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Guillaume Apollinaire, poeta dell’amore e della guerra

di Fabrizio Legger - 26/10/2009

 


Se c’è un poeta novecentesco che, anche nel nuovo millennio, continua a riscuotere un buon successo di lettori, questi è senz’altro il grande Guillaume Apollinaire (1880-1918).
Apollinaire non fu soltanto un grande poeta, geniale innovatore, dotato di una vasta cultura, teorizzatore di quella fusione tra le diverse forme di espressione artistica che conoscerà tanta fortuna nelle  avanguardie e nei movimenti letterari del primo Novecento, ma anche una personalità singolare, una sorta di mattatore e di gigione che, tra il 1900 e il 1918, dominò la scena letteraria parigina, divenendo punto di riferimento per molti poeti e artisti non solo francesi, ma anche italiani e stranieri, come Marinetti, Picasso, Soffici, Braque, Ungaretti, France, il che, ovviamente, ben dimostra quanto sia stata intensa e importante l’attività letteraria, culturale e giornalistica di questo intramontabile maestro della poesia.
Apollinaire nasce a Roma nel 1880 da un ufficiale italiano dell’ex-esercito borbonico e ad Angelica Kostrowitzky, un’aristocratica polacca. In seguito alla separazione dei genitori, il piccolo Apollinaire seguì la madre dapprima a Monaco e a Nizza, poi a Lione, e, infine, a Parigi, dove giunge nel 1889.
Sin da piccolo Apollinaire rivelò un temperamento fantasioso e sognante. Era dotato di una memoria prodigiosa e imparò subito a leggere e a scrivere. A dieci anni scriveva già versi alessandrini, con cui riempiva interi quadernetti, e a dodici si intrufolava tra gli scaffali più alti delle biblioteche alla ricerca dei “libri proibiti”, cioè quelli di contenuto erotico e scandaloso che erano stati messi all’Indice dalla Chiesa e dalla morale cattolica, e fu proprio in età adolescenziale che lesse il Decameron di Boccaccio, i Dialoghi e i Ragionamenti dell’Aretino, le Novelle erotiche del Casti, i romanzi pornografici del marchese De Sade, da cui trasse poi ispirazione per i suoi romanzi erotici.
A ventitre anni, dopo aver pubblicato articoli e racconti su alcuni periodici parigini (tra cui un giornale finanziario) che però lo pagavano male e non gli garantivano alcun impiego per il futuro, Apollinaire fondò la rivista letteraria Le Festin d’Esope, che uscirà per un anno, con i poeti Jarry e Geraldy come collaboratori. Ma alla fine del 1904 la rivista deve chiudere i battenti per mancanza di introiti. Però, nel frattempo aveva conosciuto Pablo Picasso e Max Jacob e aveva scritto il romanzo dal bizzarro titolo de Il mago putrescente.
Nel 1906 pubblicò due romanzi erotici: Le undicimila verghe e le Memorie di un giovane Don Giovanni, scritti di getto in quanto erano libri che si vendevano rapidamente e che assecondavano i gusti dei lettori dozzinali, ma che non si possono certo definire opere di grande letteratura.
Nel frattempo, Apollinaire, poeta sensuale e libidinoso e instancabile seduttore di donne, aveva intrapreso diverse relazioni, tutte brevi e burrascose: prima con Linda Molina, poi l’inglese Annie Playden, conosciuta durante il suo soggiorno nella Foresta Nera. Nel 1907 conobbe Marie Laurencin, con cui instaurò una relazione fatta di continue rotture e continue riappacificazioni, che proseguì sino al 1912.
Nel 1911 Apollinaire pubblicò il suo primo libro di poesie: Le Bestiarie ou le Cortège d’Orphée, che però non ottenne il successo editoriale tanto atteso. In quello stesso anno, il poeta si trovò anche invischiato nel furto della Gioconda. Apollinaire scoprì in casa di Géry Piéret, segretario del Club degli Indipendenti, alcune statuette rubate dal Louvre. Se ne impossessò e le fece restituire al Museo tramite il periodico Paris Journal, ma vi furono indiscrezioni, venne fatto il suo nome e la polizia arrestò il poeta, sospettandolo che fosse uno degli autori del furto del celebre quadro leonardesco. Restò in carcere per una settimana, alla Santé, dove si consolò scrivendo parecchie poesie. Liberato, ne uscì con un profondo scoramento e una bruciante delusione della giustizia borghese. Nel frattempo, aveva incominciato ad interessarsi di pittura, e in particolare del Cubismo, di cui divenne il critico ufficiale.
Nel 1913 Apollinaire si recò a Berlino per una conferenza sulla pittura cubista. Nello stesso anno fece stampare il celebre libro di versi dal titolo Alcool, i cui testi erano stati scritti subito dopo la pubblicazione del Bestiario.
