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La fusione del circo mediatico, dei ceti politici e degli apparati ideologici universitari

di Costanzo Preve - 10/10/2008


LA FUSIONE RECENTE DI CIRCO MEDIATICO, CETI POLITICI ED APPARATI IDEOLOGICI UNIVERSITARI : UN COMMENTO”POLITICAMENTE SCORRETTO”

 

E’impossibile parlare di apparati ideologici universitari(Louis Althusser,ma prima di lui — e ben più importante — Karl Marx)senza prima connetterli organicamente con il ceto politico professionale di gestione dell’attuale ultracapitalismo globalizzato largamente postborghese e postproletario e soprattutto con il circo mediatico, evoluzione terminale della vecchia settecentesca ”sfera pubblica”(offentlichkeit).

Per questa ragione dividerò il mio intervento in cinque parti.

Primo, una mia rapida definizione del nostro tempo(Hegel avrebbe detto:”il nostro tempo appreso nel pensiero”). Poi,tre rapidi capitoletti sintetici dedicati rispettivamente al potere politico,al circo mediatico ed infine agli apparati ideologici uni versitari. Infine,alcune mie rapide conclusioni riassuntive.

1) In che società viviamo? In che mondo viviamo? Dove andiamo?

Hegel a suo tempo propose due definizioni di filosofia solo apparentemente contraddittorie. Prima, la filosofia il proprio tempo appreso nel pensiero. Seconda, la filosofia si occupa di ciò che è, ed è eternamente, e con questo ha già fin troppo da fare.

Personalmente,interpreto questa (apparente) contraddittorietà in questo modo: per poter giungere alla conoscenza veritativa di ciò che è, ed è eternamente, bisogna prima necessariamente cominciare e passare dalla corretta comprensione della natura complessiva del nostro tempo appreso nel pensiero.

Noi viviamo nella società della globalizzazione economica, della spietata oligarchia politica ed infine della manipolazione mediatica strutturale e permanente.

In linguaggio hegelo—marxiano, direi che si tratta di un vero e proprio capitalismo ”speculativo”, e non solo astratto e poi dialettico. Nel linguaggio di Fichte, viviamo in un’epoca della “compiuta peccaminosità, in cui è già avvenuto lo smascheramento corrosivo delle vecchie verità precedenti la verità teologico—religiosa,la verità spinoziana dell’identità fra divinità e natura, la verità hegeliana dell’unità di soggetto e di totalità, la verità marxiana dell’emancipazione umana come concretizzazione della precedente unità hegeliana di razionale e di reale), ma si è caduti nella catena dissolutiva storicismo—relativismo—nichilismo, e pertanto, per così dire, dalla “padella nella brace”.

Sono state date molte diagnosi provvisorie sul nostro tempo: società liquida e decadenza degli intellettuali (Bauman); società del narcisismo e del ripiegamento in un ”io minimo” (Lasch); società postmoderna dell’epoca della fine del fordismo e della produzione flessibile (Jameson); società della fine della dicotomia Sinistra—Destra (Alain de Benoist); società della post—democrazia (Crouch); società del passaggio dalla normatività del tempo del progresso alla normatività dello spazio della globalizzazione (Harvey); società della perdita antropologica della capacità umana di controllare la tecnica (Heidegger,Günther Anders); eccetera, eccetera.

Personalmente,anche se ovviamente non ho qui lo spazio per poterlo argomentare, ripeto i termini essenziali della mia formulazione:


(a) Società della globalizzazione economica.

La globalizzazione, peraltro, non è una descrizione (il mondo è globalizzato), ma una prescrizione (globalizzatevi, o la pagherete cara!). Ciò che è globalizzato è peraltro soltanto il movimento del capitale finanziario e della cosiddetta ”decentralizzazione produttiva” (se in un posto il lavoratore è pagato trecento euro al mese e non mille e cinquecento, questo ultimo si “decentralizza”).

