cartucce, 4 fucili automatici con 5.000 cartucce, 61 sacchi di medicinali e materiale di medicazione, posta, utensili, pezzi di ricambio per la radiotelegrafia, vestiario, viveri.  Il peso della benzina era di 22.000 kg., quello dell'olio di 1.500 kg.; altri 9.200 kg. erano il carico d'acqua (più 400 kg. di acqua potabile). Il peso portato corrispondeva a quello di 4 vagoni ferroviari completamente carichi.

L'equipaggio era formato da 22 persone; lo comandava un ufficiale di grande esperienza, Ludwig Bockholt, affiancato dal tenente Grussendorf .

 

Il viaggio di trasferimento  del L. 59 dal cantiere di Staaken, presso Spandau, a Jambol, iniziò il mattino del 3 novembre 1917, recando a bordo anche una commissione di esperti del Ministero della Marina (da cui dipendevano i dirigibili) e di ingegneri della Società Deutschen Luftschiffsfahrt.

Nonostante alcune avversità atmosferiche e un guasto all'elica del motore anteriore, l'aeronave  proseguì  nella sua rotta e raggiunse Jambol senza incidenti, dopo un volo di 28 ore, a mezzogiorno del 4 novembre.

I preparativi per il viaggio africano iniziarono immediatamente. Tuttavia, la partenza dovette essere rimandata più volte a causa delle sfavorevoli condizioni del tempo. Dopo un primo tentativo fallito, il 13 novembre, il dirigibile si levò per la seconda volta il giorno 16; ma, incappato in un violento temporale e fatto oggetto, per di più, al fuoco della fanteria turca (che ignorava la sua nazionalità), che lo colpì ripetutamente, decise di rientrare alla base, dopo 32 ore di volo e quasi 1.500 km. complessivi.

Finalmente, il 21 novembre, alle cinque del mattino, ebbe luogo la partenza definitiva. La località di atterraggio prefissata avrebbe dovuto essere l'altipiano del Makonda, ove allora si trovavano le truppe di von Lettow: una distanza, cioè, di oltre 6.700 km., che faceva apparire l'impresa come qualche cosa di sbalorditivo, se non addirittura di temerario.

Dopo aver sorvolato le coste occidentali dell'Asia Minore, Smirne, Efeso e, poi, Rodi e le altre isole del Dodecaneso, la grande aeronave tagliò il Mediterraneo orientale nel bagliore sinistro dei fulmini di un temporale e, poi, nelle nubi e nella pioggia tamburellante, uscendone quindi per avvistare la costa africana all'altezza di Sollum, in Cirenaica.  Sorvolando il deserto del Sahara, il dirigibile si diresse verso la valle del Nilo, tenendosi a una quota fra i 700 e i 1.000 metri, e giunse sopra il maestoso fiume africano all'altezza di Wadi Halfa.

Il viaggio del L. 59 proseguì al di sopra del Nilo lungo il Sudan, fino a quando l'equipaggio poté vedere, in basso, la biforcazione del Nilo Bianco e del Nilo Azzurro, all'altezza di Khartoum. Il più era fatto, e l'impresa finora compiuta poteva già ritenersi assolutamente eccezionale, per i mezzi dell'epoca.

Sfortunatamente, proprio in quel momento giunse un radiotelegramma dell'Ammiragliato di Berlino che ordinava di sospendere l'operazione e di rientrare alla base, sulla base della errata informazione che von Lettow era stato definitivamente sconfitto, e che non fosse più possibile raggiungerlo senza correre il rischio di perdere l'aeronave.

Fu una decisione affrettata, come si vide poi; proprio in quelle ore, infatti, von Lettow, attraversato il fiume Rovuma, stava per riportare una delle sue più belle vittorie, sconfiggendo le truppe portoghesi e impadronendosi di molto materiale bellico. D'altra parte, questo è il «senno del poi»: in quel momento, pareva che tutto fosse perduto per il piccolo esercito coloniale tedesco, e che la missione del dirigibile fosse, perciò, divenuta inutile.

Quello su cui gli storici continuano a interrogarsi è se, dopo aver rischiato già così tanto, sia stato saggio vanificare ogni sforzo e le ottime prospettive di condurre a buon fine la trasvolata, senza tenere conto dei risvolti psicologici dell'impresa e il suo eventuale effetto propagandistico, sia fra gli alleati che fra i nemici. L'Ammiragliato di Berlino decise facendo prevalere il criterio della prudenza, tanto è vero che il volo rimase segreto anche in seguito; e che solo dopo la guerra il pubblico tedesco e mondiale ne venne portato a conoscenza.

