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Il maoista tibetano su cui puntano anche gli americani

di Claudio Landi - 20/05/2010

 

 



 

Katmandu, capitale del Nepal, un tempo conosciuta come ritrovo di hippies e figli dei fiori in cerca delle altre culture, ora si trova al centro di una trama internazionale di prima grandezza. E mentre gli occhi della Comunità internazionale in Asia sono tutti puntati sui tragici fatti di Bangkok e sulla difficilissima transizione thailandese, a Katmandu va in scena un'altra transizione politica. Con un movimento popolare in piazza contro il primo ministro di cui chiede le dimissioni e con un governo espressione di consistenti interessi conservatori. Il Nepal è ovviamente del tutto diverso dalla Thailandia: qui a Bangkok ci troviamo in un Paese emergente, tigrotto della crescita economica asiatica, lì a Katmandu ci troviamo in uno dei Paesi più poveri del mondo, incastonato tra le montagne più alte del mondo, quelle dell'Himalaya, retto fino a quattro anni fa, nel 2006, da una monarchia retriva e feudale. Insomma tutto è diverso fra Bangkok e Katmandu, ad iniziare dal leader del movimento popolare in piazza, quel Prachanda, leader del Partito comunista maoista, l'estrema sinistra maoista già protagonista della lotta armata contro la monarchia feudale. A Bangkok ci sono in piazza le Camicie rosse e seguaci dell'ex primo ministro-magnate delle comunicazioni Thaksin Shinawatra, a Katmandu ci sono in strada, o meglio ci sono stati fino a pochi giorni or sono, i rossi del partito maoista seguaci dell'ex premier già capo della guerriglia Prachanda.

Dicevamo che i militanti maoisti sono stati in strada contro il primo ministro attualmente al potere in Nepal, Madhav Kumar Nepal (che guida un governo sostenuto dal Nepali Congress, il partito moderato nepalese di orientamento filoindiano), fino allo scorso 8 maggio quando, di fronte alle pressioni internazionali, Prachanda, sempre lui, il leader del movimento maoista, ha deciso di rinviare le ulteriori proteste in attesa della fine di maggio e della decisione del primo ministro sulla fine del suo governo. Un ruolo chiave in tutta la vicenda nepalese la stanno giocando le pressioni internazionali, in particolare di due attori chiave in Nepal, in Asia del sud e tutta l'Asia, parliamo ovviamente di Stati Uniti e Cina. Ma, prima di capire il gioco di Pechino e di Washington, è interessante capire Prachanda, un leader politico che merita attenzione. Non è cosa di tutti i giorni avere a che fare nel mondo del 21° secolo con una leadership maoista uscita da un movimento di lotta armato. Una leadership che cerca di proporsi come "moderata". Prachanda, questo è solamente il nome di battaglia del leader maoista, ha infatti più volte detto che i maoisti non intendono portare il Nepal, almeno per ora, alla "dittatura del proletariato". Il loro primo obiettivo è la repubblica federale democratica, e questo obiettivo è stato sostanzialmente raggiunto con la fine della monarchia e con il nuovo sistema istituzionale che ora dovrebbe essere definitivamente varato con la nuova Costituzione nepalese.

