La grande fuga degli Elkann: requiem per l'informazione mainstream?
di Fabio Lugano - 13/12/2025

Fonte: DiariodelWeb
La notizia della cessione delle attività editoriali del Gruppo Gedi (che controlla La Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX già ceduto, e varie radio) dalla holding Exor della famiglia Elkann all’armatore greco Theodore Kyriakou ha l’effetto di un sasso nello stagno, ma di quelli che sollevano un’onda anomala. Non siamo di fronte a una semplice transazione commerciale, bensì a un passaggio d’epoca che svela ipocrisie politiche, strategie industriali ciniche e la fine ingloriosa di un certo modo di fare informazione in Italia.
I numeri del disastro: perché Gedi vende
Per comprendere la mossa di John Elkann, bisogna guardare ai numeri, freddi e impietosi, che piacciono tanto ai contabili di Exor ma molto meno ai Comitati di Redazione. Il Gruppo Gedi non è più la gallina dalle uova d’oro di un tempo. È un asset in perdita strutturale, un peso morto in un portafoglio che guarda altrove (leggi: tecnologia, sanità, lusso, e ovviamente Stellantis, ma lontano dall’Italia).
Ecco un confronto rapido per capire la parabola discendente:
| Indicatore | Situazione 2015 (pre-Exor/fusione) | Situazione 2024 (Post Exor) |
| Fatturato | Circa 613 Milioni € | 224 Milioni € |
| Risultato Netto | Utile/Pareggio operativo | Perdita di 15 Milioni € |
| Quotazione | Titolo quotato al MIB | Delisting (cancellazione) nel 2020 |
| Strategia | Espansione Editoriale | Dismissione e Tagli |
Mentre Gedi arranca, l’acquirente Antenna Group naviga in acque ben più tranquille. Fondato nel 1989 da Minos Kyriakou e ora guidato dal figlio Theodore, il gruppo nasce nel settore marittimo (petroliere e shipping), per poi espandersi aggressivamente nei media. Non abbiamo i dati precisi delle perdite/utili 2023-2024 del gruppo greco, ma la “potenza di fuoco” è garantita da un fondo per acquisizioni di oltre 2 miliardi di sterline accumulato nel 2009 e, soprattutto, da partner finanziari di primo livello.
La funzione esaurita: Elkann, Stellantis e il “Take the money and run”
La lettura più maliziosa, ma probabilmente la più corretta, è che la famiglia Agnelli-Elkann abbia usato i giornali finché servivano. A cosa servivano? A coprire politicamente e mediaticamente la de-italianizzazione della FIAT.
L’acquisto di Gedi nel 2019 e il successivo controllo totale hanno coinciso con la delicatissima fase di fusione con PSA Peugeot-Citroën. In quegli anni, avere Repubblica e La Stampa “amiche” (o quantomeno non ostili) è stato fondamentale per narrare la nascita di Stellantis non come una vendita ai francesi, quale di fatto è stata, ma come una “fusione alla pari”.
Oggi, quella fase è conclusa.
- Gli stabilimenti italiani si svuotano (Mirafiori in testa).
- La produzione migra verso Marocco, Polonia o Serbia.
- La governance è saldamente a Parigi.
A John Elkann non serve più il “cannone mediatico” per proteggere un’industria che sta smantellando. Mantenere in vita giornali in perdita, con redazioni ostili e costose, non ha più senso economico né strategico. È il momento del “cash out”, della liquidazione finale. La critica che l’opposizione muoveva timidamente – ovvero che gli Elkann stessero prosciugando l’Italia – trova la sua conferma non nelle piazze, ma negli studi dei notai che firmano le cessioni.
L’acquirente Greco e le amicizie “imbarazzanti”
Qui la storia assume i tratti di una commedia degli equivoci. Chi sta comprando il giornale fondato da Eugenio Scalfari, tempio del progressismo italiano, baluardo dell’antifascismo militante?
Theodore Kyriakou. Un armatore. Un uomo che sulla scrivania tiene una foto con Donald Trump.
Non basta. Il 30% di Antenna Group è in mano a Mohammed bin Salman, il principe ereditario saudita, noto per i suoi metodi sbrigativi e per la sua immensa ricchezza petrolifera, che ha investito 225 milioni di euro nel gruppo greco.
L’ironia è sferzante: il giornale che ha fatto le pulci a ogni politico di destra per i suoi legami internazionali, rischia di finire controllato indirettamente da Riad e moralmente vicino alla sfera “Trumpiana”.
Angelo Bonelli e i Verdi gridano al rischio di un’informazione “schierata sulle posizioni del governo”, citando i viaggi della Meloni in Arabia Saudita. Ma la realtà è che il capitale non ha odore, e quando un’azienda è in vendita perché fallimentare, la compra chi ha i soldi. E i soldi, oggi, non li hanno certo le cooperative rosse.
Il fattore Renzi il “demolitore”
In questo scacchiere si muove, con la consueta spregiudicatezza, Matteo Renzi. Le voci di corridoio lo dipingono non solo come spettatore interessato, ma come vero e proprio mediatore dell’operazione.
Renzi ha rapporti eccellenti con Bin Salman (ricordate il “Nuovo Rinascimento” saudita?), conosce bene gli Elkann e ha un conto aperto con il Partito Democratico e la sinistra mainstream.
