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Il business del genocidio

di Daniele Perra - 11/07/2025

Il business del genocidio

Fonte: Strategic Culture

L’inviata ONU Francesca Albanese da tempo si occupa della situazione dei diritti umani nei Territori Occupati e nella Striscia di Gaza. Nel suo ultimo rapporto ha messo in evidenza il passaggio (compiutosi negli ultimi tre anni) da un’economia di stampo puramente coloniale ad una direttamente fondata sul genocidio (fisico e culturale) e sul processo di espulsione/sostituzione della popolazione palestinese dalla sua terra.
Il rapporto ONU da lei redatto, in principio, sottolinea come gli interessi commerciali siano sempre stati alla base della privazione della terra per i popoli indigeni. Questo è stato particolarmente vero per il colonialismo europeo (soprattutto britannico) a cavallo tra Ottocento e Novecento. Non solo, questi stessi interessi commerciali (privati o statali) hanno anche assecondato storicamente veri e propri genocidi (si pensi a quanto avvenuto nel Congo belga dei primi decenni del XX secolo; al sostegno che il grande capitale tedesco fornì all’industria dello sterminio nel corso della Seconda Guerra Mondiale; oppure, al Sudafrica dell’apartheid).
Nello specifico caso della Palestina, appare evidente come il settore imprenditoriale (israeliano o internazionale) abbia cooperato apertamente con le politiche di pulizia etnica di Tel Aviv. Un qualcosa per cui – ribadisce la Albanese – queste aziende dovrebbero essere ritenute legalmente responsabili e, nell’eventualità, sottoposte a giudizio. Tuttavia, esiste una notevole asimmetria tra l’enorme potere di molti conglomerati industriali e la possibilità che i loro vertici possano comparire in tribunale.
L’inviata ONU, inoltre, elenca tutta una serie di settori coinvolti su più livelli nelle politiche israeliane a Gaza e nei Territori Occupati: dalla più che ovvia partecipazione dell’industria delle armi ai settori high tech, dalle imprese edili ai gruppi immobiliari (coinvolti nelle costruzione delle colonie sioniste), dal chiaro coinvolgimento del settore finanziario (banche, fondi di investimento) alle assicurazioni e fondi pensione, fino alle istituzioni educative ed alle organizzazioni filantropiche e caritatevoli. Tutte queste entità (insieme) lavorano di fatto per negare ogni diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese.
In particolare, dopo il 7 ottobre 2023, diverse aziende e gruppi multinazionali hanno contribuito in modo determinante ad accelerare il suddetto processo di espulsione/sostituzione, nonostante la Corte Internazionale di Giustizia abbia da tempo riconosciuto l’illegalità delle colonie sioniste.
Sul piano storico, il Fondo Nazionale Ebraico (nato nel 1901) è indubbiamente l’esempio classico di come una società nata a capitale privato (oggi ente non profit che possiede il 13% della superficie fondiaria di Israele) abbia partecipato attivamente ad un processo di pulizia etnica. Nonostante ciò, al momento della sua nascita, la tesi principale che dominava il sionismo rispetto alla relazione con la popolazione indigena era quella dell’assimilazione. Come preventivato dal fondatore del sionismo Theodor Herzl nel suo libro fantastorico “La vecchia/nuova terra”, gli ebrei avrebbero costruito in Palestina una società ideale nella quale gli arabi si sarebbero facilmente integrati. Solo in un secondo momento ebbero la meglio altre due tesi: la negazione del problema sulla base di un’idea di derivazione – è giusto sottolinearlo – cristiano-sionista, secondo cui la Palestina fosse “terra senza popolo per un popolo senza terra”; l’eliminazione del problema sul piano fisico tramite “sterminio sacro” (sulla base dei miti biblici del Libro di Giosué), oppure muovendo gli arabi verso i Paesi confinanti (Libano, Giordania, Egitto, ad esempio).
Oggi, la tesi prevalente, diffusa soprattutto tra gli esponenti più fanatici del sionismo religioso, è quest’ultima. A questo scopo, il settore privato israeliano ha notevolmente contribuito alla militarizzazione della società ed alla distruzione del tessuto economico palestinese. Processo che, ad onor del vero, va avanti almeno dal 1967 e si accompagna alla demolizione di case, scuole, luoghi di culto ed alle conseguenti restrizioni alle coltivazioni ed all’utilizzo delle risorse idriche (o dell’energia elettrica) per le aziende agricole palestinesi ridotte alla condizione di veri e propri “ostaggi economici” della colonizzazione. L’agricoltura, di fatto, è parte centrale del sistema coloniale e del processo di sostituzione etnica. I prodotti delle colonie sioniste (vere e proprie strutture al contempo civili, economiche e militari fondate sull’esclusivismo razziale) arrivano sui mercati di tutto il mondo con etichette e codici a barra falsificati per evitare il boicottaggio.
Bisogna altresì considerare che gli Accordi di Oslo (una vera e propria truffa ai danni dei palestinesi) hanno ulteriormente favorito questa situazione, attribuendo ad Israele il controllo sulla maggior parte delle risorse naturali della Cisgiordania presenti nell’Area C sotto diretta amministrazione israeliana. Istituti finanziari (israeliani e non), inoltre, hanno incanalato notevoli risorse nei Territori Occupati per favorirne la colonizzazione. Mentre, oggi, dopo il 2023, gli stessi istituti finanziari hanno cooperato con il governo centrale per mobilizzare risorse e strumenti (infrastrutture politiche, tecnologiche, educative ed economiche) per portare avanti quella che sembra a tutti gli effetti un’operazione di sterminio di massa.
