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Musica, Etica, Tonos o Proporzione

di Ivan Illich - 10/10/2010

Fonte: traccefresche

 

(...) Ascoltando, vedendo e colpendo le divisioni appropriate sul monocordo, Platone esercitò il suo talento e il suo piacere musicale in accordo con l'armonia propria  alla comunità e all'ethos nel quale era nato.

La sinestesia dell'allievo era accordata: l'adattamento coordinato dell'orecchio, dell'occhio e del tatto  a ciò che era aggraziato e buono nella sua comunità. Ciò che era appropriato era poi giudicato buono.

 

La musica formava all'arte della proporzionalità, la quale comprendeva un'opposizione alla hybris, un solido senso della moderazione.

La vergogna che poteva risultarne era garante di una mescolanza fra giudiziosità e desiderio. La musica era il legante essenziale di bellezza, bontà e verità, un suono che rifletteva il cosmo

- non essenzialmente interiore o esteriore, poichè non rappresentava un modello puramente estetico o una regola morale astratta - e instillava nell'ascoltatore una posizione o un atteggiamento distinto che coglieva la natura del suono adatto al carattere dorico, un suono che si adattava al dialetto proprio di quel luogo e di quello solamente.

 

Parlare in quel contesto di un centro tonale o di una tonica sarebbe falso. Il "tono", ai tempi di Platone, non era una misura.

La  proporzione era implicita nei due segmenti di una corda.

Un tono individuale era impensabile, come lo sarebbe stata un'unità di misura nazionale di lunghezza e di peso. Piuttosto che di tono, che comporta un centro tonale, sarebbe stato meglio parlare di modi.

 

Perciò per suonare la musica adatta ad alcune occasioni secondo le regole prescritte dall'ethos di Atene, occorreva determinare l'intonazione del flauto o della cetra locali.

Il genos (motivo tetracordale greco) stabiliva come l'intonazione doveva essere espressa musicalmente. Offriva un quadro in cui scegliere il modo per poter suonare la musica del posto.

La proporzione sottintende tutto ciò: essa ne è il principio costitutivo, il logos.

 

Quello che noi chiamiamo parole, i greci chiamavano logoi, vale a dire relazioni. E ciò che noi comprendiamo solo come intervalli tra due toni era compreso come ana-logia, come concordia delle corde. Questa intonazione doveva corrispondere all'ethos

- cioè il ritmo, il costume, la disposizione o il portamento -, che era così diverso tra i Dorici e gli Ateniesi come lo erano l'andatura e il linguaggio. (continua)

 

{da "La saggezza di Leopold Kohr", di Ivan Illich, in La perdita dei sensi, 2009, Libreria Editrice Fiorentina, stralci di Marco Sicco}