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L'Iran non è una minaccia: l'Occidente prepara un nuovo Iraq per distruggere l'ordine delle nazioni

di Augusto Sinagra, Daniele Trabucco, Pierangelo Rossi - 22/06/2025

L'Iran non è una minaccia: l'Occidente prepara un nuovo Iraq per distruggere l'ordine delle nazioni

Fonte: Arianna editrice

La dichiarazione del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, On. Giorgia Meloni, secondo cui la Repubblica Islamica dell’Iran rappresenterebbe una minaccia per il Medio Oriente alla quale debba essere impedito l'accesso alla tecnologia nucleare, costituisce un’affermazione giuridicamente infondata, filosoficamente inconsistente e geopoliticamente strumentale. Essa si colloca nel solco di una visione ideologizzata e assiologicamente deformata dell’ordine internazionale, in cui il diritto viene piegato a logiche di potenza e l’equilibrio tra gli ordinamenti sovrani è sostituito da una pretesa unilaterale di superiorità valoriale, in aperta violazione dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico internazionale e dei postulati della ragione politica classica. Alla luce della Carta delle Nazioni Unite del 1945, fondamento normativo del moderno ordine giuridico internazionale, ogni Stato gode del diritto inviolabile alla propria sovranità, alla propria autodeterminazione e allo sviluppo pacifico delle proprie capacità scientifiche e tecnologiche. L’articolo IV del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) firmato in data 02 luglio 1968, cui l’Iran aderisce sin dal 1970, riconosce espressamente "il diritto inalienabile" di ogni Stato Parte a sviluppare l’energia nucleare per fini pacifici. La condotta della Repubblica Islamica, come attestato in numerosi rapporti dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) e ribadito anche in questi giorni, ha smentito categoricamente l'intenzione di procedere ad applicazioni militari del programma nucleare. Pertanto, viene meno il presupposto stesso che, secondo Israele, avrebbe giustificato l'attacco preventivo. L’adozione di un paradigma securitario che, in assenza di riscontri oggettivi e in contrasto con i presupposti giuridici della legalità internazionale, presuma un intento ostile da parte di Teheran, si configura come una distorsione profonda del principio di legalità internazionale, fondato sulla prova e sul rispetto della sovranità statuale. La stessa evocazione dell’Iran quale minaccia sistemica per il Medio Oriente appare, peraltro, gravemente contraddetta dalla realtà fattuale dei rapporti geopolitici e dai dati giuridici interni al medesimo ordinamento. La Repubblica Islamica, nel corso dell’ultimo ventennio, si è configurata come uno degli attori più efficaci nella lotta contro il terrorismo jihadista e l’espansione dell’estremismo salafita, contribuendo in maniera decisiva, mediante il sostegno alle forze regolari irachene e siriane, al contenimento e alla sconfitta del cosiddetto Stato Islamico. L’impegno iraniano si è svolto, peraltro, nel rispetto della sovranità statale degli ordinamenti coinvolti e non secondo logiche imperiali o espansionistiche. Si è trattato, dunque, di un’azione coerente con i principi di cooperazione e mutua assistenza tra Stati, propri del diritto internazionale classico e codificati negli articoli 1 e 2 della Carta delle Nazioni Unite. Sotto il profilo costituzionale interno, l’ordinamento iraniano, spesso rappresentato in Occidente in modo caricaturale e propagandistico, riconosce formalmente e sostanzialmente la presenza e i diritti delle minoranze religiose. La Costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran del 1979, revisionata nel 1989, all’articolo 13, riconosce il cristianesimo, l’ebraismo e lo zoroastrismo come religioni legittime, i cui fedeli sono liberi di praticare i propri riti, insegnamenti e tradizioni. Tali minoranze godono, inoltre, di rappresentanza parlamentare riservata nel Majlis (Assemblea Consultiva Islamica), configurandosi così un sistema di tutela che, sotto il profilo formale e nella prassi legislativa, risulta conforme agli standard del pluralismo religioso e