I cosiddetti diritti sociali, non regalati da nessuno, ma conquistati in più di un secolo di lotte economiche, non vengono ”globalizzati”, ma vengono anzi distrutti nelle stesse ”me— tropoli” in nome della globalizzazione stessa. La globalizzazione, inoltre, è l’involucro di lotte inter—imperialistiche, in cui fortunatamente nuove potenze (Russia, Cina, India, eccetera) entrano in concorrenza con l’impero messianico e vetero-testamentario USA e con la povera Eurolandia che ne fa da cortigiano, buffone e mercenario. Certo, era meglio il precedente proletariato ed addirittura il vecchio baraccone comunista (per ragioni esclusivamente geopolitiche, non certo rnarxiano—marxiste), ma la saggezza consiste nell’accontentarsi di quello che passa il mercato (e cioè il momento storico).

(b) Oligarchia politica (ne parlerò fra poco).


(c) La manipolazione mediatica (ne parlerò fra poco).


2)
La natura del ceto politico che ci governa

Il ceto politico che ci governa rappresenta l’ultima evoluzione degradata di una storia che inizia con Nicolò Machiavelli.

Machiavelli rese chiaro che il concetto di virtù, applicato all’agire politico, non aveva a che fare con la morale, l’etica e la religione, ma solo con la capacità di acquisire il potere, conservarlo e trasmetterlo. In questo senso, Mussolini, Hitler e Gorbaciov si sono rivelati del tutto privi di virtù, mentre Stalin, Churchill e Roosevelt si sono mostrati
“virtuosi”.

Hobbes fondò la totale autonomia del potere politico attraverso un modello meccanicistico di forze ed una concezione realistico—pessimistica della natura umana, di tipo totalmente machiavellico (Horkheimer). Il “salto” fu però compiuto solo nell’Ottocento, in cui il politico diventò il ”professionista della rappresentanza di interessi collettivi distinti”. Questo avvenne perchè allora il capitalismo era ancora strutturato sulla base di classi distinte e contrapposte (borghesia e proletariato, per semplificare, piccola borghesia non ancora ceti medi, eccetera), di uno stato nazionale sovrano, di una sovranità monetaria (List e non Ricardo), eccetera.

Il Novecento, oggi diffamato come secolo delle ideologie assassine e delle utopie sanguinarie, fu invece il secolo in cui la politica cercò di ridiventare sovrana sull’economia. Ricordiamo qui (senza alcuna valutazione mora le) alcuni esempi di questo tentativo epocale di riaffermare il primato della politica sull’economia, in ordine di importanza: il comunismo storico veramente esistito (1917—1991), da non confondere con il comunismo scientifico—utopico marxiano (l’ossimoro è ovviamente del tutto intenzionale); i movimenti di liberazione anticoloniali; tutti i tipi di fascismo e di nazionalsocialismo ”sociale” a base soprattutto piccolo—borghese ed operaio—nazionale; i vari populismi terzomondistici di redistribuzione sociale per via politica (Peròn,Nasser, partito Baath, eccetera); infine, vari tipi di socialdemocrazia di redistribuzione per via prevalentemente fiscale.

Le cose cambiano dopo il 1991 e la fine (negativa e sciagurata)del comunismo storico novecentesco, ultimo fattore geopolitico di riequilibrio dei rapporti internazionali. Il nuovo ceto politico unificato nasce infatti solo dopo il I991, e dobbiamo allora cercare di connotarlo, sia pure in estrema sintesi.

L’unico minimo comun denominatore del ceto politico europeo è appunto quello di non essere più europeo, ma di essere un mercenariato subalterno di Eurolandia alla NATO ed agli USA. Possiamo aspettarci il peggio, perchè gli USA hanno i loro interessi imperiali permanenti (del tutto indipendentemente dai due partiti democratico e repubblicano), e finché l’Europa ne prona nella posizione detta ”del missionario” non ci sarà nessuna Europa di centro, destra e sinistra che sia, ma soltanto una spregevole Eurolandia.

Mi limiterò al ceto politico italiano.

