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Il curioso caso al-Julani

di Daniele Perra - 16/07/2025

Il curioso caso al-Julani

Fonte: Daniele Perra

Solo qualche giorno fa, l'ambasciatore USA in Turchia, Tom Barrack, intimò al Libano di disarmare Hezbollah, altrimenti sarebbe stato attaccato congiuntamente da Siria e Israele. 
Che uno degli obiettivi del "conflitto siriano" fosse proprio quello di consentire a Tel Aviv l'accerchiamento del Libano è cosa nota e ripetuta a più riprese. I miliziani qaidisti e dell'ISIS, a questo scopo, occuparono l'area di Maaloula, al confine col Paese dei cedri ed in prossimità all'area della valle della Beeka (roccaforte di Hezbollah), dove vive(va) una grossa comunità cristiana (decimata per l'occasione). E la sua liberazione in cooperazione tra Hezbollah, esercito arabo siriano, milizie cristiane e Forze Quds fu, insieme alla liberazione di Aleppo, uno dei più grandi successi del cosiddetto "Asse della Resistenza". 
Ora, è cosa altrettanto nota che al-Julani sia una risorsa di CIA ed MI6 che per lungo tempo l'hanno nutrito nell'enclave di Idlib con un continuo flusso di armi e denaro con il quale sono stati comprati parte rilevante di funzionari statali del precedente regime e uomini d'affari ad esso legati. È cosa sempre nota che Israele prima della caduta di Damasco abbia spianato la strada all'offensiva qaidista con bombardamenti mirati, per poi distruggere quasi interamente l'arsenale dell'EAS una volta raggiunto l'obiettivo (va da sé che, prima di ciò, esisteva un tacito accordo con Mosca - oggi evidentemente saltato - che consisteva nel garantire a Damasco un minimo di controllo territoriale e di efficienza militare). 
Ad ogni modo, oggi non esiste un vero e proprio esercito siriano, nonostante i tentativi di al-Julani di legittimare allo scopo un agglomerato di milizie composte in larga parte da caucasici e centroasiatici. Per questo motivo, le affermazioni di Barrack sull'attacco congiunto contro il Libano mi hanno fatto quasi sorridere. Nonostante l'eventualità sia concreta, anche alla luce delle pressioni USA su Beirut (da sottolineare il ruolo dell'inviato per Medio Oriente ed Africa Massad Boulos, americano-libanese padre del genero di Trump). E non metto in dubbio che al-Julani possa dare la sua disponibilità anche ora che è sotto attacco israeliano. A questo proposito, mi preme sottolineare come Israele non voglia in alcun modo dei "soci in affari" (i tanto esaltati "accordi di Abramo"), ma semplicemente dei sudditi sottomessi (Giordania docet). Israele non si accontenta di una Siria de-assadizzata e priva di influenza iraniana. Israele vuole una Siria distrutta e parcellizzata, nonostante i tentativi di al-Julani di presentarsi come un "amico" di Israele, pronto a concessioni sul Golan occupato ed alla piena normalizzazione dei rapporti. Si badi bene che le azioni (clamorose) recenti non sono affatto rivolte alla difesa della comunità drusa sotto attacco da parte del governo centrale. Sono rivolte all'espansione e occupazione della Siria meridionale, magari fino a Damasco (come affermava Smotrich a suo tempo). Ed il "povero" al-Julani è un complice di Israele, non una vittima. 
Come ho già detto in altre occasioni, la caduta di Damasco è stata la fine della Siria. Quella attuale non è Siria; è qualcosa di ben diverso.