Il secondo obiettivo di questi "strani" maoisti è di natura economica e sociale, cambiare la situazione del popolo nepalese. Lo spiegò lo stesso Prachanda in varie interviste prima di diventare primo ministro nel governo di coalizione che ha preceduto l'attuale gabinetto: Prachanda dovette dimettersi dopo uno scontro con il presidente della Repubblica, Ram Baran Yadav, attorno alla nomina del comandante in capo dell'esercito nazionale. La faccenda è infatti piuttosto importante, come vedremo fra poco. I maoisti intendono far crescere il Nepal utilizzando le potenzialità del Paese, le potenzialità di energia idroelettrica e le potenzialità del turismo, oltre all'agricoltura. E intendono farlo con l'aiuto di capitali internazionali, "secondo le nostre priorità nazionali", ha chiarito Prachanda. Non è propriamente un programma estremista: e d'altra parte i maoisti nepalesi, o meglio una parte cospicua di essi, sembrano convinti della necessità di una economia moderna non dogmatica per la società nepalese. "Siamo non dogmatici, non settari", ripete ad ogni occasione Prachanda. Il quale Prachanda ha una storia interessante: viene da una famiglia non poverissima del Nepal, è di casta braminica, ha studiato Agraria e proprio all'università ha iniziato la sua attività politica di estrema sinistra. La storia della sinistra nepalese è quanto mai complicata fra sigle rivoluzionarie sempre più rivoluzionarie e compromessi senza fine con il potere politico. Basti ricordare che il secondo partito "costituzionale" del Paese, dopo il Nepali Congress, si chiama Partito comunista nepalese. Dovrebbe essere una formazione politica di sinistra, vicina agli interessi dei ceti poveri nepalesi, dei poveri per definizione in quelle latitudini, i contadini. Dovrebbe esserlo ma in realtà il Ncp è solamente un partito di potere abituato a tutte le coalizioni con le forze conservatrici possibili.

La vicenda di Prachanda si colloca in questa situazione "complessa": nel 1996, dopo vari tentativi di riforma andati a vuoto da parte del sistema politico nepalese, i maoisti iniziano la loro "guerra di popolo" contro il regime monarchico (basta pensare che la schiavitù in Nepal è stata abolita solamente nel 1924!!!), una guerra civile contro il potere della Corona sostenuta dai vertici militari che è costata la vita a 12 mila nepalesi. La guerra termina nel 2006, con la cacciata del sovrano allora al potere, re Gyanendra. A quel punto inizia il periodo della democrazia: viene insediata l'Assemblea costituente e viene votata la trasformazione del Nepal in repubblica federale democratica. Il re diventa un cittadino "normale", ma i problemi di Katmandu sono solamente all'inizio. La sconfitta della monarchia era stata resa possibile dalla convergenza fra l'alleanza dei sette partiti, la coalizione dei partiti "costituzionali" guidata dal Nepali Congress e il movimento maoista. La convergenza era stata messa a punto in India con il sostegno della diplomazia indiana. Il Nepal, da sempre, infatti, viene ritenuto da Delhi come una sua area di influenza. Il Nepali Congress è il partito in qualche modo depositario degli interessi indiani nel Paese, i maoisti invece vengono visti con diffidenza dall'India. Anche a causa del movimento armato maoista indiano, un movimento ritenuto dal primo ministro Manmohan Singh come "la più importante minaccia alla sicurezza dell'India".
Ma l'India, dopo aver reso possibile l'intesa fra i partiti tradizionali e i maoisti, ha iniziato a combattere il crescente peso del partito di Prachanda, visto come un fattore filocinese e quindi potenzialmente pericoloso per gli interessi indiani. Lo scontro fra l'allora primo ministro Prachanda e il presidente della Repubblica, un filoindiano, sul comandante dell'esercito, aveva esattamente questo significato: Delhi non gradiva il peso dei maoisti nella politica nepalese. La successiva formazione di un governo a Katmandu senza i maoisti rispondeva a questo interesse indiano. Le manifestazioni di piazza dei maoisti, a loro volta, erano la risposta di Prachanda al nuovo governo filoindiano. Ma Prachanda, come abbiamo detto, ha accettato di bloccare queste proteste. Lo ha fatto per le discrete pressioni internazionali. Di Washington e di Pechino. Americani e cinesi stanno tessendo una tela geopolitica interessante: ritengono che, per avviare il Nepal su un sentiero di dialogo e di sviluppo, sia necessario dare un ruolo politico ai maoisti. I rappresentanti americani e i portavoci cinesi hanno manifestato, diplomaticamente, la loro intenzione di sostenere anche con appoggi finanziari un governo a guida maoista a Katmandu. Le pressioni internazionali sono dunque concertate fra Stati Uniti d'America e Cina per portare il Nepal alla pacificazione dopo decenni di guerra e di miseria assoluta. Il fatto interessante è la convergenza cino-americana cha ha spiazzato l'India. Qualcuno, parafrasando le parole di Bill Clinton, potrebbe dire, ‘"It's new world, stupid"!