Ma fu il 1914 uno degli anni più importanti della vita del poeta: infatti fu l’anno in cui conobbe Louise de Coligny-Chatillon, che fu il suo amore più grande, e quello che lo vide partecipare volontario, da fervente patriota qual era, alla Prima Guerra Mondiale. Sempre nello stesso anno iniziò a scrivere calligrammi, ovvero poesie le cui parole sono disposte in modo da formare un disegno, con le quali darà vita alla più celebre tra le sue raccolte poetiche.
Apollinaire fece  domanda per essere arruolato nell’esercito francese a partire dall’agosto del 1914, ma venne arruolato solo nel mese di dicembre, quando ormai le truppe tedesche assediavano Parigi. Tra i mesi di novembre 1914 e gennaio 1915, la sia passione per Lou giunse al culmine: la loro relazione fu carnale oltre misura, tutta sesso e fuoco, e le sensazioni provate da Apollinaire lasciarono nella sua poesia una traccia indelebile.
Ma Lou era una cacciatrice di uomini, una ingorda ninfomane la cui sfrenata libidine poteva essere placata soltanto da un coacervo di storie multiple con più uomini, ragion per cui il poeta era solo uno tra i suoi tanti amanti. E di quel poeta lussurioso ma squattrinato, Lou si stufò presto, tanto che nel marzo del 1915 si videro per l’ultima volta.
Nel frattempo il poeta aveva conosciuto, durante un viaggio in treno, la bella Madeleine Pagès, di cui si innamorò perdutamente. Frattanto aveva continuato a scrivere, sempre con maggior lena, le poesie che poi vennero pubblicate nella raccolta Calligrammi. Nell’autunno del 1915 si fidanzò con Madeleine. Poi, nominato tenente di artiglieria, venne inviato al fronte, in prima linea, dove fece esperienza diretta con tutti gli orrori della guerra, dalla situazione spaventosa delle trincee agli assalti alla baionetta. Nel 1916 venne gravemente ferito nel corso di una battaglia e subì la trapanazione del cranio. Rispedito a Parigi, Apollinaire dovette sottostare ad una lunga convalescenza. In quel periodo, però, riprese a frequentare i caffè letterari, a leggere romanzi e a scrivere poesie. Gli orrori della guerra lo cambiarono parecchio e gli fecero scemare anche la passione per Madeleine.
Nelle stesso anno, Apollinaire rivede il testo del romanzo Il Poeta assassinato, scritto prima della guerra, tra il 1912 e il 1913, e lo fa pubblicare. Si tratta di un’opera assai importante per Apollinaire, sia perché intrisa di elementi autobiografici, sia perché, nel personaggio protagonista del romanzo, il nobile Croniamantal, rappresenta in un certo qual modo una sorta di alter ego di Apollinaire. E infatti, egli, così lo descrive:
“Croniamantal era, in questo periodo, un bell’adolescente sottile e slanciato. Le ragazze, quando passava loro accanto alle feste paesane, facevano risatine e arrossivano, abbassando gli occhi sotto il suo sguardo. Lo spirito, abituato alle forme poetiche, concepiva l’amore come una conquista. Reminescenze di Boccaccia, la sua natura ardita, la sua educazione, tutto lo portava a osare…”
Difficile non intravedere, in questa descrizione del suo eroe romanzesco, un alter ego del poeta: ma così è per quasi tutta la produzione teatrale e narrativa di Apollinaire. I suoi personaggi sono tutte proiezioni del suo spirito, creature lacerate dal perenne dissidio tra carne e spirito, che si dibattono tra i lacci della realtà e che vivono inseguendo sogni spesso impossibili o sfavillanti chimere dietro alle quali si nascondono le delusioni più atroci.
Nel 1917 fece rappresentare il dramma satirico Le mammelle di Tiresia, che aveva scritto nei mesi della lunga convalescenza e che ottenne un  buon successo, in quanto opera mordace e graffiante, satura di sarcasmo e piena di doppi sensi.
Nel 1918 il poeta si ammalò di congestione polmonare e dovette trascorrere due mesi in ospedale. In quell’occasione conobbe la bella e procace Jacqueline Kolh: se ne innamorò e le fece una corte spietata. Alla fine, i due si fidanzarono e decisero di sposarsi quanto prima. Nel mese di aprile vennero pubblicati i Calligrammi e nel mese di maggio Apollinaire e Jacqueline si sposarono. Durante le  vacanze dell’estate, scrisse il dramma  Colore dei tempi e il libretto per melodramma Casanova. Ai primi di novembre fu colpito dalla terribile influenza spagnola, che fece milioni di morti in tutta Europa, e spirò il 9 di novembre, tra le braccia dell’amico poeta Giuseppe Ungaretti, che era giunto per annunciargli la fine della guerra e la vittoria delle potenze dell’Intesa.
Apollinaire fu smodato ed esagerato in ogni cosa, fu una forza della natura scatenata tanto in poesia quanto in amore, nella letteratura come nella vita. Fu tutto e il contrario di tutto, un vulcano di idee pieno di esuberanze e di contraddizioni, fautore di una poesia moderna e innovatrice, ma trasudante di elementi autobiografici e surreali, come canta nella poesia Zona, che apre la raccolta Alcool:

