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Perchè gli psichiatri sognano?

di Vincenzo Minissi - 29/12/2008

 

Devo confessare che ho una certa simpatia per gli psichiatri. Tutti quelli che ho conosciuto nella mia vita erano personaggi originali disposti a parlare dei loro problemi, dei loro dubbi, del loro ottimistico desiderio di cambiare qualcosa che non conoscevano assolutamente. Non sono sarcastico: a fronte della gelida determinazione basata su teorie empiriche di altre branche della medicina, costoro rappresentano, realmente, una nota di colore nel grigio panorama dei curatori della nostra salute. Purtroppo la legge li autorizza a prescrivere trattamenti (dall’elettroshock agli psicofarmaci) che possono rappresentare un serio pericolo per la salute (non solo mentale) di chi li subisce. Si potrebbe obiettare che anche i medici generici hanno questa possibilità, senza peraltro avere alcuna conoscenza della casistica, e che gli psicofarmaci più potenti , e cioè i derivati dell’oppio, vengono acquistati per strada, ma è opportuno valutare un’ipotesi che, se ritenuta valida, potrebbe far pensare che la psichiatria ufficiale sia da considerarsi più pericolosa nel causare danni, anche irreversibili, alla gente che si trova, più o meno volontariamente, a dovervi ricorrere.

Per comprendere di cosa stiamo parlando bisognerebbe essere d’accordo con una certa teoria più o meno accettata da tutte le scuole di psicologia che ritiene che certe scelte professionali di un adulto rappresentino il tentativo di occuparsi e risolvere i problemi del suo vissuto personale, quelli , cioè, che lo hanno turbato nell’infanzia e nell’adolescenza. Avvocati, giudici, poliziotti, generalmente sono persone con un problema di regole, da rispettare o trasgredire; gli architetti e gli urbanisti sono persone che necessitano, coercitivamente, di spazi pianificati in termini completamente artificiali e innaturali; i medici sono la categoria professionale in cui si riscontra la maggior percentuale di ipocondriaci o, all’opposto, di trasgressori delle regole generali della salute del corpo. Avete mai parlato con il vostro dentista delle sue "paure del dentista"? Avete mai visto un ingegnere, nella sua vita quotidiana, risolvere un problema con un semplice meccanismo, che so, un apriscatole o un carburatore? Avete mai visto un laureato in Lingue parlare spigliatamente e con pronuncia corretta l’idioma che è abilitato ad insegnare?

Non avendo mai creduto molto nell’Università italiana, molto spesso mi sono trovato a dissuadere i giovani dall’iscriversi a facoltà assolutamente non in grado di garantire occupazione o a fornire una preparazione scientifica adeguata. Invariabilmente mi sono trovato di fronte alla stessa motivazione di scegliere un ordine di studi per cercare di saperne di più sul proprio problema centrale. Gli psicologi sono la categoria che più candidamente ammette il legame tra le proprie problematiche e la propria professione, al punto che, nel ricevere alcune decine di richieste di impiego, recentemente, nei curriculum vitae di molti dei essi, la dichiarazione di essere o essere stati sottoposti ad una lunga analisi individuale, veniva citata come titolo di merito. E giustamente. Cosa significa tutto ciò? Che la classe professionale che si occupa di costruire i nostri ponti, di curare i nostri disturbi, di progettare i freni delle nostre auto o di progettare lo spazio in cui viviamo sia pericolosamente guidata da complessi e idiosincrasie tali da rendere l’esistenza di chiunque estremamente precaria? Anche se su alcune questioni, a volte, viviamo esperienze tali da alimentare ragionevolmente tale dubbio, possiamo dire che, in ogni caso, il processo tecnologico, la medicina allopatica, la progettazione razionale degli spazi, hanno migliorato le condizioni generali di vita dell’umanità. Magari a scapito dell’ambiente o dei Paesi più disagiati, ma non è questa la sede per affrontare questo aspetto del problema. Visto che, tutto sommato si soffre meno dal dentista, le ferite non si curano più con l’urina, e le automobili sono sempre più sicure, ci dobbiamo chiedere quali siano i meccanismi di controllo che, ad esempio, impediscono ad un ingegnere impazzito di costruire un grattacielo di gomma perchè ciò è quello che desiderava fare da bambino?

