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Anche la NASA parlerà di decrescita

di Andrea Bertaglio - 23/12/2010



Con ampio e colpevole ritardo, ma adesso l’Agenzia aeronautica e spaziale statunitense pone il problema del consumo eccessivo delle risorse naturali. E in particolare della flora 


A causa della continua crescita della popolazione mondiale e dello sviluppo in economie moderne di un numero sempre maggiore di società, il consumo di prodotti di origine vegetale sul pianeta sta raggiungendo livelli allarmanti. Il loro utilizzo è infatti necessario alla produzione di cibo, carta, vestiti, energia e, da qualche anno a questa parte ed a livelli sempre crescenti, biocarburanti. Ad affermarlo è uno studio della NASA eseguito da un gruppo di ricerca capitanato dal Dottor Marc Imhoff del Goddard Space Flight Center di Greenbelt, nello Stato americano del Maryland.

Il team NASA di Imhoff ha quantificato per la prima volta il consumo globale della flora terrestre nel 2004, quando fu calcolato che, già nel 1995, l’umanità aveva consumato il 20% di tutte le sue riserve arboree. andando avanti con le rilevazioni, si è poi verificato che il consumo globale delle stesse dal 20% del 1995 è passato al 25% della produzione totale annuale nel 2005. Una crescita parecchio significativa, per Imhoff e gli altri scienziati, i quali ora vorrebbero capire quali errori si possono compiere in questo tipo di misurazioni e, soprattutto, i limiti degli ecosistemi associati all’impatto di una tale crescita dei consumi. Anche se il loro approccio sembra ancora “colonizzato” dalla massimizzazione della produttività e dell’offerta, invece che una gestione più corretta (e magari una riduzione) della domanda, un passo in più verso una presa di coscienza del fatto che non si può crescere all’infinito è stato compiuto.

Se ad alcuni uno studio di questo tipo può sembrare una perdita di tempo, a chi invece ha capito che non è possibile una crescita dell’economia (e quindi dei consumi, di qualunque tipo essi siano) in un ambiente dalle risorse limitate, quelli necessari a questo studio sembrano i soldi spesi meglio dalla NASA da diversi anni a questa parte. Secondo i risultati di questa ricerca, sia il consumo globale di risorse che quello pro capite sono fortemente in aumento. Una grande “responsabilità” l’hanno avuta in questi anni anche i biocarburanti, che oltre ad avere effetti devastanti sui prezzi del cibo per le popolazioni più povere, hanno portato ad un ulteriore e notevole aumento del consumo di prodotti agricoli. 

Il problema, però, riguarda soprattutto il parallelo e costante aumento dei consumi e della popolazione mondiali. Ciò che emerge maggiormente da questo studio sono ancora una volta le grandi discrepanze esistenti fra le diverse aree del pianeta, esemplificate dal fatto che uno statunitense consuma in media tre volte più materiali di origine vegetale di una persona del sud-est asiatico (6 tonnellate all’anno contro 2). Uno stile di vita, quello nordamericano, che se adottato dal resto del mondo porterebbe l’umanità a “mangiarsi” in un solo anno il 50% di tutte le piante presenti sul globo. Disparità riguardanti anche la produzione ed il consumo delle risorse stesse, che rendono alcune zone prettamente produttrici, altre solo consumatrici. Basti pensare a quelle aree urbane che, prese singolarmente, consumano fino a 30.000 volte più risorse di quante ne producano.

Mentre produzione agricola e presenza di vegetazione sul pianeta variano di anno in anno, dipendenti come sono (se si tralasciano per il momento speculazioni e capricci del mercato globale) dalle condizioni ambientali e meteorologiche, la domanda dei loro prodotti è invece in perenne aumento. A seconda del Paese che si prende in esame, infatti, si può notare che in alcune regioni (magari in cui il boom economico degli ultimi anni ha permesso un’”occidentalizzazione” delle economie e degli stili di vita) il consumo sale per la banale crescita dei consumi pro capite, in altri, per il semplice aumento della popolazione. È ad esempio il caso dell’India, dove la popolazione è esplosa, ma dove i consumi individuali medi non sono ancora cresciuti significativamente. Ci sono poi nazioni nelle quali tutto cresce, sia la popolazione che il consumo di risorse. È il caso degli Stati Uniti, Paese simbolo della crescita illimitata in tutto e dappertutto.

