Trump realizza il sogno dei neocon: ora la strategia mediorientale è un rebus
di Andrea Muratore - 22/06/2025
Fonte: Insideover
Donald Trump, nella notte tra il 21 e il 22 giugno, ha realizzato il sogno definitivo dei neoconservatori: l’attacco all’Iran, il Paese che gli apprendisti stregoni del nuovo ordine globale post-Guerra Fredda ritenevano lo “Stato canaglia” per eccellenza, il nemico da colpire per mostrare la capacità di Washington di plasmare un nuovo Medio Oriente.
Gli attacchi sui siti nucleari di Fordow, Isfahan e Natanz da parte dei bombardieri B-2 Spirit portano gli Usa a iniziare una nuova guerra mediorientale dai profili incerti. Trump ha ordinato l’azione per sostenere Israele e la sua guerra dichiarando di aderire agli obiettivi basilari della de-nuclearizzazione dell’Iran, ma ora la strategia mediorientale è un rebus. E l’abbraccio tra Trump e l’idea neoconservatrice delle guerre preventive e mirate a garantire la sicurezza dell’asse Washington-Tel Aviv, per quanto non totalizzante, apre a una domanda: quale sarà l’endgame dell’intervento Usa?
Trump ha dichiarato che l’attacco dei B-2 e dei missili della U.S. Navy era volto unicamente alla de-nuclearizzazione dell’Iran. Ma questa mossa porta direttamente l’America in guerra in un contesto critico, in cui ad essere incerte sono le strategie effettive di Israele, la volontà dell’Iran di continuare a combattere e i possibili riflessi globali, soprattutto da parte di Russia e Cina. E, soprattutto, su Trump insistono le profonde pressioni da parte di una fetta considerevole del Partito Repubblicano, che accarezzava da tempo l’ipotesi dell’attacco all’Iran. Un esempio per tutti: Lindsey Graham, falco del Grand Old Party al Senato, ha esultato per l’attacco a Teheran su X col detto “Fly, Fight, Win!”.
Trump, comunicando l’attacco, ha detto che “ora è tempo per la pace“. Parole volte a dichiarare, esplicitamente, la missione come compiuta. Non a caso ieri The Donald rivendicava la sua candidabilità al Nobel per la Pace per gli sforzi compiuti nell’avvicinare Congo e Ruanda da un lato, India e Pakistan dall’altro, garantendo dei cessate il fuoco grazie alla sua amministrazione. Parole che mostrano sicuramente un tentativo di giustificare di fronte alla sua base, contraria all’attacco all’Iran, la necessità di un’azione limitata.
La sponda con Netanyahu
Ma l’ipotesi che si sia passato un vero e proprio Rubicone deve attendere concreta smentita. In un contesto in cui Benjamin Netanyahu e il suo governo hanno, negli ultimi giorni, alzato l’asticella della guerra di Israele contro l’Iran, accarezzando anche l’idea del sovvertimento del regime nata proprio nei pensatoi neocon e fatta propria da “Bibi”, la discesa in campo dell’America al loro fianco non sembra un deciso fattore frenante. Per mesi Trump e Netanyahu si sono scontrati a distanza, su dossier che andavano dalla guerra di Gaza alla decisione Usa di tentare i negoziati con l’Iran ad aprile. Ma ora non sono mai stati così vicini.
Resta valido quanto scritto dall’editorialista Gideon Rachman hsul Financial Times a ottobre circa quella che era definita la vera e propria “illusione” del regime change iraniano: “Bombardare l’Iran e le sue infrastrutture critiche, nella vaga speranza che ciò causerà il crollo del regime, è anche una strategia profondamente poco convincente”.
E c’è da capire quanto questa nuova intrusione americana in Medio Oriente sarà recepita da quei Paesi che, a partire dalle monarchie del Golfo, ormai da anni stanno lavorando per giocare un ruolo di equilibrio tra parti in conflitto e proprio sulla distensione con l’Iran avevano speso un enorme capitale politico.
A livello globale, poi, l’unilateralismo di Usa e Israele sarà osservato con attenzione anche a Mosca e Pechino. Fulvio Scaglione ha scritto di quanto l’azione contro l’Iran apparisse un deterrente contro le manovre di Russia e Cina in Medio Oriente. Ma il rischio di aver scoperchiato il vaso di Pandora è elevato, anche perché un solo dato è certo: Trump ha fatto ciò che né i falchi dell’epoca di George W. Bush, né interventisti democratici come Hillary Clinton avevano mai avuto voglia di fare, ovvero compiere il passo decisivo per avviare lo strike americano all’Iran. Un momento che nei circoli neocon, oltre che in quelli israeliani, si aspettava da decenni.