Senza scomodare K.R. Popper che definisce l’affidabilità di una teoria scientifica proporzionale alla sua possibilità di essere discussa e confutata, basterà pensare al fatto che un ingegnere con un’idea siffatta dovrebbe dimostrare la sua realizzazione alla luce delle regole contenute in centinaia o migliaia di tabelle, manuali, programmi di simulazione, ecc. , che funzionano, invariabilmente, da migliaia di anni. Secondariamente dovrebbe convincere qualcuno a finanziare il progetto, necessariamente qualcuno che abbia abbastanza potere di gestire grosse risorse finanziarie per la sua affidabilità di fronte ad altri. Non so se sia ancora in voga il rituale che impone ai progettisti di un ponte di esservi sopra, nel mezzo, al momento del collaudo. Escludendo gli elementi con tendenze suicide tale rituale mostra un’altra componente del meccanismo di controllo basata sul descrivere esattamente qual è il rischio a cui va incontro il professionista che si abbandona un po’ troppo al suo estro personale. Non sostengo, Dio me ne guardi, che il sistema sia perfetto, tuttavia lascia abbastanza soddisfatta larga parte dell’umanità permettendo di lavorare per migliorarlo alla luce dei risultati più o meno positivi che conseguono dai tentativi effettuati.

Nel caso della psichiatria il problema si pone in tutt’altra dimensione. Consideriamo, alla luce della teoria di cui sopra, quella che vede della professione come elaborazione di un’esperienza pregressa, e facciamo, quindi, l’ipotesi che il futuro psichiatra abbia avuto un problema di salute mentale da piccolo. Non necessariamente deve averlo riguardato personalmente. Può essere che si sia trattato di un parente o di un amico. Fatto sta che il problema ‘salute mentale’ comincia ad essere elaborato. A questo punto c’è da riflettere sul fatto che più o meno tutti noi abbiamo avuto un’esperienza di "follia" più o meno intensa nella nostra vita, eppure l’atteggiamento di fronte a questa manifestazione dello spirito umano si differenzia notevolmente da persona a persona. C’è chi vede la follia come fattore di devianza e assume un atteggiamento di censura e repressione . C’è chi la considera come un fattore di genialità e creatività, mostrando interesse e ammirazione. C’è chi la considera un problema di logica, e l’affronta con gli strumenti necessari. Un po’ quello che è realmente successo e succede, nelle diverse società del passato e del presente, ove il "matto" poteva essere rinchiuso o bruciato sul rogo, considerato un essere vicino agli dei o essere argomento di dibattiti filosofici.

Per lo psichiatra, invece, il folle è un "malato". Come egli arrivi a questa illogica definizione non ci è dato di saperlo. Sappiamo, al contrario che cosa è una malattia, secondo la scienza medica attuale: possiamo definirla un’alterazione organica di sistemi o tessuti fisiologici rilevabile attraverso un’osservazione empirica. Un herpes, un infarto, un’anemia o una patologia virale, sono rilevabili attraverso strumenti sempre più perfezionati e perfezionabili. Un disturbo psichiatrico, non è misurabile se non con test analogici di comparazione con quello che è un modello di ragionamento "normale". Negli anni 50, l’equipe di ricerca sulla schizofrenia di Palo Alto, diretta da G. Bateson, in più occasioni creò sperimentalmente una sintomatologia e una dinamica schizofrenica, facendo conversare tra loro due psichiatri ad ognuno dei quali era stato riferito che l’altro era uno schizofrenico. Nonostante l’industria farmaceutica elargisca fiumi di denaro a ricercatori compiacenti per dimostrare la possibilità dell’origine organica o genetica dei disturbi psichiatrici più diffusi, a tutt’oggi non è stato possibile trovare alcun elemento credibile a sostegno di tale ipotesi.