A partire dal triennio 1989—91 il ceto politico italiano è costituito da due cornponenti, che definiremo vecchio ceto e nuovo ceto. Il vecchio ceto è composto dagli apparati dei vecchi partiti DC e PSI, formatisi al tempo della gestione del potere keynesiana, proporzionialistica, dominata dall’industria di stato, eccetera. Il nuovo ceto è composto dai vecchi apparati picisti (non uso certamente il nobile termine di ”comunismo”, di cui nessuno ha la proprietà catastale!), liberatisi integralmente dalla vecchia religione idolatrica storicista (progresso storico + egemonia nella società civile + superiorità morale sui ladroni, eccetera), e riciclatisi come
gestori del consenso all’interno di un capitalismo globalizzato a guida imperiale USA e ad un riferimento ossessivo ad Eurolandia. Amministratori senza coscienza infelice (Hegel, Marx), costoro sono veri e propri Ultimi Uomini nel senso di Nietzsche. Sanno infatti che Dio è morto (il loro Dio idolatrico della Storia, ovvia.mente), e che dal momento che Dio è morto ormai tutto è possibile. Il solo che ne ha fatto un’analisi filosofica, integrale è stato fino ad oggi Ratzinger (storicismo—relativismo—nichilismo), ma purtroppo la cura (integralismo cattolico + alleanza con l’impero USA + concessioni alla islamofobia imperante) è peggiore della stessa diagnosi.

Una parentesi su Mani Pulite ed il Berlusconismo.

Al di là della frasi di Berlusconi contro i magistrati ”comunisti”, egli deve tutto a loro,
e senza di loro non starebbe dove sta. Il colpo di stato giudiziario extra— parlamentare denominato surrealmente Mani Pulite (si trattò di uno dei fatti più sporchi di una storia costellata da fatti sporchissimi, come quella italiana), il cui obbiettivo sistemico (pienamente raggiunto) era la distruzione di una prima repubblica (1946—1992) proporzionalistica, assistenzialistica, mafioso—keynesiana, consociativo—corrotta, eccetera, aveva distrutto gran parte del ceto politico democristiano (De Mita, Forlani, Andreotti) e socialista (Craxi, Martelli), ed in questo modo aveva aperto la via diretta al potere per gli ex—comunisti riciclati (Occhetto, D’Alema, Napolitano, eccetera). Ma “il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi”.

La base elettorale della vecchia DC e del vecchio PSI erano rimaste pressoché intatte, perchè il golpismo giudiziario e l’urlo della plebe giustizialista non potevano scioglierla. A questo punto Berlusconi dovette soltanto chinarsi a raccoglierla, integrandola con le new entries del leghismo (Bossi) e del vecchio neofascismo riciclato (Fini).

Chi ha regalato all’Italia Berlusconi?

La risposta è facile: il musicologo Borrelli e lo scamiciato Di Pietro.

Signori, un po’ di dialettica non fa male a nessuno.

  1. La natura del circo mediatico che ci governa

Il circo mediatico attuale rappresenta l’ultima forma evolutiva di ciò che nacque nel Settecento illuministico come ”opinione pubblica” (public opinion), o molto più esattamente e correttamente come ”sfera pubblica” (offent—lichkeit). Il secondo termine è molto più corretto del primo. Il primo, legato al dominio capitalistico inglese, è surreale, perchè tutti gli oligarchi del giornalismo (un solo nome Eugenio Scalfari) chiamano se stessi “opinione pubblica”, con effetti esilaranti e/o deprimenti, a seconda del nostro umore momentaneo. Il secondo termine è migliore, perchè indica il fatto reale per cui la sfera economica mercatistica del nuovo modo di produzione capitalistico ha effettivamente bisogno di un suo raddoppiamento “opinionistico”.

Il circo mediatico vero proprio nasce soltanto con la saturazione tele visiva, ed ha bisogno del passaggio dalla carta all’icona del piccolo schermo. La visibilità è ciò di cui gli imbecilli hanno bisogno, perchè quello che si vede sembra più ”vero” di quello che semplicemente si ascolta (radio, comizi, eccetera). Già Platone aveva correttamente affermato che solo gli occhi della mente possono aiutarci a capire la verità, mentre i semplici occhi del corpo si limitavano alle apparenze. Debord (“la società di oggi come società dello spettacolo”) e Baudrillard (“la società di oggi come società della simulazione permanente”) colgono entrambi il cuore della questione.

