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Vas e Cia: "Allevamenti invasi da mangimi Ogm"

di Daniela Sciarra - 18/05/2010


Adottare in tempi brevi un Piano operativo nazionale per la produzione di proteine vegetali, ricorrendo anche alla disponibilità di terreni demaniali e delle superfici incolte o abbandonate. È questa la strada da percorrere per Cia e Vas per limitare la dipendenza per l’importazione di mais e soia biotech, garantendo così la sicurezza dei consumatori.


allevamenti mangimi ogm
Secondo i presidenti Politi di Cia e Pollice dei Vas, i nostri allevamenti sono invasi da ogm
Uno degli aspetti più critici della questione Ogm riguarda il settore della mangimistica. Si tratta di una nota dolente che è stata confermata anche nel corso di una conferenza stampa indetta dall’associazione Verdi ambiente e società (Vas) e dalla Confederazione italiana degli agricoltori (Cia), per la presentazione della giornata del “Mangiasano”, la manifestazione che il 22 maggio si svolgerà nelle principali piazze italiane per parlare di sicurezza alimentare, ma anche di difesa del nostro patrimonio agricolo e zootecnico che non ha bisogno di ogm.

Secondo i presidenti Politi di Cia e Pollice dei Vas, i nostri allevamenti sono invasi da Ogm. Un quarto del fabbisogno proteico nazionale è fornito da 4 milioni di tonnellate di soia Ogm (proveniente da Paesi come Brasile, Argentina e Usa), a cui si sommano altri 2 milioni di tonnellate di mais biotech proveniente da Germania, Francia e Ungheria. I quantitavi di mangimi importati sono elevati e si calcola che raddoppieranno nei prossimi 4 o 5 anni.

Così, inevitabilmente, i prodotti come carne, latte e formaggi con presenza di Ogm finiscono sulle nostre tavole. Senza interventi mirati, c’è poi il rischio che la disponibilità di mais Ogm-free a livello internazionale, compreso quello prodotto nel nostro Paese, si riduca del 70%. Attualmente, già il 25% del mangime destinato agli allevamenti nazionali proviene dalle coltivazioni di soia Ogm di Stati Uniti, Argentina e Brasile.

Ma cosa si dovrebbe fare per evitare che nei nostri allevamenti, nei silos e magazzini finiscano così tanti mangimi transgenici? Adottare in tempi brevi un Piano operativo nazionale per la produzione di proteine vegetali, ricorrendo anche alla disponibilità di terreni demaniali e delle superfici incolte o abbandonate. È questa la strada da percorrere per Cia e Vas.

“Non e' vero - ha sottolineato a questo riguardo il presidente della Cia, Giuseppe Politi - che non ci sono superfici per le colture proteiche vegetali, dal momento che più di 2 milioni e mezzo di ettari in Italia non sono coltivati". Per soddisfare il fabbisogno degli allevamenti italiani, secondo Politi, occorrerebbe triplicare gli attuali 864 mila ettari incrementando la produzione di mais, piselli, fave, e favini; solo per la soia - ha precisato - bisognerebbe arrivare a circa 600 mila ettari. È una questione di grande importanza e, dal punto di vista sanitario e strategico, servirebbe a garantire la sicurezza alimentare e la tenuta della nostra agricoltura italiana, tipica, e diversificata".

“Si è mai pensato - ha aggiunti Pollice - che fine farebbero i prodotti tipici e di qualità delle nostre terre con le coltivazioni Ogm? Abbiamo dei prodotti che sono frutto di una biodiversità eccezionale, la stessa che contraddistingue e rende unica la nostra agricoltura. Con il biotech c’è il fondato pericolo di far scomparire dalle tavole questa varietà straordinaria di produzioni d’eccellenza”.

Senza poi considerare che senza un aumento della produzione di mais, le pressioni delle grandi lobby del biotech saranno sempre più forti e gli allevatori saranno stretti nella morsa degli aumenti dei costi di produzione e di controllo dei prezzi sui campi.

La ferma contrarietà agli Ogm nasce dalla consapevolezza che la loro utilizzazione può annullare il modello di agricoltura italiana. Annullare, dunque, l’unico vantaggio competitivo dei suoi prodotti sui mercati: quello della biodiversità. Alla scienza si chiede di continuare a contribuire alla crescita di questo tipo di agricoltura. E ciò lo si può fare senza ricorrere agli organismi geneticamente modificati, come, del resto, è avvenuto fino ad oggi con risultati eccezionali.