 

Vale la pena di riportare, in proposito, le considerazioni svolte da uno dei partecipanti all'impresa, il comandante Goebel, autore (in collaborazione col dottor W. Förster, meteorologo di bordo), di una interessante monografia su questa episodio poco esplorato dagli storici militari: Voli di guerra. 40.000 km. in Zeppelin (traduzione italiana di Giovanni Podio, Omero Marangoni Editore, Milano, 1933, pp. 172-175):

 

… Quando meno lo si aspetta, giunge un radiotelegramma dell'Ammiragliato:

«L'ultimo punto di resistenza di Lettow-Vorbeck, Revala, è stato perduto. Tutto l'altipiano del Makonda è in mano agli Inglesi. Una parte delle truppe di Lettow è stata fatta prigioniera. Il resto è inseguito verso il nord. Ritornate immediatamente».

La distanza fra Nauen e Khartum è di 4.500 chilometri. Le onde della stazione di Nauen eran riuscite a raggiungere l'unico granello sperduto nell'immenso oceano d'aria!

Ma anche nel campo avversario aveva funzionato una specie di telegrafia senza fili, e cioè il tamburo africano: tutti coloro che combattevano in Africa seppero per bocca dei negri che un grande uccello europeo era in viaggio per aiutare Lettow-Vorbeck. Certamente questa notizia misteriosa venne accolta con dubbio da una parte e dall'altra, da nemici ed amici.

Ciascun partecipante all'impresa era ormai convinto che il destino dei compagni dell'Africa orientale non poteva più essere mutato. Già prima del verificarsi dell'ultimo fatale avvenimento il territorio tenuto dalle truppe del protettorato era ormai così ridotto, che non si sarebbe più potuto prendere in considerazione l'eventualità di un atterraggio. Bisognava inoltre pensare alla lunga operazione di scarico del materiale alla attività di aeroplani nemici contro i quali non si sarebbero potuti opporre velivoli nostri, oltreché alle difficoltà generali dell'atterraggio. Non vi erano né meteorologi né stazioni radio che potessero segnalarci i venti a terra, né tanto meno truppe di manovra per trascinarci al suolo.

Il generale von Lettow-Vorbeck pone in dubbio oggi che all'«l. 59» sarebbe riuscito di trovare la località ove si trovavano le truppe tedesche. Inoltre egli è di opinione che la spedizione sarebbe dovuta partire quattro settimane prima per trarne quei vantaggi che ci si ripromettevano da essa.

Un ufficiale della truppa di von Lettow-Vorbeck fatto prigioniero dagli inglesi testimonia che questi erano perfettamente pronti ad accogliere un dirigibile tedesco. Gli vennero perfino mostrati gli apparecchi pronti a prendere il volo od almeno costringere ad atterrare lo Zeppelin.

Di conseguenza una continuazione del viaggio sarebbe stata una pura dimostrazione sportiva. Ma era stata forse una cosa diversa il viaggio del sottomarino Deutschland in America? L'Ammiragliato aveva evidentemente trascurato di considerare il significato politico  di un tale viaggio. Quand'anche la aeronave una volta giunta nell'Africa Orientale fosse caduta in mano al nemico in conseguenza della mutata situazione bellica, ciò non sarebbe stato un svantaggio se si tien conto dell'effetto morale che un tale coraggioso viaggio avrebbe prodotto nel mondo intero. Anche il generale von Lettow-Vorbeck condivide oggi questa opinione.

Ma il comandante era troppo soldato per esitare nell'obbedire all'ordine di ritorno: virtù di cui ebbe più tardi a pentirsi amaramente. Così venne rigettata ogni tentazione di continuare il viaggio sotto nostra responsabilità e ci accingemmo, col cuore oppresso, al ritorno.

Il dirigibile sarebbe probabilmente giunto sulla regione del Rowuna il 25 novembre. Ma proprio lo stesso giorno la prode truppa di Lettov-Vorbeck doveva venir ripagata di ciò che perdeva colla nostra dipartita.

Cediamo la parola allo stesso Lettow-Vorbeck:

«Il 25 novembre 1917, all'alba, la nostra compagnia d'avanguardia attraversò il Rowuna un po' più a monte dello sbocco del Lujenda: nel corso della mattinata pasò pure il grosso, in forza di nove compagnie la retroguardia seguì a due giorni di distanza. (…)

… I nostri irruppero contro il nemico da tutte le parti, ed i portoghesi presi sotto il fuoco concentrico, furono completamente sconfitti. Del migliaio di uomini che presidiavano il campo se ne salvarono a stento ed al massimo un trecento. I nostri ascari senza curarsi troppo delle ultime fucilate di qualche ostinato avversario si gettarono sul bottino. (…)