Il circo mediatico in quanto tale (senza alcuna distinzione fra destra e sinistra) è oggi sostanzialmente unificato nel suo ruolo di derealizzazione sociale e di istupidimento passivizzante, ed oggi a mio avviso il principale nemico dell’umanità. Mi rendo perfettamente conto che questa mia affermazione suonerà paradossae, estremistica, esagerata, eccetera, ma egualmente la mantengo. Il circo mediatico è l’unico vero e proprio “clero sociale moderno” (gli oratores della tripartizione medioevale di Adalberone di Laon), in quanto fa da collegamento ideologico strutturale fra l’oligarchia finanziaria (i nuovi bellatores) e le gigantesche masse di lavoro salariato flessibile e precario (i nuovi laboratores). I vecchi preti, bonzi, pastori, ulema, popi, eccetera, non sono più propriamente parlando “clero”, in quanto non esplicano più un ruolo strutturale di mediazione ideologica vera e propria, ma si occupano di cose secondarie come poveracci, drogati, vecchi, malati, individui in cerca di valori, eccetera (ho detto “secondarie” ovviamente per puro spiazzamento brechtiano, in quanto tutte queste cose sono più importanti moralmente della Borsa Valori, ma non contano nulla rispetto alla Borsa Valori stessa).

Anche se questo non può purtroppo avvenire nel corso della mia restante vita terrena (ho già 65 anni), spero in un 1789 che possa distruggere tutto il circo mediatico, senza distinzioni secondarie risibili (Veltroni e/o Berlusconi, destra e/ sinistra, cattolici e/o laici, eccetera). Ridata la parola (logos) ai sudditi delle oligarchie capitalistiche attuali, forse ne verrà fuori qualcosa.

4) La natura degli apparati ideologici universitari che monopolizzano il cosiddetto”sapere sociale”

Il sociologo francese Zaki Laidi conniota il tempo presente come il tempo del passaggio dalla semplice economia di mercato al tempo della vera e propria società di mercato. Roger Garaudy integra questa intelligente diagnosi affermando che si sta attuando un vero e proprio ”monoteismo del mercato”, per il fatto che, all’interno del nuovo ”politejsmo dei valori” (Max Weber), un valore è posto sopra tutti gli altri (come Zeus nel vecchio consesso degli dei dell’Olimpo), ed è appunto il Valore del Mercato.

Viviamo quindi in una società di mercato che ha una nuova religione idolatrica, il monoteismo del mercato.

Non posso certo fare qui una lezione universitaria sui tre personaggi di Laidi, Garaudy e Weber. Vale invece la pena sviluppare brevemente quanto ho telegraficamente sottolineato. Economie di mercato ne sono sempre esistite, sia pure finora sempre ”incorporate” (embedded, nel linguaggio di Karl Polanyi) in strutture politiche e religiose che le controllavano e ne impedivano in vario modo la smisuratezza (l’apeiron di Anassimandro) attraverso la misura (metron), tematizzata dalla filosofia e/o dalla religione. Persino certe società mesopotamiche (sempre Polanyi) avevano settori importanti di economia di mercato. Nell’isola di Delo, in epoca ellenistico—romana, c’era un grande mercato di schiavi. La civiltà comunale tardomedievale artigiana e manifatturiera aveva anche una robusta natura mercantile. Ma solo oggi, dopo la ridicola autodissoluzione del comunismo storico novecentesco realmente esistito (secondo Thi— tin, la più grande tragedia storica del ventesimo secolo, ed io concordo pienamente con lui), gli argini vengono rotti, e la mercatizzazione viene spinta in luoghi in cui la vecchia borghesia (economicamente proprietaria, ma filosoficamente inquieta e dotata di coscienza infelice) non le avrebbe mai permesso di entrare.

Fra i molti casi, è il caso anche degli apparati universitari, che non hanno nulla a che fare né con le vecchie universitates tardo-medievali né con il concetto hegeliano di università, concepito in un periodo storico in cui lo Staat era visto come l’equivalente della république francese e del Commonwealth inglese, e cioè lo strumento per la realizzazione pacifica ed ordinata dei valori della rivoluzione francese del 1789 (Koselleck). Oggi questi apparati sono in via di rapidissima integrazione nei meccanismi unici di riproduzione della società di mercato, ed hanno quindi perso ogni residua ”aura” di autonomia culturale dì dignità politica.

