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Germania: l’oro nero fatto in casa che non fa male alla Terra

di Bruno Picozzi - 18/06/2010



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GERMANIA. Nel laboratorio del professor Willner dell’Università di scienze applicate di Amburgo si ottiene petrolio da una semplice centrifugazione di mais, orzo, gramigna, sterco, plastica usata e anche spazzatura.
Alambicchi, provette e misuratori di ogni tipo. Fa caldo nel laboratorio del professor Thomas Willner, responsabile di uno degli oltre 20 progetti di ricerca sulle fonti rinnovabili di energia sviluppati all’Università di scienze applicate di Amburgo. Tre studenti mascherati di camici bianchi e occhiali protettivi si agitano davanti a macchine pulsanti e grafici incomprensibili, un piccolo imbuto infila dei semi in un contenitore trasparente pieno d’olio molto denso che viene mescolato e riscaldato a circa 350 gradi. Le molecole organiche si sciolgono e il vapore d’olio finisce in un tubo di raffreddamento dal quale gocciola un liquido scuro che viene raccolto in un vasetto di vetro
 
Quello è petrolio, ricavato non da invasive trivellazioni degli strati fossili ma da una semplicissima centrifugazione di mais, orzo, gramigna, sterco, plastica usata, spazzatura o chissà che altro. Qualsiasi materiale organico si trasforma in ricchezza attraverso la piccola macchina da scrivania, al ritmo di cento grammi di materia l’ora. Indossiamo occhiali protettivi e andiamo a scoprire dietro a un paravento una macchina più grande e complessa che ingurgita un chilo di materia l’ora. Presto nel cortile all’esterno del laboratorio sorgerà una terza macchina con una capacità cento volte superiore. Il passo successivo sarà la dimensione industriale. Chiediamo al professore se non sia un controsenso sforzarsi a produrre petrolio in un laboratorio finanziato per studiare le fonti rinnovabili. Au contraire, ci risponde. 
 
«Questo combustibile non deriva dagli strati fossili ma dalla materia organica già presente sulla superficie terrestre per cui, bruciando, rimette in circolo esattamente la stessa quantità di gas assorbita dall’atmosfera». È il principio delle biomasse applicato al petrolio “fatto in casa”, ecologico e rinnovabile all’infinito. E non solo! L’intero processo, così come è stato pensato, non produce alcun tipo di rifiuto. Come materia prima possono essere impiegati residui dell’industria alimentare o di falegnameria, erbacce o compost urbano. L’olio pesante si autorigenera e l’acqua viene usata in un circuito chiuso.
 
La piccola quantità di gas prodotta può essere raccolta e utilizzata per innescare il procedimento. Bisogna solo pulire il contenitore, di tanto in tanto, e comunque quel poco che resta non è materia tossica. Il prodotto della ricerca sarà in commercio forse già tra cinque o dieci anni, ci dice Willner, con un sorriso leggermente diabolico e con evidente autocompiacimento. Noi ci aggiungiamo un forse, visto che la crescita della prima generazione di biocarburanti in Germania ha subito un forte stop nel 2007. Fino allora trasformare prodotti agricoli in petrolio era sembrata una buona idea. Secondo i dati del ministero tedesco per l’Ambiente, l’Europa unita contava per un quinto del consumo totale di biocarburanti. Il settore era cresciuto di oltre il 23 per cento in un anno, nell’Unione, e la Germania vantava da sola metà del consumo. 
 
I biocarburanti a loro volta rappresentavano il 2,4 per cento del consumo mondiale di carburante per trasporto automobilistico. Poi qualcuno improvvisamente ha realizzato che biodiesel ed etanolo sono ricavati rispettivamente da olio di semi e zucchero di barbabietola, ossia da prodotti alimentari, e ha cominciato a porre domande come: «Il grano, lo vogliamo nel piatto o nel serbatoio dell’auto?».  Il dibattito, alimentato dalle maggiori Organizzazioni non governative, si è trasformato in slogan, ha colpito l’immaginazione della gente e la risposta finale è stata più che ovvia. In Germania, Paese leader del settore, la produzione e il consumo sono crollati in attesa di nuove idee. 
 
La ricerca cui assistiamo nel laboratorio dell’Università di Amburgo ha quindi come oggetto i biocarburanti cosiddetti di terza generazione, masse organiche liquefatte e idrogenate a temperatura relativamente bassa ma dotate di alta efficienza energetica. L’approvvigionamento di materia prima, ci assicura il professor Willner, non entra assolutamente in competizione con la produzione di cibo e può anche essere d’aiuto per chiudere alcuni cicli industriali. Il piccolo vasetto pieno di liquido scuro può dunque essere una chiave per raggiungere gli obiettivi obbligatori fissati l’anno scorso dalla Commissione Ue e citati nelle pubblicazioni del ministero dell’Ambiente.
 
«Entro il 2020 la proporzione di energia da fonti rinnovabili in ognuno degli Stati della Ue dovrà ammontare almeno al 10 per cento del consumo energetico totale nell’intero settore dei trasporti». Ci viene tuttavia ripetuto più di una volta che i biocarburanti, sebbene di terza generazione, non sono la soluzione finale quanto piuttosto parte della soluzione. Perché la questione energetica è complessa e richiede un approccio complesso. «Abbiamo bisogno di idee nuove per ricavare energia in maniera sostenibile - recita una brochure dell’Università di Amburgo - e lo sviluppo di tecnologie legate alle fonti rinnovabili gioca un ruolo chiave in questa sfida». 
 
Quella del professor Willner è solo una delle buone idee in fase di studio. Opportunamente testata e trasferita nella dimensione industriale potrà contribuire a creare il giusto mix energetico capace di proiettare la Germania verso la realizzazione degli obiettivi fissati. Il 18 per cento di consumo elettrico da fonti rinnovabili entro il 2020 è il minimo garantito. La visione nel lunghissimo periodo è arrivare a coprire nel 2050 l’intero fabbisogno elettrico e in più avere 900mila addetti nel settore. Perché in Germania, quando si parla di ambiente, non è solo alberi e ruscelletti ma anche più impresa, più lavoro, maggior prelievo fiscale e un migliore utilizzo del territorio. Il professor Willner smetterà presto i panni dello scienziato per indossare quelli dell’imprenditore, dimostrando ancora una volta che è la ricerca a fare della Germania la nazione leader nel campo tecnologico. E sarà la ricerca a renderla sempre meno dipendente da combustibili fossili e assurdità nucleari: la potenza industriale meno inquinante della storia.