Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Prospettive di guerra e pace da un crocevia libanese

Prospettive di guerra e pace da un crocevia libanese

di Robert F. Worth - 20/05/2010





Le colline rocciose e verdeggianti alla periferia di questa cittadina del sud del Libano sono attraversate da uno dei confini più labili del mondo. Qui la tensione è particolarmente alta da quando, il mese scorso, Israele ha accusato Hezbollah di aver avuto dalla Siria dei missili Scud; molti libanesi pensano che la guerra tornerà presto a infuriare di nuovo.

Eppure, a pochi metri dalle recinzioni del confine e dalle postazioni militari israeliane, sulla sponda del fiume Wazzani, si sta costruendo un albergo sontuoso, dotato di tre piscine, bungalow coi pavimenti di marmo e un bar-ristorante in stile marocchino. I soldati israeliani a volte si spingono fino alla sponda del fiume per osservare con stupore gli operai siriani intenti a rifinire finte cascate e vialetti di pietra.

“Molti pensano che siamo dei pazzi a investire milioni di dollari in questa impresa”, dice Khalil Abdullah, 58 anni, il fiducioso imprenditore libanese che sta costruendo l’albergo, il cui nome sarà “Wazzani Fortress”. Respinge con un gesto della mano ogni accenno alla guerra, e dice che l’albergo attirerà tanti turisti e offrirà i posti di lavoro di cui c’è tanto bisogno.

Questo progetto rappresenta bene lo strano dualismo della vita in questa regione: gli abitanti si preparano allo stesso tempo ad affrontare una guerra oppure una stagione turistica da record. E in un certo senso non c’è niente di nuovo: Israele occupa il sud del Libano da  diciotto anni, e ogni estate porta con sé la paura di un nuovo conflitto.

Negli ultimi mesi però l’accumularsi di tensioni attorno al programma nucleare iraniano e all’arsenale di Hezbollah ha indotto molti analisti a credere che una nuova guerra nella regione sia inevitabile, e che il Libano, come è accaduto spesso in passato, ne sarà il teatro. La sempre più pressante richiesta di sanzioni contro l’Iran, e la possibilità di un’offensiva israeliana contro gli impianti nucleari iraniani sono solo alcuni dei fattori che potrebbero far scoppiare una nuova guerra fra Israele e Hezbollah, il gruppo di militanti sciiti che l’Iran ha contribuito a creare e continua a finanziare.

Sia i leader israeliani che i vertici di Hezbollah lasciano chiaramente intendere che il prossimo scontro sarà molto più violento e risolutivo dei precedenti. Dopo che il presidente israeliano, Shimon Peres, ha accusato la Siria di fornire missili Scud a Hezbollah, gli abitanti dei villaggi del sud del Libano hanno cominciato a far provvista di viveri, temendo il peggio.

“Penso che questa volta Israele sia determinato a porre fine alla vicenda una volta per tutte”, dice Jamal Bazzi, una donna che vive con i suoi tre bambini a Bint Jbail, una cittadina vicino al confine che è stata in buona parte distrutta durante la guerra dell’estate del 2006 fra Israele e Hezbollah. “Ho un’altra casa a Sidone, e l’ho rifornita di cibo, acqua e gas nell’eventualità che scoppi la guerra”.

Durante un giro recente nel sud del paese, abbiamo notato diverse cittadine libanesi misteriosamente disabitate, e raccolto voci insistenti a proposito di un’intensificazione delle esercitazioni di Hezbollah.

Eppure sono ancora in molti a non lasciarsi intimorire. La domenica si riversano a migliaia, per un barbecue o un pic-nic, nel nuovo parco del villaggio di Marun al Ras, proprio al confine con Israele. Questo parco, che è costato un milione e mezzo di dollari pagati interamente dall’Iran, aprirà ufficialmente il 25 maggio, giorno in cui si celebra l’anniversario del ritiro di Israele dal Libano nel 2000.

Il signor Abdullah, il cui nonno un tempo possedeva un vasto appezzamento di terra oggi attraversato dal confine, dice di aver coltivato per quindici anni il sogno di costruire un albergo in questo posto. Buona parte del Libano è al momento interessata dal boom edilizio, e si stima che l’estate scorsa abbiano visitato il paese due milioni di turisti. Abdullah ha lavorato nell’edilizia per quarant’anni in Costa d’avorio, è tornato nel suo paese l’anno scorso, e ora vede grandi opportunità di investimento nel sud del paese.

Il paesaggio è magnifico, la vista sulle alture del Golan, occupate dagli israeliani, è spettacolare.  Si vedono i pastori che portano al pascolo le capre fra gli ulivi e gli aranceti, e la striscia celeste del fiume Wazzani che scorre in una stretta vallata, fiancheggiato da alberi in fiore.

Quando gli si chiede se la possibilità che scoppi una guerra non sia un deterrente per i turisti, Abdullah ride e ci dice che sono già in molti a chiedergli insistentemente di poter prenotare l’albergo per celebrarvi degli eventi. Gli stranieri hanno bisogno del permesso dell’esercito libanese per entrare nella regione, ma Abdullah dice che l’albergo sarà in grado di occuparsi della cosa senza problemi. Il Wazzani Fortress aprirà ufficialmente a giugno, ma non smetterà di ingrandirsi e l’anno prossimo, quando sarà finito, avrà ben 60 camere.

 “Stiamo costruendo anche un centro congressi,” dice, “mi piacerebbe che un giorno ospitasse i negoziati di pace”.

L’albergo sembra fatto apposta per smentire lo stereotipo che dipinge il sud del Libano come una terra di devoti combattenti Hezbollah e donne velate. Durante un allegro banchetto a base di pesce di fiume e birra, Abdullah ha esposto il suo grandioso progetto per il bar e il ristorante. Vuole costruire due edifici, uno a forma di chiesa e l’altro di moschea, per simboleggiare le diverse identità del Libano, e una veranda con il tetto di paglia in stile africano.

“Non ci sono Hezbollah qui, la nostra resistenza sta nel costruire la pace,” dice Yousef Hamzi, lo scarmigliato ingegnere del progetto, sollevando un bicchiere di whisky mentre Zahra, la sorella di Abdullah, vestita con un paio di jeans e una camicetta a motivi floreali, fa una smorfia di disapprovazione.

Più tardi Abdullah conduce un gruppo di visitatori sull’altura che sovrasta l’albergo, dove intende costruire altri bungalow la cui vista spazierà non solo su un paio di minacciose postazioni militari israeliane, ma anche su alcune abitazioni israeliane situate solo qualche centinaio di metri più in là. Sostiene che certe persone sono affascinate dall’idea di trascorrere le vacanze in questo crocevia della storia.

La signora Abdullah, avanzando con cautela fra le pietre sui tacchi alti, indica verso sud le storiche pianure di Hula, dove i campi che un tempo erano di suo nonno ora fanno parte di Israele. Eccezion fatta per le torrette di guardia israeliane, il paesaggio è rimasto sostanzialmente immutato: colline verdi, alberi di pesco e aranceti immersi nella luce dorata del pomeriggio.

“Se ci sarà una guerra, sarà orribile” ha detto. “Ma è evidente che noi seminiamo amore, sono gli altri a seminare bombe”.

(Con il contributo di Hwaida Saad)



New York Times, L’articolo in lingua originale

(Traduzione di Alessandra Neve per Osservatorio Iraq)