Come è noto, per diventare professori di scuola secondaria, magistrati, diplomatici e poliziotti occorre superare un concorso selettivo (formalmente) meritocratico, in quanto anonimo. Solo per diventare vescovi e professori universitari siamo di fronte ad una cooptazione pura. Nel caso dei professori universitari c’è però un’ulteriore ipocrisia istituzionalizzata, in quanto la cooptazione pura è mascherata da concorsi lottizzati. Siamo di fronte alla situazione surreale rappresentata in una delle tante vignette dei personaggi stralunati del caricaturista Altan: “Il trucco c’è, si vede, e non gliene frega niente a nessuno!”.

In una analisi strutturale, in cui vengano distinti i tre momenti, e cioè (I) il trucco c’è, (II) si vede, ed infie (III) non gliene frega niente a nessuno, è il terzo elemento il più socialmente importante. Se infatti non gliene frega niente a nessuno, ciò significa che questo metodo è il più adatto (fittest, in linguaggio darwiniano) per la riproduzione complessiva della società di mercato.

Non nego che in rarissimi casi la meritocrazia sia decisivsa nella cooptazione. In fondo, ogni tanto escono anche i numeri della roulette. Bisogna che il casuale sia necessario, diceva Hegel. E tuttavia siamo di fronte a molti casi di cooptazione maialesca, nel caso di giovani donne, e di cooptazione ”familistica”, nel caso di giovani uomini.

Nelle facoltà di filosofia, quelle che conosco meglio, mancando completamente parametri oggettivi di tipo filologico e contenutistico, l’arbitrio maialesco e familistico giungono a vette borgesiano—kafkiane ignote in altre facoltà maggiormente ”quantitative”. Mi dicono però amici fisici e medici che la maggiore oggettività di queste discipline è solo una illusione umanistica, ed il nesso di maialismo e di familismo è anche lì fortissimo.

Perchè si permette tutto questo?

Con categorie moralistiche e giudiziarie tutto questo sarebbe incomprensibile. Evidentemente, si ha a che fare con un ceto che si vuole mantenere tale e quale per i servizi che rende alla riproduzione complessiva del sistema. Chi ha altre spiegazioni me le comunichi, e gliene sarò grato. Sono addirittura disposto a cambiare opinione, se mi convincerà.

Un sintomo linguistico ci aiuterà. Ormai i professori di scuola secondaria, un tempo professori a tutti gli effetti, sono stati ribattezzati prof dal circo mediatico unanime. Non si tratta affatto di innocente gergo giovanile. Si tratta di una distinzione sociale di tipo castale fra i veri e propri ”professori”, e cioè i titolari degli apparati ideologici universitari, ed i prof, la plebaglia sindacalizzata consegnata al controllo di genitori espropriati dai pubblicitari di ogni egemonia culturale sui figli, di psicologi invasivi e di pedagogisti futuristi pazzi.

Tutto questo è funzionale alla rifeudalizzazione stratificata della nuova società oligarchica postborghese di mercato in cui viviamo. Gli apparati universitari sono apparati ideologici: parlo qui esclusivamente delle facoltà di diritto, economia, filosofia e scienze sociali — nelle scienze naturali ed in medicina c’è anche lì l’elemento ideologico, ma passa attraverso filtri professionali assai più complessi ed indiretti), ed oggi hanno raggiunto un alto grado di simbiosi sia con gli apparati economici che con quelli politici e giornalistici.

A proposito degli apparati economici che restano marxisticamente (ed io sono un non—pentito allievo indipendente di Marx, al di fuori di qualsivoglia cordata marxista identitaria rimasta in circolazione) i più importanti, la nuova università è ormai totalmente integrata nella committenza privata di mercato. Certo, ciò è evidente per le facoltà ”serie” (ingegneria, fisica, economia, eccetera). Per le facoltà ”buffonesche” ed inutili (lettere, filosofia, scienza della comunicazione, DAMS vari, eccetera) la committenza c’è egualmente, ma è data dagli spettacoli sponsorizzati dalle banche e dagli enti locali (la cosiddetta ”cultura” di Eco, Bondi, Sgarbi, eccetera), su cui appunto hanno detto tutto filosofi fuori dal coro (Adorno, Debord, Baudrillard, eccetera).