Se l’operazione va in porto, Renzi ottiene un risultato politico doppio:
- Dismettere la contraerea nemica: Toglie al PD e al M5S il loro più potente megafono, quel sistema Repubblica-Stampa che detta l’agenda politica del centrosinistra.
- Piazzare uomini fidati: Si vocifera di un possibile cambio alla direzione di Repubblica, con l’arrivo di Emiliano Fittipaldi (attuale direttore di Domani), giornalista d’inchiesta scomodo ma meno organico alle vecchie logiche di partito del Nazareno.
Renzi, agendo dietro le quinte, sta di fatto “vendendo” l’argenteria della sinistra ai conservatori internazionali, lasciando Elly Schlein e Giuseppe Conte senza copertura aerea.
Il cortocircuito del Golden Power: compagni, aiuto!
La reazione della politica italiana è stata da manuale del paradosso. Il Partito Democratico, che per anni ci ha spiegato le virtù del libero mercato globale e l’orrore del sovranismo economico, improvvisamente riscopre lo Stato.
Francesco Boccia e Elly Schlein invocano il Golden Power. Chiedono cioè al Governo Meloni – quello stesso governo che definiscono autoritario e illiberale – di usare i poteri speciali per impedire che un privato venda un’azienda a un altro privato.
È incredibile notare come:
- Il 23 luglio scorso, il PD criticava il Golden Power sulle banche (caso Unicredit-Bpm) definendolo “strumentale” e “invasivo”.
- Oggi, per salvare Repubblica, lo stesso strumento diventa “necessario per tutelare un presidio di democrazia”.
I Dem chiedono alla Meloni di “nazionalizzare” (o quasi) i giornali che la attaccano ogni giorno. È una richiesta di aiuto disperata che certifica la debolezza strutturale di un’area politica che non ha imprenditori amici pronti a investire, ma deve sperare nel “soccorso nero” del governo di destra per mantenere i propri privilegi mediatici.
La fine di un’epoca e il declino meritato
Al di là delle cronache finanziarie e delle ipocrisie politiche, questa cessione segna la fine di un’epoca.
I grandi giornali mainstream in Italia contano sempre meno in termini di copie vendute, ma hanno mantenuto a lungo un potere di interdizione e di indirizzo politico sproporzionato. Hanno guidato l’Italia attraverso decenni di scelte economiche discutibili: l’adesione acritica ai parametri di Maastricht, le privatizzazioni selvagge, la precarizzazione del lavoro spacciata per modernità, l’applauso a governi tecnici che hanno depresso la domanda interna.
Hanno svolto la loro funzione: hanno accompagnato l’Italia verso un dolce declino economico. Ora che il lavoro è finito e il Paese è industrialmente più povero, i proprietari (gli Elkann) smontano le tende e vendono i resti al miglior offerente straniero.
Lo sciopero dei giornalisti, le assemblee permanenti, l’appello ai valori costituzionali appaiono come il canto del cigno di un mondo che non ha capito di essere già estinto. Il mercato, quello vero, non perdona: se perdi 15 milioni l’anno e non hai più un protettore industriale alle spalle, chiudi o vieni venduto.
E se a comprarti è un amico di Trump, forse è la nemesi storica perfetta per chi ha predicato la globalizzazione senza freni, finendo per esserne inghiottito.
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Punti chiave
Perché la famiglia Elkann vende Gedi e qual è il segnale industriale?
La cessione segna l’uscita definitiva degli Agnelli-Elkann dall’editoria, interpretata come una “fuga istituzionale”. Dopo aver utilizzato testate come Repubblica e La Stampa per coprire mediaticamente la fusione FCA-PSA e la nascita di Stellantis, l’asset ha esaurito la sua funzione strategica. Con la deindustrializzazione dell’auto in Italia ormai avviata, il “braccio armato” mediatico rappresenta solo un costo (15 milioni di perdita nel 2024) di cui disfarsi per fare cassa, lasciando il Paese privo di una storica proprietà editoriale nazionale.
Chi è l’acquirente Theodore Kyriakou e qual è il ruolo di Matteo Renzi?
L’acquirente è l’armatore greco Theodore Kyriakou (Antenna Group), figura con solidi legami finanziari internazionali, inclusi rapporti con Donald Trump e il principe saudita Mohammed bin Salman (che detiene il 30% del gruppo). In questo scenario, Matteo Renzi emergerebbe come mediatore chiave, sfruttando i suoi ottimi rapporti con l’Arabia Saudita. Politicamente, Renzi starebbe orchestrando lo smantellamento della “corazzata mediatica” che ha storicamente sostenuto la sinistra italiana, ridisegnando gli equilibri di potere.
Perché la sinistra invoca il Golden Power e qual è il paradosso politico?
Il Partito Democratico e la sinistra, di fronte alla vendita dei loro giornali di riferimento a un editore straniero e conservatore, sono nel panico. Il paradosso risiede nella richiesta al governo Meloni di attivare il Golden Power (il potere speciale dello Stato di bloccare vendite strategiche), uno strumento che lo stesso PD aveva criticato come “invasivo” nel settore bancario solo pochi mesi fa. Si assiste all’ironia di una sinistra liberista a giorni alterni, che invoca l’intervento statale del governo avversario per salvare la propria egemonia culturale.

