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A ciascuno il suo

di Elena Colombari - 23/12/2010

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E così, verso le 17  di ieri,  Giorgio Napolitano, ha ricevuto undici studenti “delegati” dai centomila e più che avevano protestato per le strade d’Italia per rischiarare il loro buio avvenire.
Ci immaginiamo l’inconsueta lunga scena andata in onda al Colle.
Lentu pede il Presidente Buono si è avvicinato alla delegazione e ha ascoltato, con espressione più che compresa, le lagnanze dei giovani che contestano la cosiddetta riforma Gelmini. Poi, indossata là per là una vulpinam pellem, ha dichiarato tutta la sua solidarietà per le nuove generazioni espulse non soltanto da studi decorosi che premino il merito ma che siano volano di reale lavoro per il bene comune. Quindi i saluti e gli auguri di prammatica: siamo quasi alla vigilia di Natale e tutti - dicunt - dobbiamo essere buoni.
Come si può spiegare perché mai nessuno degli undici, o degli altri, quelli che sfilavano a Palermo e a Torino, a Milano e a Roma, abbia avuto l’ardire di rovinare la santa vigilia presidenziale chiedendo a viva voce al Capo dello Stato, mettiamo, una “vibrante protesta contro il nepotismo” nelle università d’Italia?
Perché il Presidente Senza Macchia non li avrebbe nemmeno ricevuti. Non avrebbe mai potuto proprorre ad esempio, infatti, le brillanti carriere dei suoi due eredi, Giulio e Giovanni, implumi vincitori di concorsi con monografie arrabattate il primo e in carriera nello Stato il secondo.
Unicuique suum, il buon Padre avrebbe sentenziato.