Ma questo alla psichiatria non interessa, dato che, comunque sogna una possibile scoperta che sveli, una volta per tutte, l’orribile mistero che perseguita gli psichiatri dalla loro infanzia. Tale mistero, rende la vita professionale complicata anche ad altre categorie di persone, ad esempio quelli che rientrano nella categoria degli psicologi. Anche questi hanno dato in passato spiegazioni alquanto fantasiose sull’origine dei disturbi psichici, qualche volta fallendo, qualche volta facendo passi in avanti. Tuttavia una teoria psicologica è una teoria confutabile, dato che si basa su elementi e ipotesi che possono essere verificati all’interno delle convenzioni stabilite dalla logica e dalla metodologia di ricerca. Se sostengo che il paranoico sia divenuto tale perchè da piccolo la madre era autoritaria, dovrò portare a mio suffragio un numero sufficiente di casi in cui, invariabilmente, l’ipotesi sia confermata e le cui eventuali eccezioni, come si dice, "confermino la regola".

La psichiatria parte invece da un’ipotesi ‘metafisica’ e si sforza di dimostrarla con dati empirici traballanti o palesemente falsi oppure, con atti di fede mascherati da fiducia illuministica nel "progresso". Una degnissima persona che conosco, sostiene che le piante siano dotate di pensiero Costui ‘immagina’ letteralmente tutte le prove a sostegno della sua affascinante ipotesi, altre le esagera e quando, non avendo ancora capito l’antifona, da botanico dilettante gli spiegai che, secondo me, la fisiologia vegetale non aveva i requisiti necessari per consentire il pensiero, abbassando con aria complice la voce mi disse "Ma prima o poi scopriremo che anche loro hanno un cervello nascosto da qualche parte." Questa simpatica persona fa conferenze, insegna, fa dei proseliti ed è ovunque considerato alquanto "originale". Ma non si è mai certamente sognato di smantellare l’organizzazione del Corpo Forestale per combattere gli incendi boschivi facendo psicoterapia di gruppo alle piante.

La psichiatria, invece, attacca ferocemente chi mette in dubbio la scientificità delle sue ipotesi, smentisce i propri clienti insoddisfatti con la facile argomentazione : "Ma chi può dar retta ad uno schizofrenico?", e però, quando lo stesso schizofrenico dice di essere "guarito" grazie chissà a quale strano cocktail di veleni psicotropici, diviene attendibile e viene mostrato in giro come esempio della validità delle sue teorie . Sospetto che il gran numero di omicidi compiuti da paranoici ai quali era concesso il permesso di tenere armi dopo regolare perizia psichiatrica, siano in realtà uno dei tragici aspetti del particolare meccanismo di relazione paziente - psichiatra, di cui un altro esempio eloquente si può trovare in qualcosa che un tempo era abbastanza frequente nei manicomi. In pratica, il paziente ricoverato in maniera coatta che se ne voleva andare, si offriva come cavia per esperimenti farmacologici a qualche psichiatra entusiasta ed inesperto che sperimentava nuove terapie. Dato che "pazzo" e "scemo" sono due cose diverse, il paziente riusciva spesso a dimostrare (a chi in realtà non aspettava altro che una conferma alle sue ipotesi) di essere guarito. Veniva quindi dimesso con soddisfazione del medico e relativa pubblicazione scientifica, salvo essere di nuovo ricoverato dopo qualche mese. Alcuni di questi geniali imbroglioni hanno ripetuto lo scherzetto diverse volte prima che le direzioni sanitarie avvertissero imbarazzate i nuovi medici in servizio di farvi attenzione.