Seppellimmo circa duecento nemici morti: rilasciammo liberi, dietro promessa sulla parola d'onore che non avrebbero più combattuto contro la Germania ed i suoi alleati, circa 150 europei; e tenemmo prigionieri alcune centinaia di ascari. Il bottino comprendeva copioso materiale sanitario, prezioso e utilissimo per noi, di ottima qualità, degno dell'esperienza secolare che i Portoghesi hanno in fatto di colonie; inoltre diverse migliaia di chilogrammi di cibi europei e materiale bellico fra cui sei mitragliatrici ed una trentina di cavalli. Purtroppo non trovammo viveri per gli indigeni. Quasi la metà della nostra truppa poté esser armata a nuovo con fucili portoghesi e ricevette una abbondante scorta di munizioni. Catturammo duecentocinquantamila cartucce, e nel corso del mese di dicembre la nostra scorta salì fino a un milione di colpi. Dai documenti sequestrati presso il nemico accertammo che le compagnie portoghesi di europei erano giunte a Ngomano soltanto pochi giorni prima per eseguire l'ordine, ineffettuabile, dato loro dagli inglesi, di impedire ai tedeschi il passaggio del Rowuna. Era proprio stato un vero miracolo che tutta quella gente si fosse concentrata tanto a proposito a Ngomano per rendere redditizia la fatica della sua conquista e liberarci, con una fortunata battaglia, da una gran parte delle nostre difficoltà».

 

Invertita così la rotta, il dirigibile L. 59 risalì la valle del Nilo, riattraversò i cieli del Sahara, del  Mediterraneo e dell'Asia Minore; e, sempre in perfetta efficienza, anche se con l'equipaggio stanco e infreddolito, atterrò a Jambol, donde era partito, alle otto del mattino del 25 novembre. Aveva volato ininterrottamente, senza scalo, per 95 ore, coprendo una distanza complessiva di 6.757 km. alla velocità media di 71 km. orari.

Per farsi un'idea dell'eccezionalità dell'impresa, si pensi che la distanza percorsa avrebbe permesso al dirigibile tedesco di attraversare l'Atlantico, superare gli Appalachi e portarsi sui cieli di Chicago, in riva al Lago Michigan, ossia nel cuore del continente nord-americano. Al momento dell'atterraggio, inoltre, l'aeronave aveva a bordo ancora carburante per altre 64 ore di volo: una quantità sufficiente a raggiungere, al di là di Chicago, le Montagne Rocciose e, poi, la costa del Pacifico all'altezza di San Francisco.

 

Un'altra impresa poco conosciuta del dirigibile L. 59 fu, l'11 marzo 1918, il bombardamento di Napoli.

Partito sempre da Jambol il giorno 10, esso si portò sopra la città partenopea col favore del buio e riducendo al minimo i motori, mantenendosi a una quota di 4.800 metri. Trasportava un carico di 6.400 kg. di bombe che, in teoria, avrebbero dovuto colpire il porto e le installazioni industriali a nord della città, ma in effetti colpirono i quartieri abitati, provocando notevoli danni alle abitazioni e almeno 16 vittime fra la popolazione civile.

Non ci fu nessuna reazione, nonostante che Napoli disponesse di una postazione contraerea permanente. La realtà è che nessuno si aspettava una impresa del genere, così lontana dal fronte  (che, in quel momento, era sul corso del fiume Piave, sul Montello  e sul Monte Grappa); e che nessuno aveva avuto sentore di un possibile attacco di dirigibili tedeschi da una base situata della lontana Bulgaria. Né i cittadini napoletani, né i comandi militari italiani seppero che il bombardamento dell'11 marzo era stato effettuato da un dirigibile: pensarono tutti a una squadriglia di aerei, e solo molto più tardi vennero a sapere la verità.

La carriera del L. 59 si concluse bruscamente, e nel modo più tragico, meno di un mese dopo  quell'impresa, il 7 aprile 1918. Nel corso di una incursione sull'isola di Malta, infatti, esso esplose in volo per ragioni sconosciute. Non sembra che fosse stato colpito dalla contraerea; l'ipotesi più probabile è che la sua fine sia stata causata da incendio di benzina.

Ad ogni modo, precipitò in fiamme, con l'intero equipaggio, nelle acque del Mediterraneo; che divennero, così, la sua tomba.

 

Altri dirigibili tedeschi si segnalarono, nel corso della prima guerra mondiale, per le audaci imprese di cui si resero protagonisti.

Fra essi ricordiamo il dirigibile L. 30 (ovvero LZ 62), che compì un importante raid sull'Inghilterra, sganciando 23.300 kg. di bombe; e il dirigibile  L. 33 (ovvero LZ 76), il quale, colpito e costretto ad atterrare presso Brantwood, nell'Essex, fu invano incendiato dal proprio equipaggio, per ordine del comandante Alois Bocker. Gli Inglesi, infatti, riuscirono a spegnere l'incendio, e i loro ingegneri ebbero così modo di studiarne le caratteristiche, dal vivo e in tutta tranquillità; sicché, a partire da quella data (il 24 settembre 1916), si può dire che la tecnica germanica relativa alle grandi aeronavi non ebbe più segreti per le forze dell'Intesa.

Fra tutti i dirigibili che si distinsero nel corso della prima guerra mondiale, comunque, nessuno ebbe una carriera avventurosa come quello del comandante Ludwig Bockholt, che si era spinto fino alla media valle del Nilo, e che solo per un ordine intempestivo dell'Ammiragliato di Berlino mancò il coronamento di una delle più stupefacenti imprese militari dell'intero conflitto.