Di questo passo si potrebbe arrivare, già nel 2050, a consumare ogni anno il 55% di tutta la vegetazione cresciuta sulla Terra. Secondo il team della NASA una minaccia alla possibilità di continuare con gli stili di vita ai quali, almeno nel mondo occidentale, siamo da tempo abituati. Grande limite di questo studio, che ha utilizzato le tecnologie spaziali più sofisticate per monitorare negli anni la produzione agricola mondiale e tutto quanto sia servito ad ottenere dei risultati scientificamente provati, è però quello di non fare nemmeno finta di mettere in discussione l’american way of life che, a quanto pare, ha già contagiato gran parte delle popolazioni mondiali. Come non si accenna al fatto che con l’attuale produzione mondiale di cibo si potrebbero sfamare oltre dodici miliardi di persone, nonostante oggi, su sei e mezzo, un miliardo è composto da persone che letteralmente muoiono di fame.

È quindi un’ottima testimonianza, quella del gruppo di ricerca di Imhoff, che legittima con inoppugnabili dati scientifici, raccolti e analizzati nei modi più razionali esistenti, tutti coloro che da molto tempo mettono in guardia sugli effetti negativi degli sprechi o delle bulimie consumistiche che, oltretutto, hanno causato crisi che vanno ben oltre quella economica attuale. Studiosi, filosofi, scienziati, ma anche persone comuni che sono sempre state tacciate di romanticismi o idealismi inutili e basati solo su aspetti emotivi. Oggi questo studio della NASA, non di un gruppo di ambientalisti o di ingenui fricchettoni, risulta essere un autorevole avvertimento in più riguardo al fatto che la costante crescita dei consumi (nel vero senso della parola, di qualunque tipo di materiale si parli) non può che portare a problemi ben più grandi di quelli che ci troviamo già ad affrontare in questo preciso momento storico.

Non per una questione di catastrofismo, ma di approccio realistico con la realtà. In seguito ai risultati di questa lunga ricerca, infatti, il Dott. Imhoff ha affermato che l’intenzione non è stata quella di fornire uno scenario da “giorno del giudizio”, ma di individuare e chiarire le circostanze che si creerebbero in futuro se gli attuali trend (appunto crescita sia della popolazione che dei consumi a livello globale) si dovessero mantenere inalterati. «Abbiamo sempre guardato la popolazione ed il consumo come problematiche separate», ha affermato Imhoff, ed ora che entrambe stanno crescendo vertiginosamente, si inizia a realizzare che «alla biosfera non interessa se c’è tanta gente che consuma poco o poca gente che consuma molto; sono le percentuali totali ad essere importanti». 

Se questa costante crescita della domanda dovesse continuare ai ritmi attuali, i problemi non riguarderebbero solo il reperimento delle risorse e la loro capacità di rigenerarsi, ma anche l’organizzazione legata alla loro produzione ed al loro consumo. Di questo passo raggiungeremo infatti «una elevata domanda di gestione del territorio per massimizzarne la produttività su tutti i livelli», afferma Imhoff, «andando incontro ad una situazione in cui il pianeta dovrebbe essere gestito con la massima cura».

Ottimi propositi quelli del Dottor Imhoff, che però danno conferma del fatto che non è necessario essere uno scienziato della NASA per capire che la soluzione di enormi problemi può essere ben più “semplice” di quanto si possa pensare. Lo scienziato americano parla infatti di produttività, senza però capire che, molto probabilmente, la soluzione a questo tipo di problemi sta prima di tutto in una riduzione della domanda di risorse (soprattutto attraverso una riduzione degli enormi sprechi dovuti a politiche economiche e stili di vita assurdi), piuttosto che nella migliore gestione della produttività e dell’offerta delle stesse.