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Perchè l'inversione USA in Ucraina

di Enrico Tomaselli - 16/07/2025

Perchè l'inversione USA in Ucraina

Fonte: Enrico Tomaselli

Cosa c'è dietro la giravolta di Trump, sulla guerra in Ucraina? A mio avviso, la spiegazione si trova in due diversi fattori. Innanzi tutto, c'è da dire che l'attuale amministrazione USA sapeva benissimo, già prima dell'insediamento, che la guerra era perduta. Ma nella storia degli Stati Uniti c'è più di un caso in cui, benché convinti della inevitabile sconfitta, hanno comunque trascinato a lungo le cose. Washington, ad esempio, sapeva che la guerra del Vietnam era persa, già qualche anno prima che si decidesse al ritiro; altrettanto può dirsi per l'Afghanistan. In entrambe i casi, erano coinvolti direttamente, boots on the ground; in entrambe i casi il nemico era infinitamente più debole - e gli USA ancora molto forti. A ritardare la presa d'atto della sconfitta c'era la reticenza ad ammettere che un piccolo paese (come il Vietnam del nord), e gruppi di guerriglieri come i vietcong ed i talebani, potessero battere la superpotenza. Ma in fin dei conti, proprio per l'importanza assai relativa di questi nemici, quando i pochi pro sono stati superati abbondantemente dai contro, non c'è stata difficoltà a mollare tutto in fretta e furia. Ovviamente la questione in Ucraina è però diversa. Gli USA non sono coinvolti con truppe sul terreno, ma il nemico è troppo rilevante per archiviare la sconfitta con facilità.
Fondamentalmente, la Casa Bianca - e Trump in particolare - riteneva di poter convincere la Russia a porre fine al conflitto, in un modo soddisfacente per Washington, in cambio di qualche vaga promessa (fine delle sanzioni, restituzione dei fondi bloccati, magari un accordo sull'Artico…). Ma non avevano capito che Mosca è sì interessata alla riapertura di un dialogo, ma considera secondari gli asset su cui si incentra la proposta statunitense; per i russi, la questione fondamentale era ed è la sicurezza dei confini occidentali, e più in generale un equilibrato riassetto della sicurezza reciproca in Europa. Cose su cui Trump ha pochissime carte, perché l'isterica russofobia degli europei non è domabile. E molto abilmente Trump, con mossa da judoka, ha usato proprio questa spinta europea per mettere in ginocchio ai suoi piedi gli alleati (volete che la guerra continui? le armi che non avete ve le vendiamo noi).
Per alcuni mesi, Washington ha interpretato l'apertura moscovita come una possibilità di spuntare un accordo favorevole, magari alternando il bastone e la carota. Ma alla fine Trump ha dovuto prendere atto che Mosca è fermissima sui suoi obiettivi, e né l'uno né l'altro metodo hanno funzionato per ammorbidirla. A questo punto, tanto vale capitalizzare al massimo (letteralmente, in dollari) la continuazione del conflitto - finché dura - ed il dopo guerra. Quindi accordo su minerali, fonti energetiche ed infrastrutture con Kiev, vendita di armi agli europei, contributo alla NATO al 5% del PIL… e intanto BlackRock si ritira dai progetti di ricostruzione post-bellica: non è un buon affare, meglio lasciarne l'onere ai soliti fessi europei.
A sua volta, il vertice BRICS+ di Rio è suonato come un campanello d'allarme, spingendo ulteriormente Washington ad utilizzare il conflitto ucraino come pretesto per una guerra commerciale globale. A preoccupare Washington, infatti, non è stata soltanto la riaffermata volontà di procedere verso una progressiva de-dollarizzazione degli scambi, quanto il fatto che un leader non proprio avverso agli USA come Lula abbia invece assunto una posizione decisamente dura. E soprattutto il timore che ciò possa aprire ad una penetrazione dei BRICS+ in America Latina, ovvero il cortile di casa degli Stati Uniti.
La partita ucraina, quindi, è sempre meno rilevante in sé, per gli USA, ma assume un ruolo nel quadro strategico del confronto egemonico. Perché la minaccia non viene più soltanto dalle capacità militari russe, cinesi, iraniane e coreane, ma dalla crescente capacità di questi paesi di aggregarne altri intorno a sé, minacciando l'altro strumento cardine del dominio statunitense, il dollaro.