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Italia, l’Unità che divide.

di Adolfo Morganti - 18/01/2010

“Italia, l’unità che divide”. Con questo titolo choccante La Nazione, lo storico quotidiano laico-risorgimentale fiorentino, intitolava lo scorso 25 luglio un proprio “speciale” dedicato all’esplosione della più inattesa ed emblematica polemica degli ultimi mesi: quella attorno ai faraonici festeggiamenti per il 150° della proclamazione del Regno d’Italia progettati dal Governo Prodi ed affidati ad un Comitato bipartisan di ben 31 garanti dalle competenze storiografiche quantomai claudicanti (alcuni nomi; Gianni Letta, Gustavo Zagrebelsky, Ernesto Galli della Loggia, Dacia Maraini, Marcello Veneziani – che tuttavia dopo un po’ ha avuto il soprassalto di dignità di dimettersene -, Pietrangelo Buttafuoco, Roberto Bolle) e presieduti emblematicamente dall’ex-presidente della Repubblica Carlo A. Ciampi: la prima vittima della polemica, giungendo persino a minacciare le dimissioni dopo un pesante articolo sul Corriere della Sera in cui Ernesto Galli della Loggia accusava i governi Prodi e Berlusconi «di sostanziale incapacità organizzativa e della mancanza di un progetto complessivo». Ma le dimissioni minacciate dall’ex-Presidente sono prontamente rientrate, come di prammatica repubblicana.
Assai cospicuo il portafoglio per i 350 festeggiamenti previsti in origine, circa un miliardo di euro già in parte impegnati con ampio anticipo dal 2009; fondi prontamente caduti sotto la scure del Ministro Tremonti, che già nei primi giorni dell’agosto scorso dichiarava ufficialmente che il miliardo non c’era più, dando con ciò il via ad una lunga serie di lai dei presidenti Ciampi e Napolitano. Alla fine di un tira-e-molla che ha duramente impegnato molte lobbies, in prima fila quelle massoniche nazionali, il 5 settembre Berlusconi e il Ministro per i Beni Culturali Bondi hanno presentato a Napolitano il Calendario ufficiale delle Celebrazioni per il 150°, assai ridotto. Il Presidente Ciampi ha reagito proponendo di rivalutare in ogni modo, soprattutto nelle scuole, la «triade… Garibaldi, con il suo straordinario alone di eroe romantico; Cavour, che fu grande per la capacità di tessitura politica, ma soprattutto Mazzini la cui visione… si rivela profetica e modernissima». Chissà se il nostro beneamato ex-Presidente allude con ciò alla modernità della prassi terroristica mazziniana, codificatore dell’omicidio politico che oggi si direbbe “terrorismo”, riferito al risorgimento diviene evidentemente “lotta per la libertà”. Di una rilettura dei fatti storici al di là degli stereotipi ottocenteschi non se ne vede traccia, e il rischio di un’orgia di retorica pseudostorica di regime, come quella che quasi sommerse la Francia nel 1989, è reale.
Il piano dei 350 festeggiamenti originari era in realtà un lungo elenco di elargizioni ben disperse sul territorio nazionale, che con la ricorrenza spesso c’entravano assai poco ma indubbiamente creavano consenso: 66 milioni per un museo dell’arte nuragica a Cagliari, 100 milioni per la nuova sede dell’Istat a Roma, 42 per i restauri di Palazzo d’Accursio a Bologna, 17 al Polo archeologico di Canosa di Puglia, 8 per i restauri dell’Istituto per le Relazioni con l’Oriente di Macerata, 8 per la nuova sede dell’Herbarium Mediterraneo a Palermo, 7 per il restauro dell’hotel del Parco del Valentino a Torino, persino 10 per i “nemici” storici del Centro studi della Mitteleuropea di Udine, e via finanziando.