                                 Alla fine sei stanco di questo mondo antico
                                 Pastora o Tour Eiffel il gregge dei ponti bela stamattina
                                 Ne hai abbastanza di vivere nell’antichità greca e romana
                                 Qui persino le automobili hanno un’aria antica
                                 Solo la religione è rimasta nuova la religione
                                 È rimasta semplice come gli hangar di Port-Aviation.
   
Amò i classici ma fu uno sperimentalista e un convinto sostenitore di nuovi linguaggi poetici che comprendessero anche quelli propri delle arti figurative. Utilizzò sia la metrica classica francese sia il verso libero, e guardò con simpatia all’antitradizione militante del Futurismo italiano. Ruppe con la tradizione classica (come è possibile notare nei suoi Calligrammi) ma conservò una cultura tradizionalista decisamente notevole. Fu surrealista, postsimbolista, versiliberista, ma occorre dire che, a mio giudizio, tutte queste etichette gli vanno decisamente strette, perché Apollinaire fu sostanzialmente soltanto se stesso, animato da una passione travolgente e disordinata per la vita, le belle donne, l’arte e la poesia.
Infatti, non a caso, uno degli aspetti della personalità di Apollinaire che più affascina i suoi lettori e i suoi biografi, è appunto quello della sua vita caotica e dispersiva, sempre alla ricerca di nuovi amori e nuovi emozioni, caratterizzata da una tensione sperimentale continua nei confronti dell’espressività poetica e da una capacità non comune nel rapportarsi con le avanguardie e le novità artistiche della turbolenta epoca storica in cui visse.
A prima vista, Apollinaire può sembrare persino un grafomane: scrisse ideogrammi lirici e calligrammi,  racconti pornografici e romanzi surreali, sperimentò nuove tecniche di espressione poetica e si batté per un linguaggio artistico universale che racchiudesse al suo interno poesia, pittura, musica, teatro… Fu drammaturgo satirico e romanziere erotico, novelliere e critico d’arte, poeta lascivo e poeta bellico: insomma, un vero artista completo che espresse in poesia tutte le contraddizioni che attraversavano la società europea del primo Novecento.
Tra le sue caratteristiche, come uomo e come poeta, spiccano però, soprattutto, l’essere passionale e fantasioso oltre misura, autore di poesie strapiene di immagini e di raffigurazioni bizzarre, come in questa strofa della poesia intitolata L’eremita, anche questa inserita nella celebre raccolta Alcool:

                        Città ho riso dei tuoi palazzi simili a tartufi          
                        Bianchi dal suolo scavato di radure azzurre
                        Ora se ne vanno i miei desideri tutti lemme lemme
                        La mia pia emicrania ha coperto la sua cuffia.

