Una legge regionale ad hoc, che consenta ai territori interessati dalla Torino-Lione di avere «ricadute positive in materia di occupazione, formazione professionale e riqualificazione urbanistica». Ad annunciarla è il neo-presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota. Dopo anni di chiacchiere, veleni e polemiche a distanza, la politica torna così ad occuparsi direttamente della valle di Susa: che potrebbe presto trovarsi a valutare la prima, vera proposta di profilo istituzionale su cui ragionare seriamente, coinvolgendo le istituzioni locali, finora largamente contrarie alla Tav.

La decisione del presidente Cota sembra destinata a segnare un cambio di rotta, perlomeno nell’approccio politico delle istituzioni, a lungo apparse “lontane” dai problemi della valle di Susa. Nonostante la partecipazione ai lavori dell’Osservatorio-Tav guidato da Mario Virano, organismo tecnico-consultivo peraltro fortemente contestato dalla valle “ribelle”, la Regione Piemonte non aveva finora assunto iniziative decisive. Proprio al termine di un incontro coi sindaci e i componenti (valsusini) dell’Osservatorio, Cota ha annunciato l’intenzione di predisporre, in tempi rapidi, un dispositivo di legge per tentare di definire in modo condiviso la controversa operazione, contro la quale i valligiani si oppongono da anni.

«Ho raccolto la proposta del presidente della Provincia di Torino, Antonio Saitta, di predisporre una legge regionale», ha detto Cota. Una legge «che faccia sì che l’opera abbia ricadute positive sul territorio, a cominciare dalla valorizzazione delle imprese locali e della manodopera». La legge, sull’esempio della “Demarche Grand Chantier”, la procedura speciale con cui la Francia programma le ricadute sul territorio dei cantieri Tav, potrebbe essere inserita nell’ambito delle iniziative che la Regione Piemonte sta predisponendo in tema di occupazione. «La Francia ha fatto un’esperienza positiva», ha spiegato Saitta: «Anche da noi, grazie ad una legge regionale, si potranno avere ricadute apprezzabili già in fase di cantiere».

L’iniziativa di Cota, politico-istituzionale, è il primo segnale forte che arriva da Torino dopo anni convulsi: la preoccupazione è quella di dotarsi, prima di tutto, di strumenti efficaci per poter affrontare il problema della Torino-Lione in modo aperto, trasparente e condiviso, con eventuali ricadute immediatamente misurabili sul territorio. Un atto di responsabilità istituzionale, che potrebbe definire lo stile di governo che la nuova giunta regionale a guida leghista sembra intenzionata ad adottare, nei confronti di un caso spinoso e apparentemente senza soluzioni come quello valsusino.

Resta infatti sul tappeto la domanda fondamentale: a cosa serve, davvero, la Torino-Lione? Le uniche certezze, purtroppo, sono relative alle fortissime perplessità legate all’infrastruttura: coi suoi almeno 20 miliardi di euro, sarebbe la maggiore opera pubblica italiana. «L’assurdo – sottolinea Angelo Tartaglia, docente del Politecnico di Torino – è che finora si è deciso di procedere senza prima un rapporto costi-benefici: si è stabilito che il calcolo si farà, ma dopo». E questo, per un’opera faraonica: che costerà molto più del Ponte sullo Stretto di Messina. Senza contare che ad oggi, in Italia, la rete Tav è costata – a chilometro – quasi il quadruplo della rete ferroviaria veloce del resto d’Europa.

Proprio all’Europa si affida il tenace movimento No-Tav, che attraverso l’irlandese Joe Higgins e l’italiano Luigi De Magistris ha inoltrato a Strasburgo un dossier per documentare la fortissima opposizione popolare: sostenuta, anni fa, da esponenti di spicco della stessa Lega Nord. La posizione dei No-Tav è chiara: la Torino-Lione sarebbe devastante per il territorio, costosissima per le finanze dell’Italia e, soprattutto, inutile: il treno ormai serve a dirottare verso nord le merci cinesi che approdano a Genova; non ha più alcuna utilità la linea est-ovest, di cui la Torino-Lione rappresenterebbe il corridoio alpino, secondo proiezioni vecchie ormai di vent’anni e superate dagli attuali scenari globali.

Se i principali partiti (destra e sinistra) sostengono che, con la Torino-Lione, il nodo di Novara diverrebbe il maggiore dell’Europa meridionale, trasformando il Piemonte in una grande piattaforma logistica, vitale per l’agonizzante sistema industriale di Torino colpito dalla crisi, No-Tav e trasportisti universitari ribattono: il “passaggio ad ovest” servirebbe solo a distruggere la valle di Susa, indebitare l’Italia per generazioni e arricchire i signori dei cantieri (in cui si teme possa infiltrarsi l’imprenditorialità mafiosa). Indotto effimero, insomma, senza futuro: perché nulla lascia prevedere che, da Genova e Novara, il traffico merci – diretto a Rotterdam – possa improvvisamente cambiare strada.

Il problema maggiore? Le cifre, per ora. Nessuno si esprime in modo troppo chiaro: né sui costi reali dell’opera, sicuramente la maggiore nella storia italiana, né tantomeno sulle reali aspettative di traffico (aggiornate al 2010) e quindi sul rapporto costi-benefici. Che ovviamente dovrebbe precedere – non seguire – l’eventuale apertura dei cantieri. A tutte queste domande, che poi sono quelle che da anni “inchiodano” la Torino-Lione di fronte all’ostinata resistenza civile della valle di Susa, si dovrebbe finalmente provare a dare, prima di tutto, una risposta chiara.

Fonte: www.libreidee.org