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Oltre la folla… lo sciame. La società liberale di massa

di Roberto Pecchioli - 16/07/2025

Oltre la folla… lo sciame. La società liberale di massa

Fonte: EreticaMente

Bisogna ascoltare con attenzione Luca Ricolfi, sociologo, docente, acuto osservatore della società di massa. Ancora di più quando analizza l’universo giovanile con il determinante contributo della moglie, Paola Mastrocola, docente anch’essa, indagatrice del declino della scuola e dell’istruzione. Ricolfi sostiene che una delle preoccupazioni delle ultime generazioni è uscire dall’anonimato della società di massa. Forse, riflette lo studioso torinese, non si tratta di individualismo sfrenato, liquido, ma della “ricerca ossessiva di un’identità che distingua da chiunque altro.” Il nemico è la spersonalizzazione, l’impossibilità di comunicare la propria singolarità. 
Una tesi interessante, per alcuni aspetti perfino incoraggiante, se riflettesse un pensiero compiuto della Generazione Z e dei Millennials, un’analisi di sé e della società, un nucleo embrionale di ragionamento oppositivo, di contestazione della massificazione e della deindividualizzazione imposta dalla macchina mediatica, culturale, pubblicitaria. Temiamo che le cose non stiano così e che i segnali colti da Ricolfi – indiscutibili- non siano insofferenza verso un modello sempre più disumano, bensì un posizionamento gradito al potere.  

Oltre la folla… lo sciame
Alla fine, pensiamo e facciamo ciò che il pensiero dominante ci impone di pensare. Il paragone di Byung Chul Han è la metafora dello sciame, la condizione dell’uomo del XXI secolo. Il pensatore tedesco-coreano non utilizza le categorie di massa o folla, superate dall’ importanza crescente della rete. Lo sciame è la modalità di movimento di una massa di insetti, ad esempio cavallette, che si spostano tutte insieme con una direzione inconoscibile, provvisoria, a scatti, dai movimenti imprevedibili, contraddittori, obbedendo a un istinto  che appare irrazionale. Per Han lo sciame indica una molteplicità di individui che, pur avendo la possibilità di relazionarsi e comunicare istantaneamente con ogni parte del mondo, restano isolati, solitari. 
Nella società di massa del ventesimo secolo il soggetto perdeva la sua individualità in un insieme comune, conferendo alla massa ( a chi la dirige) intelligenza e giudizio individuale. Nello sciame contemporaneo che si sposta a sorprendente velocità i soggetti stanno assieme, si muovono assieme, ma rimangono soli. Gli individui dello sciame mantengono coscienza di sé, illudendosi di padroneggiare i mezzi digitali, ma l’effetto è una paradossale spersonalizzazione solitaria all’interno di uno sciame che abita la rete muovendosi compulsivamente, esposto, sottomesso alle sollecitazioni provenienti dal mezzo, diventato l’ apparato pubblicitario di se stesso. “ Lo sciame digitale non è una folla, poiché non possiede un’anima, uno spirito. L’anima raduna e unisce: lo sciame digitale è composto da individui isolati. “ Cambia la relazione tra individuo e collettività, e viene abolita, in nome dell’equivoca categoria di trasparenza, la differenza tra sfera pubblica e privata.  

Il medium digitale
La trasparenza e i dispositivi digitali hanno cambiato gli esseri umani e il modo di pensare. Naturale che i soggetti più colpiti siano i giovani, privi di paragone e orfani di maestri, cacciati dalla società nemica dell’ autorità, resi obsoleti dalla velocità fulminea dei cambiamenti. Gli interlocutori delle masse giovanili sono fantasmatici, impersonali, legati alla rete, estranei alla comunicazione “in presenza”, immersi in un presente senza profondità osservato attraverso il medium digitale. Sfuma il  concetto di verità, giacché tutto assume il colore riflesso dallo schermo da cui si osserva il mondo, reale o virtuale, indistinguibili. Spettatori passivi, voyeur, diventiamo preda di un individualismo trasparente che non tiene più al privato e all’intimo, esposti esibizionisticamente minuto per minuto. 
Lo sciame si sposta in massa in ossequio a parole d’ordine, gesti, appuntamenti veicolati dalla rete, dalla pubblicità, con l’ansia di provare ogni esperienza. Consumo continuo di merci, persone, sostanze, situazioni, di se stessi. Basta osservare l’irrompere  disordinato di gruppi di giovani nelle serate di fine settimana, l’abbigliamento scollacciato delle ragazze, che ai più anziani ricorda il mestiere più vecchio del mondo. I ragazzi appaiono bulletti di periferia prodotti in serie, dai movimenti sincopati al ritmo del trap e del rap. Tutti in cerca di emozioni , in un baccano forzato, innaturale. E’ stata teorizzata una nuova malattia sociale generazionale, chiamata FOMO ( fear of missing out) la paura di essere tagliati fuori , di non vivere ogni esperienza prescritta dalla vigente normativa sociale. 