Di fantasia, Apollinaire, ne aveva a bizzeffe: inventava sempre nuove opere, e spesso non riusciva a portare a termine quelle iniziate, perché altre le si accalcavano vorticose nella mente. La sua era una fantasia vulcanica, che non gli dava requie neppure quando dormiva, tanto che, più volte, il poeta confessò che, in sogno, aveva incontrato personaggi e vissuto vicende che aveva poi immortalato nei suoi romanzi e nei suoi racconti. Anche quando passeggiava e anche quando leggeva, la fantasia inesauribile di Apollinaire seguitava a immaginare nuove opere e a concepire trame di nuovi scritti.
Egli visse in maniera smodatamente passionale, sempre attratto da nuovi amori, sempre affascinato da nuove forme di espressione artistica, sempre ingordo di libri e di nuove letture, sempre smanioso di viaggi e di nuovi incontri.
Di fronte ad una bella donna dallo sguardo ammaliante e dall’indole civettuola e sensuale, il poeta non sapeva dire di no, così come non sapeva dire di no di fronte ad una bella tavola imbandita o ad una grande libreria colma dei più disparati volumi. In sostanza, Apollinaire era esagerato in tutto. Era un uomo sensuale e immaginoso, che mescolava in un tutto inscindibile arte, amori, vita mondana, viaggi, esperienze culturali. Quando si innamorava, inondava letteralmente le sue donne di versi e di lettere appassionate, ma se poi usciva a cena con gli amici poeti e pittori non si faceva scrupoli nell’andare a trascorrere il dopocena in qualche bordello, magari celebre per le sue “donne ad ore” mulatte, indocinesi, algerine o, comunque, esotiche, delle quali, dopo aver conosciuto carnalmente i corpi, scriveva versi sensuali e libertini come questi, tratti dalla lirica Alla parte più graziosa, tratta dalla raccolta postuma Poesie per Lou:

                                        O graziosa e callipigia
                                        Tutti i culi del mondo sono niente
                                        Il tuo è davvero uno schianto
                                        Dea dalle colline d’argento

                                        D’argento cioè di crema
                                        E foglie di rosa anche
                                        Perciò gran bel sedere io t’amo
                                        E la tua grazia è il mio unico tormento
 