Dopo le forbici tremontiane sono rimaste in piedi solamente 11 opere: 7 già iniziate, altre 4 da finanziare integralmente. Vale la pena di elencarle: l’Auditorium del Maggio Fiorentino (100 milioni previsti), il Palazzo del Cinema a Venezia, il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, l’Auditorium di Isernia (30 milioni previsti). È interessante notare come il legame con la ricorrenza sia perlomeno opinabile. Una tipica celebrazione “all’italiana?” Occorre tenere gli occhi bene aperti su quella che già appare, con due anni d’anticipo, un’immensa greppia.
Accanto a ciò, come nel 1989, come nel 1996, nel 1999/2000 (anno della Mostra sul Risorgimento al Meeting per l’Amicizia fra i Popoli di Rimini) e nel 2009, sta montando (è il caso di dirlo) dalle Alpi a Pantelleria un variegato ma cospicuo moto contro la prevedibile retorica delle celebrazioni, ed a favore della memoria dei diversi territori che l’unificazione del Regno d’Italia lo subirono manu militari. Come nel 1996 e nel 1999 si tratta di realtà molto diverse fra loro: autonomisti e federalisti, storici anticonformisti, cattolici tradizionalisti o semplicemente intransigenti, neoborbonici. Nel loro insieme rappresentano una realtà di popolo vera, che dal Lombardo-Veneto giunge fino alle Due Sicilie passando per i Ducati padani, il Granducato di Toscana e i territori dello Stato Pontificio. Proprio per questo questa realtà popolare rischia di essere azzittita, negata, rimossa e sostituita da una rappresentazione del tutto virtuale, costruita da lobbies ben consolidate con in mano molti poteri: da quello economico a quello accademico, ed una capacità di ricatto sulle maggioranze politiche, sia locali che nazionali, cui non pare far da contraltare perlomeno una coscienza critica adeguata alla circostanza.
Rispetto al 1996, infatti, proprio perché allora questa mobilitazione popolare ottenne risultati prima insospettabili, in occasione del 150° le regole del gioco saranno del tutto differenti e ben più difficili: come abbiamo visto dopo il 2000, quando partì il recupero silenzioso da parte dell’ideologia risorgimentalista-massonica. Niente chiasso, niente polemiche che aiutano solamente i “revisionisti”, ma al contrario cancellazione di ogni dibattito, riduzione degli anniversari a mere celebrazioni retoriche e scopriture di lapidi, accurata selezione degli oratori in ogni ambiente universitario che si occupi del tema, in modo da creare l’immagine di una unanimità falsa e ignobile, ma cementata con la colla dello strapotere massmediale che la lobby risorgimentalista-massonica in Italia continua a dimostrare di avere.
Se qualcuno si fosse illuso, sappia che non sarà certamente dalla maggioranza di governo di “centro-destra” che verrà qualsiasi apporto ad una visione del 150° che si distacchi dalla coriacea ortodossia laico-massonica già ben preordinata. I meno ingenui avranno notato come la Medusa, società di distribuzione cinematografica di proprietà della famiglia Berlusconi, non abbia la minima intenzione di togliere dal frigorifero il film di Pasquale Squitieri “Li chiamavano Briganti” di cui detiene da sempre tutti i diritti. In mezzo a fiumi di pornografia e di cinepanettoni di Natale certamente quel film rimarrà nel cassetto: non lo si vedrà né nelle sale né nel mercato home video, cosa che normalmente non si nega a nessun sottoprodotto del mercato della celluloide. Noi, che non siamo ingenui, già dal 2000 abbiamo capito come la parte laico-massonica di Forza Italia ha operato con l’ausilio di collabò come Antonio Socci per impedire che l’eco della Mostra documentaria “Risorgimento: un tempo da riscrivere” che la nostra Associazione Identità Europea aveva organizzato al Meeting di Rimini, si diffondesse: arrivare a mettere in discussione lo Stato centralizzato e giacobino italiano in diretta televisiva al TG1 delle ore 20 (come allora mi capitò di fare), fu un errore che loro hanno ben capito di non dover più commettere, e sono stati coerenti.