Gregari poco pensanti
Lo sciame FOMO è gregario, poco pensante. Tuttavia Ricolfi centra il bersaglio individuando il terrore dei ragazzi di rimanere anonimi. Forse per questo registrano ogni attimo, immediatamente fotografato e postato: certifica la loro soggettività. Sono io e solo io a fare quella cosa, a trovarmi in quel luogo, fare quel commento, in genere  sgrammaticato, zeppo di luoghi comuni, spesso volgare. “Tu” devi seguirmi e approvarmi attraverso il gesto del “mi piace”, il pollice alzato che dimostra la forza della mia soggettività.  Ovvio il crollo dell’autostima in caso di disapprovazione o di indifferenza. Dipendenti dal consenso, che fragile individualità. Un elemento a favore della tesi di Ricolfi è la pervasività di fenomeni come il sistema del marchio firmato, forma di autoriconoscimento tribale sfruttato dalla piovra commerciale alimentata dalla pubblicità. 
Per un verso si enfatizza l’inclusione, dall’altro si insiste su tutto ciò che è “esclusivo”, un privilegio destinato a me e solo a me, se mi adeguo alle prescrizioni del consumo. Altro sorprendente fenomeno, a cavallo tra moda, auto creazione e individualizzazione massificata è la diffusione dei tatuaggi. Colpisce l’estetica invertita del tatuaggio e la stranezza di una moda che lascia per sempre i segni sul corpo.
Il meccanismo mentale – se ce n’è uno al di là del dilagante spirito di gregge- è l’autocreazione, un concetto di sé che, per mezzo di disegni, ghirigori, arabeschi in gran parte privi di significato comprensibile, pretende di costruire una sorta di opera d’arte di sé mediante segni visibili – il tatuaggio va esibito indipendentemente dalla parte del corpo ri-coperto e ri-creato- che individuano e rendono diversi da ogni altro. Falso, peraltro, giacché molti motivi sono ricorrenti. Nelle donne farfalle, rose e serpenti; tra gli uomini animali, teschi, riferimenti alla forza o a  un‘appartenenza – in genere sportiva o musicale- raramente politica, etnica , culturale.  

Unici e omologati
Si pretende di essere unici, ma all’interno di un universo omologato, scarnificando il corpo in un’estetica spesso incomprensibile. Del resto, i modelli di riferimento di massa sono il cinismo, il successo, il nomadismo (sentimentale, valoriale, esistenziale) di tribù postmoderne nowhere (di nessun luogo, ma anche di nessuna appartenenza o identità, se non il culto di sé) , chiuse in un orizzonte fatto di divertimento ( il significato della parola è dilatato e oscuro), vacanza, ossia assenza, tempo sospeso, adeguamento ai modelli del moloch mediatico e del circo pubblicitario. L’individualismo che combatte come può- all’interno di un sistema mai posto in discussione- l’insignificanza della massa, nemico delle responsabilità, vive nell’esigente rivendicazione di diritti sempre nuovi, da porre a carico di tutti. Un soggettivismo massificato, ansioso, il cui veicolo è la pubblicità, che crea e ricrea l’insoddisfazione del desiderio frustrato. 
L’apparato pubblicitario è il mercante dello scontento – a ogni desiderio o capriccio realizzato ne segue immediatamente un altro- in cui la megamacchina ha il compito di convincere che ogni scelta è nostra e solo nostra, alimentando l’apparenza di una singolarità che mai è stata tanto eterodiretta, sorvegliata, orientata. La pubblicità, anima del sistema, non fa appello alla ragione ma all’emozione. Come qualsiasi altro tipo di suggestione colpisce emotivamente per sottomettere intellettualmente.
I suoi metodi soffocano le capacità critiche come un sedativo o un’ipnosi. Sono più pericolosi per la libertà di molti attacchi aperti contro di essa, disse lo psicanalista Erich Fromm quando la pubblicità non aveva raggiunto la perfezione tecnica e la capacità di improntare ogni aspetto dell’esistenza sino a colonizzare il linguaggio, modificare il comportamento e la visione della vita. Un autentico Gulag mentale in cui la menzogna si trasforma in scienza i cui esperti detengono un formidabile potere, per conto dei loro mandanti, commerciali, politici, mediatici.  

Tecniche di condizionamento
Walter Lippman fu uno dei maestri della creazione dell’uomo-massa convinto della propria singolarità. Elaborò la tesi della “rivoluzione nell'arte della democrazia". Si trattava di tecniche di condizionamento “utilizzate per costruire consenso, cioè produrre nella popolazione l'accettazione di qualcosa inizialmente non desiderato". L’individuo massificato che fa le stesse cose di ogni altro convinto di averle scelte è scopo di se stesso, agisce in base all’interesse, non riconosce alcuno sopra di sé. Il cittadino geloso della sua individualità è stato l’invenzione delle prime rivoluzioni industriali e civili, ma non è  adatto al tempo nostro, unidimensionale, feticista. Bisognava inventare una figura ulteriore, alla quale far balenare nuovi diritti da godere azzerando ogni dimensione della vita diversa da quella del piacere, della soggettività, della soddisfazione immediata di desideri ed impulsi. Neoplebe desiderante è la definizione di Costanzo Preve. 
Persona è chi ha coscienza del suo “essere nel mondo “, l’individuo è l’unità che non si può dividere (in- dividuo), massa evoca assenza di forma, il consumatore è il soggetto che tutto usa ed elimina (consuma cioè esaurisce). L’attore non protagonista di una società che vive a perdifiato, inventa, produce e getta via. Il consumatore è fungibile, egli stesso un prodotto, fatto per acquistare merci da trasformare in rifiuti: oggetti inutili, consumati; un puntino il cui compito è avere desideri indotti da soddisfare acquistando oggi quel che non gli piacerà domani, ipnotizzato sino a fargli credere che ogni capriccio è un diritto scelto liberamente.
L’anonimato plumbeo va contrastato facendo il contrario di quanto la megamacchina prescrive. A partire da riassumere la stazione eretta minacciata dalla postura curva sugli apparati artificiali di cui diventiamo il prolungamento, e dalla volontà di riappropriarsi del pensiero: personale, coltivato lontano dal baccano. La sindrome FOMO è il triste timore di non essere come gli altri, marionette i cui fili sono tenuti dai padroni dell’apparato su cui teniamo fissi gli occhi.  Sfuggire all’anonimato significa non essere diversamente uguali, come ci vogliono i padroni universali.