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Ma per i governi le banche contano più della biodiversità....

di Gianfranco Bologna - 07/05/2010


 

Che i leader dei governi di tutto il mondo abbiano fallito il raggiungimento dell'obiettivo di ridurre significativamente, entro quest'anno, il tasso di perdita della biodiversità a livello mondiale, è stato dichiarato da tutte le istituzioni scientifiche internazionali che si occupano del problema, oltre che dalla stessa Convenzione sulla diversità biologica (Convention on biological diversity - CBD - ).

Proprio a fine aprile è giunta un'ulteriore conferma su questo punto da un importante lavoro pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica "Science" dal titolo "Global biodiversity: indicators of recent declines" scritto da oltre 40 studiosi guidati da Stuart Butchart del World conservation monitoring centre del Programma ambiente delle Nazioni unite (Unep - vedasi il sito www.unep-wcmc.org ). Tra gli studiosi che hanno firmato il paper ci sono due italiani, Alessandro Galli che è senior scientist al Global footprint network di Oakland (USA), diretto da Mathis Wackernagel e Piero Genovesi , dirigente di ricerca all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).

Il lavoro analizza attentamente oltre 30 indicatori che forniscono un quadro complessivo, nei loro trend, dell'andamento dello stato della biodiversità sul nostro pianeta. Si tratta della serie di indicatori che sono stati sviluppati in questi anni, in un importante e significativo lavoro, svolto da numerosi esperti internazionali che operano in organizzazioni internazionali ed istituti di ricerca, nell'ambito del frame work della Convenzione sulla diversità biologica, attraverso l'alleanza definita 2010 Biodiversity Indicator Partnership (vedasi il sito www.twentyten.net ).

L'analisi dei trend di questi indicatori dimostra chiaramente che non vi sono evidenze relative ad una significativa riduzione nel tasso di declino della biodiversità e che le pressioni che intervengono sulla biodiversità continuano a crescere. Il chief scientist del World conservation monitoring centre dell'Unep,  Joseph Alcamo, ricorda che dal 1970 abbiamo ridotto le popolazioni animali di numerose specie di vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci) del 30%, l'area di superficie delle mangrovie e delle praterie di piante fanerogame marine (come la posidonia) del 20% e l'area coperta da barriere coralline viventi del 40%. Queste perdite sono chiaramente insostenibili per le dinamiche dei sistemi naturali e per lo stesso benessere e sviluppo umano, come è chiaramente riconosciuto dagli Obiettivi di Sviluppo del Millennio che i governi di tutto il mondo si sono impegnati a raggiungere.

Gli indicatori utilizzati forniscono interessanti dati per l'analisi complessiva dello stato della biodiversità. L'Indice del pianeta vivente (Living planet index) elaborato da studiosi del Wwf e della Zoological Society di Londra , rende conto dell'andamento delle popolazioni di circa 5.000 popolazioni di 1.686 specie di mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci del mondo ed i dati di analisi partono come base dal 1970. L'Indice delle specie selvatiche di uccelli (Wild bird index) deriva dall'analisi dei trend di alcune specie di uccelli di ambienti agricoli, forestali e di zone umide in Europa e nell'America settentrionale, mentre l'indice dello status delle popolazione di uccelli acquatici rende conto degli andamenti delle popolazioni di uccelli acquatici riportate da Wetlands International. Vengono poi considerati gli indici della famosa "Red List", la lista rossa delle specie minacciate di estinzione e le informazioni sul loro status e i loro trend (vedasi www.redlist.org ) e numerosi altri indicatori, tra i quali, l'estensione delle foreste, l'estensione delle aree coperte dalle mangrovie, l'estensione delle praterie di piante fanerogame marine, le condizioni delle barriere coralline, l'indice di qualità dell'acqua (sviluppato dall'UNEP, nell'ambito del Global Environment Monitoring System, su 6.216 stazioni sugli ambienti di acqua dolce, distribuiti su tutto il pianeta), il ben noto indicatore dell'impronta ecologica, i tassi di deposizione dell'azoto, il numero e la distribuzione delle specie aliene, gli indicatori di impatto climatico sui trend delle popolazioni di uccelli, i livelli di sfruttamento degli stock ittici, l'estensione delle aree protette, la copertura effettuata dalle aree protette rispetto alla biodiversità esistente, l'efficacia di gestione delle aree protette, le aree di foresta sottoposte a gestione sostenibile, ecc.