In questo senso, è necessario sottolineare il particolare ruolo di alcuni gruppi. In primo luogo, spiccano Elbit Systems (privata) ed Israel Aerospace Industries (a partecipazione mista): fondamentali colossi militari israeliani produttori di strumenti di sorveglianza. Entrambi, negli ultimi due anni, hanno conosciuto un incremento dei profitti senza precedenti. Anche legato al fatto che Israele è passato dall’investire nel settore della difesa dal 4,2% del PIL all’8,3%.
Particolarmente interessante risulta l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per scopi militari e, dunque, per determinare obiettivi attraverso un complesso sistema di elaborazione dati. In questo caso, diverse aziende nordamericane (come Microsoft, IBM, Palantir ed anche Amazon) hanno fornito la loro tecnologia IA alle forze di sicurezza israeliane per trasformare la repressione della popolazione palestinese in un sistema totalmente automatizzato di sorveglianza e raccolta dati. La Microsoft di Bill Gates – che in Israele ha la sua sede più grande al di fuori dagli Stati Uniti (tra l’altro presa di mira dai missili iraniani nella recente “guerra dei 12 giorni”) – ha direttamente integrato i suoi sistemi con l’IDF e ricopre un ruolo preminente nella cybersicurezza dello “Stato ebraico”. Palantir di Peter Thiel (esponente della cosiddetta “tecnodestra” in ottimi rapporti con l’attuale vice presidente USA J.D. Vance) ha invece fornito ad Israele tecnologie di previsione automatica sull’individuazione/valutazione degli obiettivi che hanno indubbiamente contribuito, con la loro ambiguità, a provocare vere e proprie stragi di civili nella Striscia di Gaza.
Sempre per ciò che concerne i sistemi di sorveglianza è fondamentale sottolineare le modalità in cui i velivoli a pilota remoto (i cosiddetti droni) si siano rapidamente trasformati in strumenti militari a tutti gli effetti. In questo campo, il programma europeo Horizon ha indubbiamente fornito ad Israele notevoli incentivi allo sviluppo di tali sistemi, insieme al ben noto MIT – Massachusetts Institute of Technology. Ma i droni non si limitano allo spazio aereo. La Caterpillar Inc. ha siglato nel 2025 un nuovo lucroso contratto con Tel Aviv per la creazione di bulldozer teleguidabili, estremamente utili sul piano militare, soprattutto per spianare il terreno a Gaza con rischi relativamente ridotti.
La collaborazione della Caterpillar Inc. con l’occupazione sionista è una storia di lunga data. La distruzione/demolizione di abitazioni tanto a Gaza quanto in Cisgiordania è infatti funzionale ad impedire il ritorno nelle proprie case dei palestinesi (strategia utilizzata anche nel 1948). Di non minore rilievo, in questo settore, anche la cooperazione tra Israele e la svedese Volvo o la coreana Hyundai. Queste compagnie non sembrano affatto preoccupate dall’utilizzo dei loro mezzi per evidenti operazioni di pulizia etnica.
Ancora, nell’ambito degli armamenti, la statunitense Lockheed Martin e l’italiana Leornardo S.p.a. rivestono un ruolo di primo piano nella fornitura di tecnologia militare avanzata ad Israele. Di conseguenza, rimane difficile pensare che i rispettivi governi non possano che avere interesse alla continuazione dell’assedio di Gaza. Questo, inoltre, si collega anche allo sfruttamento delle risorse gassifere presenti sul mare adiacente alla Striscia ed al sogno israeliano di divenire potenza energetica regionale. Qui, bisogna valutare il notevole interesse di diverse compagnie: la US Chevron (che si occupa dell’estrazione dai giacimenti Tamar e Leviathan), l’italiana ENI (interessata all’estrazione e trasporto del gas attorno a Cipro) o la British Petroleum (che si occupa nello specifico dell’esplorazione della coste di fronte a Gaza), per non citare direttamente le compagnie israeliane (spesso dipendenti dall’utilizzo di capitali esteri).
È altresì interessante riportare come l’approvvigionamento petrolifero di Israele dipenda in larga parte dall’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, costruito negli anni ’90 del secolo scorso al preciso scopo di tagliare fuori la Russia dalle rotte internazionali del Caucaso. Petrolio che, una volta passato dalle raffinerie israeliane, viene utilizzato per rifornire costantemente l’esercito ed il suo sforzo bellico per creare una profondità strategica a discapito dei Paesi vicini (Libano e Siria), oltre che per portare a termine il processo di espulsione/sostituzione dei palestinesi.
Per ciò che concerne i gruppi immobiliari meritano una menzione la statunitense Keller William Reality LLC ed i suoi rami israeliani KW Israel e Home in Israel, a cui si deve la costruzione delle colonie e gli incentivi allo sviluppo del turismo coloniale (sostenuto apertamente anche dalle piattaforme della rete Booking ed AirBnB).
BNP Paribas, Vanguard, Black Rock, Allianz ed AXA, infine, sono tra i maggiori protagonisti finanziari del sostegno ad Israele e della costante ristrutturazione del suo debito. Queste, oltre ad aver sostenuto il raddoppio delle spese militari, incanalano miliardi di dollari in bond del tesoro ed in compagnie direttamente coinvolte nel genocidio (con i loro investitori che spesso non sono a conoscenza dell’utilizzo dei loro soldi). In altre parole, garantiscono un costante flusso di denaro vero Israele che lo reinveste comprando armi da un complesso militare-industriale di cui queste stesse compagnie detengono ampi pacchetti azionari.
Alla luce di ciò, appare evidente che il genocidio palestinese prosegue perché è lucroso per molti. La Palestina, inoltre, è il luogo ideale per testare armi e nuove forme di controllo e sorveglianza sulla popolazione.