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Comandare è far credere

di Roberto Pecchioli - 10/07/2025

Comandare è far credere

Fonte: Ereticamente

Governare significa far credere, ossia ingannare. È un insegnamento di Niccolò Machiavelli, il fondatore della scienza politica. Nel capitolo VI del Principe il segretario fiorentino argomentò con finezza: “conviene essere ordinato [il potere] in modo che quando non credono più si possa fare loro credere per forza”. Realismo politico che disvela un carattere permanente di ogni regime, compreso quello democratico, il cui capolavoro è di essere creduto emanazione del popolo. Pura tautologia che conferma la conclusione di Machiavelli. Il fine del potere è il potere stesso. Uno dei capolavori degli ultimi decenni è stato far credere alle masse che i regimi democratici agiscano in nome del popolo per il bene comune. Da qui la catena di menzogne in ogni ambito diventate senso comune. Ripeti una bugia mille volte con la forza del potere e diventerà verità, parola di Goebbels. Chi pone domande scomode, chi alza il dito per chiedere spiegazioni o eccepire è un nemico. Di questo hanno convinto la maggioranza, trasformando in patologia sociale il pensiero critico; il dubbio è diventato eresia.
La perfetta psyop (operazione psicologica) è avere costruito una popolazione passiva, indifferente, adattiva, che non solo accetta le narrative ufficiali, confermando così che comandare è far credere, ma odia ferocemente chi osa metterle in discussione. Vittoria di Machiavelli. Tutto ciò che era negativo per le generazioni precedenti diventa positivo e si trasforma in diritto. Il dirittismo è una declinazione contemporanea del principio machiavellico. Ancora, governare è far credere. Al potere – a qualunque potere – non importa nulla del popolo. Se ha diffuso la narrazione dei “diritti” (individuali, soggettivi) è per introdurre nel cervello dei sudditi un cavallo di Troia. Pensiamo alla cultura LGBT, il cui obiettivo è colpire la cellula base della comunità, la famiglia, attraverso una teoria della sessualità innaturale e disgregante. Nell’attuale fase storica al sistema interessa distruggere, sottomettere, determinare cambiamenti antropologici a proprio vantaggio, in particolare la diminuzione della popolazione umana.
Talvolta – voci dal sen fuggite o gesti di sincerità – gli obiettivi vengono svelati senza maschere. È il caso del Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne 2021-2027 (PSNAI) elaborato dal governo sedicente sovranista la cui presidente usa spesso con tono ispirato la parola nazione. Uno degli obiettivi è “accompagnare verso il depopolamento” (pag 45) le aree considerate marginali. Lo spopolamento diventa ufficialmente strategia, senza volontà di invertire la rotta. Il veleno che ci consuma è spacciato per progresso. Governare è far credere e noi  non fiatiamo. La ragione è semplice: non siamo più né popolo né nazione, solo massa, gregge incurvato sullo smartphone o sulla greppia delle dipendenze. Bestiame umano soddisfatto di sé, schiavo di non sappiamo più quanti diritti, i capricci che il sistema ci ordina di soddisfare. Tutti situati nella sfera pulsionale, istintiva.
I delegati all’inganno – la classe politica – fanno precisamente ciò che il livello superiore richiede. La paga è buona, molti i privilegi.  La mela è stata divisa artificiosamente a metà: una è chiamata destra, l’altra sinistra. Fingono di accapigliarsi sostenendo opinioni opposte, in realtà sono un’unica ditta con marchio diverso. Si alternano nell’amministrazione del pezzetto di potere loro appaltato dal livello superiore – finanziario, tecnologico, militare, economico- e il fatto più sorprendente è che le due metà della mela, una volta al governo, fanno il contrario di quanto promesso ai rispettivi elettorati. La mela di sinistra taglia i diritti sociali offrendo in cambio diritti individuali che producono l’estinzione, chiamando tutto ciò progresso e civiltà. La mela di destra favorisce l’immigrazione che affermava di contrastare (vedi il decreto flussi), aumenta le tasse giurando che un centinaio di miliardi di spese militari non avranno conseguenze sul bilancio (il mago Houdini al governo, ma quello vero morì sul palcoscenico per non essere riuscito a liberarsi delle catene …)  e lo chiama sovranità.