Un altro aspetto, questa volta divertente del groviglio illogico della psichiatria, è il rapporto paradossale che i medici hanno con gli psicofarmaci. Qualsiasi psichiatra sa che le sostanze psicotropiche, ansiolitiche e, talvolta persino i neurolettici, hanno un’efficacia incostante e imprevedibile sulle sintomatologie, tant’è che gli esperimenti condotti con placebo a doppio cieco dimostrano, almeno per gli antidepressivi e gli ansiolitici, che la differenza nel risultato tra farmaco e placebo è irrilevante. Un mio amico psichiatra aveva l’abitudine di mettere, dopo una giornata di stress, 3 gocce di un notissimo tranquillante nella camomilla che prendeva prima di andare al letto. Una dose omeopatica, come gli facevo notare, che non avrebbe potuto avere in alcun caso alcun effetto nemmeno su un topolino. Al che lui rispondeva bofonchiando che ciò che faceva lo rassicurava e quindi lo faceva dormire meglio. Si stava dando, da solo, un placebo costituito da un farmaco! Ed era uno dei più intelligenti, e aperti al confronto tra i giovani psichiatri che ho mai conosciuto, estremamente misurato e dubbioso nel somministrare farmaci ai propri pazienti. Un altro mi ha riferito che molti suoi colleghi usavano un antidepressivo per combattere l’eiaculazione precoce, dato che conteneva un principio chimico che aveva l’effetto secondario di provocare una temporanea congestione del canale seminale inibendo meccanicamente il passaggio del liquido seminale. In realtà tale effetto si avverte solo in caso di assunzione di dosaggi molto elevati, ed è da ritenere che gli effetti ‘benefici’ rilevati dopo averne preso una sola pillola fossero da attribuirsi alla riduzione dell’ansia derivante dal rassicurante rituale dell’assunzione di qualcosa ‘che fa bene’.

Questa fiducia cieca e irrazionale in sostanze di cui conoscono perfettamente l’accertata tossicità e dipendenza che procurano all’organismo nonchè l’assoluta mancanza di prevedibilità degli effetti sulla sintomatologia, è l’indice di un atto di fede che lo psichiatra compie verso la "sua Chiesa" le cui divinità sono esseri oscuri e imprevedibili dai quali bisogna proteggersi, e far proteggere gli altri, con droghe, rituali ed altri comportamenti iniziatici, nella speranza che prima o poi le forze del bene trionferanno. Una religione vera e propria che, laddove praticata in appositi edifici di culto, ospedali, cliniche e reparti psichiatrici giunge ad esercitare pratiche come quella dell’elettroshock: laddove anche il magico farmaco dimostra chiaramente la sua inefficacia, l’ira divina deve essere placata con riti più cruenti. Chiunque si occupi dei misteri della mente umana, di cui il disturbo psichiatrico è la manifestazione più oscura e terrorizzante, può comprendere il senso di smarrimento e frustrazione nel sentirsi impotenti a combattere la sofferenza che esso genera. "Laddove anche gli Angeli hanno paura di mettere piede" recita una poesia scelta per titolo ad una raccolta di scritti di G.Bateson e di sua figlia M.Catherine , ed è comprensibile che per superare questa paura gli psichiatri si siano rivolti a teorie pseudo -scientifiche sperando di renderle progressivamente in grado di affrontare i problemi.

Ma il fatto che essi continuino a fallire quando altri metodi, come ad esempio la psicoterapia e gli interventi sui sistemi familiari ed educativi, mostrano sempre migliori risultati, comincia a far dubitare seriamente della loro buonafede. La loro attività di ricerca e pubblicistica pagata dai colossi farmaceutici al fine di continuare a predicare un approccio farmacologico più o meno esclusivo al disturbo psichico, le sofferenze interminabili subite dai pazienti e dalle loro famiglie, i costi che paga la società nel suo complesso, sono tutte cose che rendono inaccettabile il sogno degli psichiatri. E’ giunto il momento di svegliarli.