A proposito degli apparati politici, il clero universitario è uno dei più apprezzati per il reclutamento di piazzisti di Eurolandia e della globalizzazione, i due nuovi dei che hanno sostituito i vecchi piazzisti di indulgenze (pensiarno ai Tetzel del 1517 contestato da Lutero). Non cito il più ridicolo di tutti per evitare denunce per diffamazione, ma quando penso al ciclista emiliano che faceva la lezioncina neoliberale agli italiani attoniti e basiti, mi convinco sempre di più che la vera comicità spontanea non ha bisogno di passare per Totò, Alberto Sordi o Dario Fo.

A proposito degli apparati meditici, il clero universitario, tolto eccezioni o quello che gli anglosassoni chiamano lunatic fringes, è unificato dall’adesione alla nuova
la formazione ideologica del Politicamente Corretto, una nuova formazione ideologica che ha sostituito il vecchio riferimento cattolico, la vecchia adesione al marxismo gramseiano ed in generale il vecchio panorama dialettico anteriore al 1991.

Non c’è qui lo spazio per analizzare le componenti essenziali del modello ideologico del Politicamente Corretto, codice obbligatorio d’accesso per diventare Clero Legittimo di Eurolandia. Alla rinfusa, e senza troppo sofisticare, elenco solo alcuni elementi che mi vengono alla mente: adesione alla metafisica dell’interventismo umanitario a bombardamento asimmetrico differenziato; esaltazione dell’antifascismo in assenza completa di fascismo come ricerca nel passato di una legittimazione morale impossibile da
trovare nel presente; connotazione del Novecento come orribile secolo della follia utopico—ideologica; ecologismo moderato da Mulino Bianco, ottimo per la nuova global middle class , priva ormai di coscienza sociale infelice, e per questo amante delle foche e delle balene; pacifismo ipocrita, con lode simultanea a Gandhi ed agli interventi democratico—umanitari degli USA in Kosovo, Afganistan, Irak e domani chissà; femminismo rituale da donne in carriera ed apologia del matrimonio gay come nuova frontiera antimetafisica globale: nuova religione dell’Olocausto come elaborazione del complesso di colpa degli intellettuali europei e come legittimazione di qualsiasi cosa intenda fare la direzione sionista (da non confondere ovviamente — ma è inutile dirlo — con il popolo ebraico e con la stessa religione ebraica); sottomissione al provvidenzalismo storico del nuovo impero USA, cui però si chiede belando che sia meno unilaterale, sia più Obama e meno Bush, e privilegi le colombe (doves) e non i falchi (hawks); multiculturalismo ed apologia del migrante e dello straniero come ersatz (sostituzione del vecchio culto dell’operaio—massa fordista incazzato, tanto più innocui per rifarsi la buona coscienza (gli intellettuali si “rifanno la buona coscienza come le attricette si rifanno le tette ed il culo) in quanto né il vecchio operaio—massa incazzato contro la spersonalizzazione fordista né il nuovo migrante minacciano in alcun modo la loro collocazione privilegiata.

E potrei ovviamente continuare, ma il lettore-ascoltatore ha già qui un saporito piatto speziato.

5) Conclusioni finali

Non siamo (purtroppo) vicini ad un nuovo 1789, e nemmeno ad un nuovo 1917. Essi verranno, con ogni probabilità (non certo sicuramente), in quanto la odierna dismisura del potere e della ricchezza fra individui, classi, popoli e nazioni è ormai tale che l’intero baraccone si fonda su travi marce e su palafitte crollanti. E allora, se le oligarchie impazzite non ci obbligheranno ad una catastrofe nucleare, considero probabile, in un futuro però non vicino, una vera rivoluzione. La prima struttura che cadrà nella polvere sarà l’attuale intreccio di ceto politico, ceto mediatico e ceto intellettuale—universitario.

I nostri discendenti lo giudicheranno probabilmente come noi oggi giudichiamo il famoso Ancien Régime.

IL PONTE – “Democrazia – università – Classe Dirigente” , 2 Ottobre 2008, Viterbo 6

«DEMOCRAZIA - UNIVERSITÀ - CLASSE DIRIGENTE»

INCONTRO- DIBATTITO PUBBLICO

Giovedì 2 Ottobre 2008  - presso Domus La Quercia, Via Fiume 112, Viterbo