Né avremo atteggiamenti diversi da parte degli ex-AN, che nel migliore dei casi sono impegnati a scavalcare a sinistra Berlusconi, e nel peggiore a non dire nulla di nulla che possa creare il benché minimo problema alla permanenza di lorsignori nelle stanze del potere. Come un numero di eccezioni che si fa sempre più esiguo non fa che confermare, è meglio che il nostro Silvio Vitale abbia lasciato questa nera valle prima di rendersi conto fino a che punto può giungere la putrefazione della destra in Italia, che ha preso brillantemente il posto del vecchio PSI negli appetiti di governo dell’Italia del terzo millennio.
Né infine avremo migliori sorprese da parte della Lega. In quella casa sono già stati scacciati, o relegati nel sottoscala dei bambini cattivi, tutti coloro che non utilizzino la critica allo stato centralista se non come una leva per ottenere potere, sottopotere ed un federalismo che minaccia di essere volutamente solo fiscale, flirtando con le rappresentazioni laico-massoniche della storia d’Italia come il recente film (un flop orrendo) di Martinelli su Federico I Barbarossa ha dimostrato.
E i Cattolici? Fuori dal governo ve ne sono di celebri, come l’UDC. Costoro, con la possibile eccezione in pectore di un silente Rocco Buttiglione, ci dimostrano ogni giorno come la vecchia tradizione democristiana, per cui la cultura e l’identità sono moneta di scambio in vista di ogni tipo di accordo di sottopotere, non sia ancor morta. Non ci accodiamo a coloro che da ciò traggono fausti auspici. Mentre la Chiesa italiana, con l’eccezione di Pastori coraggiosi ed ironici come Giacomo Biffi, semplicemente non capisce nulla dell’importanza della posta in gioco, ed oscilla da una retorica patriottarda corretta con un po’ di buoni sentimenti neocons ad un terzomondismo anni ’70 (se possibile) ancor più inutile, sorpassato e sterile.
Manca la sinistra. Ma non manca solamente in queste righe. La responsabilità del governo di una delle peggiori destre d’Europa (forse solo la Danimarca è messa peggio di noi) è in realtà da dividersi al 50% con il suicidio culturale di una sinistra che ha accantonato la lezione di Gramsci per liquefarsi in un radicalismo di massa massonico e cialtrone, come Augusto Del Noce aveva previsto fin troppo bene. Per cui saremo nauseati dal panorama di tutti gli Enti locali proprietà totale della sinistra post-comunista intenti a testa bassa a magnificare il Tricolore, la grande triade Mazzini-Garibaldi-Cavour… cercando di piantare su questi ceppi bisunti la bandiera della sinistra sputando sulle tesi e la memoria di Antonio Gramsci. Complimenti da un antico avversario che ben conosce il detto secondo cui è meglio avere avversari di rango per tutelare il proprio onore; mio nonno sarto, socialista e cattolico, cresciuto in mezzo alle macerie della ricostruzione postbellica della Bassa padana di Guareschi, giustamente a costoro sputerebbe in faccia.
Prepariamo dunque ad un bel 150°. Lo faremo da soli. Tutti faranno a gara a non sentire, non vedere e non parlare: destra e sinistra, col centro in saldo, perfettamente intonati ai peana delle Logge. Non vi daranno un soldo né una sala. Nella scuola i sindacati di sinistra dei professori andranno perfettamente d’accordo con i presidi laico-massonici almeno in questo, e nessuno turberà la quiete dell’ignoranza pubblica dei nostri giovani. Non avrete giornali padronali che si soffermeranno sulle vostre tesi, né TV che si accorgeranno del problema, prima ancora che di voi. Vi perseguiteranno fino all’ultimo comune siciliano, negandovi spazi, fondi, dignità. Nel mondo che esiste se sale sui Troni della De Filippi voi non esisterete. Meglio. Come i nostri cugini irlandesi, leveremo la voce dei nostri Territori, della carne e del sangue delle nostre genti, Sinn Fein. Noi da soli. Non esiste oggi battaglia più bella e più pura.