culturale. Non vi sono elementi concreti, né evidenze giuridiche né segnalazioni documentate in ambito ONU, che consentano di affermare l’esistenza di un sistema strutturale di persecuzione delle minoranze nel contesto iraniano. In tale quadro, l’asserzione secondo cui l’Iran rappresenterebbe un ordinamento destabilizzante per la regione mediorientale appare come il frutto di una costruzione ideologica, volta a giustificare un’agenda geopolitica mirante alla progressiva erosione dell’autonomia e della capacità deterrente di potenze regionali non allineate all’asse euro-atlantico. Tale agenda riproduce, con tratti quasi speculari, lo schema che ha condotto alla disintegrazione dell’Iraq, giustificata nel 2003 con il falso pretesto del possesso di armi di distruzione di massa rivelatosi del tutto falso. Lo scopo reale non era la promozione della democrazia, né la tutela dei diritti umani, bensì la ridefinizione dell’architettura del potere regionale, l’apertura di nuovi spazi per l’ingerenza economica e militare, il controllo delle rotte energetiche e la marginalizzazione strategica di attori capaci di sfidare l’unipolarismo occidentale. La pretesa secondo cui taluni Stati possano, in base a un supposto "imperativo etico", arrogarsi il diritto di decidere chi possa o non possa accedere a determinati sviluppi tecnologici o a un determinato status di potenza regionale, risulta filosoficamente infondata. Essa tradisce una concezione volontaristica del diritto internazionale, non più inteso quale ordine razionale tra soggetti eguali, ma quale proiezione giuridicizzata della volontà del più forte. In tal modo si abbandona il paradigma classico del "ius gentium" come espressione di un ordine naturale tra le civitates, per sostituirlo con una prassi coercitiva, modellata sull’ideologia del dominio e dell’esclusione. Da rilevare, infine, che, sul piano costituzionale interno, la partecipazione dell’Italia a un tale impianto argomentativo e operativo, mediante dichiarazioni pubbliche che si inseriscono in un contesto bellicistico e destabilizzante, costituisce una violazione sostanziale dell’art. 11 della Costituzione repubblicana, il quale sancisce il ripudio della guerra non solo in senso armato, bensì anche in senso culturale, economico e diplomatico. L’adesione acritica a narrative imposte da potenze egemoni, prive di una base giuridica solida e fondate su mere valutazioni politiche discrezionali, compromette gravemente l’indipendenza della politica estera italiana e il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, che si fonda, nella sua dimensione internazionale, su legalità, cooperazione e giustizia tra le nazioni. La dichiarazione del Presidente del Consiglio dei Ministri, figura totalmente marginale in questo contesto, non solo disattende i principi fondamentali del diritto internazionale e del Testo fondamentale del 1948, ma si colloca in un’ottica ideologicamente deformata e teleologicamente orientata alla giustificazione di una nuova ingerenza regionale. L’obiettivo implicito, se non esplicitato, è quello di predisporre l’opinione pubblica a un nuovo scenario di destabilizzazione, funzionale a interessi esogeni rispetto alla tutela della pace e dell’equilibrio internazionale. In ciò si manifesta una pericolosa continuità con logiche imperiali travestite da missioni di civiltà, che devono essere respinte con fermezza da chiunque creda ancora nel primato della verità sul potere e della giustizia sulla forza.

Prof. Avv. Augusto Sinagra (Già Ordinario di Diritto dell'Unione Europea presso l'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma. Direttore della Rivista della Cooperazione giuridica internazionale (fascia A). Avvocato del Foro di Roma)
Prof. Daniele Trabucco (Professore stabile in Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico Comparato presso la SSML/Istituto di grado universitario "san Domenico" di Roma. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico nell'Università degli Studi di Padova)
Pierangelo Rossi (Conduttore televisivo del noto e popolare talk  "Vox Populi" in onda su Rete Brescia ogni giovedì dalle 19:30 alle 20:30).