Il declino della biodiversità dipende purtroppo anche da numerosi e articolati fenomeni di pressione umana a livello planetario che recentemente, come abbiamo più volte visto nelle pagine di questa rubrica, alcuni tra i maggiori scienziati del mondo che si occupano di scienze del sistema Terra e di scienza della sostenibilità, hanno indicato come confini planetari (Planetary Boundaries). Va ricordato infatti l'ottimo lavoro, del quale abbiamo già parlato su queste pagine , apparso su "Nature" nel settembre scorso (Rockstrom J. et al., 2009 "A Safe Operating Space for Humanity" Nature, vol,461; september 2009; 472-475).

Il testo apparso su "Nature" che rimanda ad un rapporto più esteso pubblicato sulla rivista scientifica online "Ecology and Society" (vedasi www.ecologyandsociety.org ), è dedicato proprio a sottolineare come il nostro impatto sui sistemi naturali stia facendo preoccupare l'intera comunità scientifica, perché in molte situazioni siamo vicini a dei punti critici (a delle vere e proprie "soglie"), oltrepassati i quali gli effetti a cascata che ne derivano possono essere devastanti per l'umanità. Ed è proprio per questo motivo che gli autori di questo fondamentale lavoro indicano "i confini del pianeta" (Planetary Boundaries) che l'intervento umano non può superare, pena effetti veramente negativi e drammatici per tutti i sistemi sociali.

Gli autori di questa analisi individuano nove grandi problemi planetari e sottolineano che per tre di questi le ricerche svolte sin qui dimostrano che siamo già oltre il "confine" che non avremmo dovuto sorpassare.
Queste nove problematiche sono: il cambiamento climatico, l'acidificazione degli oceani, la riduzione della fascia di ozono nella stratosfera, la modificazione del ciclo biogeochimico dell'azoto e del fosforo, l'utilizzo globale di acqua, i cambiamenti nell'utilizzo del suolo, la perdita di biodiversità, la diffusione di aerosol atmosferici, l'inquinamento dovuto ai prodotti chimici antropogenici. Per quanto riguarda i cambiamenti climatici, il ciclo dell'azoto e la perdita della biodiversità gli autori dei confini planetari ci dicono che il "confine planetario" è stato già sorpassato.

Ma molte delle altre problematiche indicate producono effetti pesanti sulla biodiversità. Ad esempio il fenomeno dell'acidificazione degli oceani riguarda l'abbassamento dell'attuale pH delle acque oceaniche. Questo fenomeno influenza l'equilibrio chimico delle acque marine, riducendo la disponibilità di carbonato necessario ad una vasta gamma di organismi per creare e mantenere le proprie strutture di carbonato di calcio (come accade per molluschi, crostacei, coralli ecc.). La causa di questo fenomeno è da ricercarsi nella crescente concentrazione di biossido di carbonio (CO2) nell'atmosfera terrestre, dovuta alla combustione dei combustibili fossili. Gli oceani possono assorbire enormi quantità di biossido di carbonio dall'atmosfera (2,2 miliardi di tonnellate di CO2 l'anno, che costituisce il 25% delle attuali emissioni antropiche), ma non appena il gas si scioglie l'acqua si acidifica.

L'aumento di acidità può rendere la vita difficile per i coralli e per altri organismi marini che costruiscono i loro gusci e scheletri con il carbonato di calcio. Anche una parte importante del fitoplancton - alghe microscopiche che costituiscono la base della catena alimentare marina - costruiscono gusci di carbonato di calcio per proteggersi da predatori microscopici chiamati protozoi ciliati. Un'alterazione della capacità del fitoplancton di costruire i gusci potrebbe avere effetti su tutta la catena alimentare marina. Infatti alcuni microrganismi, come i protozoi ciliati potrebbero prosperare ai danni del fitoplancton, che rappresenta la fonte di nutrimento principale di numerose specie marine e ne deriverebbe quindi uno sconvolgimento dell'intero ecosistema marino.
Un'ulteriore chiarissima dimostrazione della straordinaria complessità ed incredibile interrelazione esistente tra tutti i sistemi naturali e, contemporaneamente, un insegnamento che, purtroppo, noi fatichiamo drammaticamente a comprendere.