Entrambe mentono. Le mutazioni delle due metà della mela sono perfino divertenti se osservate nell’ottica del realismo avalutativo di Machiavelli. I sinistri corrono alle marce omosessuali, promuovono il diritto alla morte assistita, amano la società multiculturale e multitutto, lavorano alla fine del popolo che promettevano di difendere dal punto di vista sociale. Il destino dei destri è grottesco. Gridano sovranità e si accucciano con voluttà ai piedi del padrone atlantico, finanziario, europeo. La foto del 4 luglio dei capi della destra italiana  – giorno dell’indipendenza degli Usa, la loro patria del cuore e loro datore di lavoro- è talmente imbarazzante da togliere ogni dubbio. Qualcuno l’ha chiamato Dipendence Day. Dipendenti, ossia subordinati. E felici. Di ospitare un centinaio di basi militari Usa, con annesse bombe nucleari, centrali di comunicazione come il MUOS, extraterritorialità dei siti, contenti di essere colonia. Un governo coloniale con minore dignità di tutti quelli succedutisi dal 3 settembre 1943, armistizio di Cassibile, l’atto di resa che istituì la subordinazione permanente dell’Italia agli Stati Uniti. Un documento scritto dagli americani, capitolazione senza negoziazione. Da allora l ’Italia non è soggetto della propria storia: terreno di conquista, Disneyland e parco tematico culturale, museo in cui celebrare matrimoni Vip, fondale per selfie, location per pubblicità.
Obbedire facendo credere di essere sovranisti è la missione della Meloni, del presidente Ignazio Benito La Russa, del  ministro Tajani dallo sguardo smarrito, servitore di tre padroni (più di Arlecchino) i Berlusconi, l’Unione Europea, gli Usa, e del buon Matteo Salvini, ex tutto. Ex comunista padano, ex secessionista, ex patriota tricolore. Hanno posato giulivi, tutti insieme, davanti a una grande bandiera a stelle e strisce, commettendo per eccesso di servilismo un errore, in senso machiavellico. Se governare significa far credere, hanno svelato l’inganno, certificando qual è il padrone a cui rispondono. Brutta fine, non diversa da quella degli omologhi dell’altra sponda, passati disinvoltamente dalla falce dei contadini e dal martello degli operai alla borsa valori, dalle periferie ai quartieri esclusivi. Per entrambe le schiere,  il falò delle vanità e la rottamazione degli ideali.
Intanto, mentre al giudizio umano si sostituisce l’intelligenza artificiale teleguidata, i venti di guerra si avvicinano perché viene fatto credere (sempre lì finiamo) che Putin vuole prendere l’aperitivo a Parigi, che Israele è un piccolo Stato coraggioso bastione di tutti noi,  che i valori occidentali (quali, giusto per capire?) sono gli unici per i quali vale la pena vivere e morire. “Dulce et decorum est pro patria mori “, è dolce e dignitoso morire per la patria. Ma quale patria, esattamente? E la morte in questione è forse l’eutanasia di massa? Perché ci dovremmo credere, perché dovremmo prestar fede ai “diritti”, al progresso e ad ogni altra retorica diffusa a reti unificate? Machiavelli spiega che l’obiettivo della politica è il nudo potere. Un altro fiorentino, Giuseppe Prezzolini, fornisce l’antidoto: diventare Apoti, cioè,  dal greco ápotos,  “coloro che non se la bevono”, non credono nella vulgata e nella narrazione ufficiale, ricercando la verità lontano dagli inganni, dagli interessi e delle parole d’ordine di chi comanda.  Essere è difendersi dal potere.