La curiosità culturale e la vivacità intellettuale di Apollinaire erano tumultuose come la sua passionalità amatoria e la sua voracità culinaria: quando usciva a passeggio per Parigi, difficilmente rientrava a casa senza essersi fermato in qualche libreria o presso le bancarelle dei rigattieri per acquistare qualche libro che cercava da tempo. E non solo amava i classici della tradizione letteraria francese, i grandi romanzieri russi, gli scrittori americani o i classici della tradizione greca e latina, ma era anche un appassionato estimatore dei libri cosiddetti “proibiti”, e in particolare di scrittori e poeti italiani come Giovanni Boccaccio, Luigi Pulci, Pietro Aretino, Niccolò Franco, Domenico Tempio, Gianbattista Marino, Giorgio Baffo, Gianbattista Casti, Giacomo Casanova, di cui ebbe modo di leggere parecchie opere direttamente in lingua italiana, che amava e che conosceva piuttosto bene. E, infatti, a molti di questi scrittori dedicò efficaci e magistrali ritratti pubblicati in volume nel libro intitolato Diavoli in amore.
Anche gli anni finali della vita di Apollinaire furono contrassegnata da un’altra delle sue smodate passioni: l’amor di patria.
Apollinaire fu francese dalla punta dei capelli alla punta dei piedi, e anche se amava l’Italia e aveva una vocazione culturale e artistica di tipo decisamente “europeo”, fu un focoso patriota e, a tratti, anche un fervente sciovinista.
Per esempio, per quanto riguarda la Francia e le sue colonie, egli fu sempre un fiero sostenitore della politica coloniale francese, in quanto intendeva questa come “missione civilizzatrice” che la Francia monarchica prima e repubblicana poi elargiva ai popoli dell’Africa e dell’Asia, portando barlumi di civiltà in mezzo a mari di tenebre.
Quando scoppiò la Prima Guerra Mondiale, Apollinaire non ci pensò su due volte a correre ad arruolarsi e ad andare a combattere per la Grande Madre Francia contro l’onnipresente minaccia germanica: presentò domanda di arruolamento con insistenza e smaniò per parecchi mesi, pieno di impazienza, in quanto la sua domanda come soldato volontario (presentata in data 10 agosto 1914) si perse nei meandri burocratici e il poeta non venne subito chiamato in caserma. Dovette aspettare sino al 2 dicembre, quando venne destinato al 38mo Reggimento Artiglieri di Nimes. E anche in questo si vede quanta passione Apollinaire mettesse in tutte le cose che faceva, dall’amore alla guerra, dalla poesia ai viaggi.
E, nel frattempo, scriveva, scriveva, scriveva come un forsennato, in versi e in prose, poesie e lettere, saggi e racconti, calligrammi e romanzi brevi, sognando quella gloria letteraria con cui la Francia aveva incoronato nel corso dei secoli i suoi maggiori poeti e scrittori. Una gloria che, in parte, gli fu riconosciuta quando era ancora in vita, soprattutto dai suoi amici pittori e giornalisti, ma che gli venne tributata, in particolare, dopo la sua precoce scomparsa ad opera della terribile epidemia di influenza detta “Spagnola” che, sul finire del primo grande conflitto mondiale, flagellò spietata l’intera Europa occidentale provocando milioni di morti.
Oggi, di Apollinaire, si possono leggere molte opere in buone traduzioni italiane.
Le undicimila verghe sono reperibili nella collana “Acquarelli” pubblicata dalla casa editrice fiorentina Giunti. È un romanzo d’ispirazione badiana dove lussuria e violenza, sesso sfrenato e perversione crudele, si fondono mirabilmente, dando vita ad un’opera “proibita” decisamente originale.
Diavoli in amore, pubblicato dalla casa editrice milanese Sugarco, è un libro che contiene una serie di ritratti di scrittori licenziosi, le cui opere erano state messe all’Indice dalla Chiesa cattolica. Giovanni Boccaccio, Pietro Aretino, il marchese De Sade, Giorgio Baffo, Crebillon, sono soltanto alcuni dei numerosi scrittori erotici di cui Apollinaire, con la sua penna vivace e graffiante, ci fornisce sintesi e ritratti da cui emerge vigorosa la loro personalità e la peculiarità delle loro opere.
Per quanto riguarda le opere teatrali di Apollinaire, la casa editrice torinese Einaudi, nella sua celebre collana di testi teatrali, ha pubblicato i drammi Le mammelle di Tiresia e Colore dei Tempi. Si tratta di testi satirici, in versi, in cui il poeta, prendendo spunto dalla mitologia e dall’esotismo, deride il femminismo ed esalta l’autosufficienza del maschio (nel primo dramma), oppure denuncia l’inevitabile fine della nostra civiltà, volta all’autodistruzione ad opera della sua smodata brama di progresso tecnologico e di ricchezza immediata (nel secondo).
Per quanto riguarda le raccolte di versi, è molto importante il volume edito nella collana “Oscar Mondadori” della omonima casa editrice, intitolato Alcool. Calligrammi, curato da Sergio Zoppi.  È un libro che contiene le due principali raccolte poetiche di Apollinaire. Importantissima la seconda, Calligrammi, costituita da ideogrammi lirici e da bizzarri testi di poesia visiva i cui versi sono disposti in modo tale da formare figure e disegni. Un testo che ebbe una importanza capitale per la poesia d’avanguardia di tutto il primo Novecento, a cui fecero riferimento soprattutto i poeti dadaisti e futuristi.
Anche la casa editrice Newton Compton, di Roma, ha pubblicato due sillogi: le Poesie (volume contenente un’ampia scelta tratta dall’intera Opera poetica di Apollinaire) e le Poesie d’amore (raccolta caratterizzata prevalentemente da liriche e calligrammi dedicati a Lou e a Madeleine, i due più grandi amori del poeta).
Leggere attentamente Apollinaire significa penetrare nel profondo della crisi di valori e di ideali, di identità e di società che ha tormentato  gl’intellettuali e gli artisti del secolo scorso e che ha ancora delle vaste ripercussioni nel nostro presente.
Una crisi ideale e spirituale nella quale siamo ancora immersi, ragion per cui, la lettura di questo grande poeta francese risulta davvero d’obbligo!