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Il sostegno dell’ex piccì (allora Ds) alle destre e agli Usa contro Chávez

di Fulvio Grimaldi - 24/12/2010

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L'Italia, come spesso di questi anni e decenni in altri casi, ha fatto una bruttissima figura al cospetto del referendum presidenziale venezuelano del 14 agosto 2004. E mica il governo, mica i forzaitalioti, anzi, costoro hanno riconosciuto, sulla scia di tutto il mondo, la vittoria di Chávez, magari contorcendosi dagli spasmi. Qui, in Venezuela c’è un giornale di destra, massimo organo dell’oligarchia, una specie di “Libero” con meno indegnità professionale, che si chiama “El Nacional”, fonte prediletta, anzi, unica, dell’Ansa. Nei giorni del dopo-referendum pubblicava con fierezza, uno accanto all’altro due articoli omologhi. Uno di tale famoso costituzionalista Hermann Escarrá, faccia e prosa marcescente alla Bondi (e basterebbe), che, vista la caduta di tutte le opzioni per la rivincita, si rivolge alle Forze Armate e, democraticamente, le invita a ricordarsi che non devono essere «leali a un uomo, bensì alla nazione, specie quando le istituzioni sono delegittimate». Un chiaro invito al golpe e, se non funziona, ci sono sempre i paramilitari riabilitati e i militari dell’allora presidente colombiano Álvaro Uribe Vélez.
Accanto, appunto, foto e parole, entrambe rivoltanti nel contesto, di tale Ignazio Vacca, dirigente dei Democratici di Sinistra [l’attuale Partito Democratico], mi auguro, per il residuo decoro della famiglia, non parente di Beppe (Istituto Gramsci).
Vacca, osservatore internazionale del referendum, non ufficiale per eccesso di sputtanamento, ma invitato e accreditato dalla Coordinadora Democrática, la cupola mafiosa dell’opposizione, cioè da quelli del golpe dei 17 morti ammazzati, della serrata che ha fatto perdere 10 miliardi di dollari al Paese e la salute a tanti deboli, degli attentati terroristici di questa primavera, del rifiuto di stare a qualsiasi regola del gioco. Vacca: uno dell’ex piccì!
Peggio di questo cialtrone diessino e del suo capo opusdeista solo il cardinale Rosalio José Castillo Lara – presidente dell’Amministrazione per il Patrimonio della Santa Sede e presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano – cui è stata messa a disposizione, per le sue farneticazioni revansciste, nientemeno che Radio Vaticana. Il prelato, che figurava tra i papabili e sicuramente sarebbe degno del predecessore finto pacifista e disintegratore della Jugoslavia e dei poveri di America Indio-afro-latina, si dice sicuro del 65% conquistato dal “sì” alla revoca di Chávez, illuminato come tanti dallo Spirito Santo, e afferma di sapere che ai poveri Chávez ha dato 60 dollari a testa perché votassero “no”. Moltiplicate 60 per quasi sei milioni e avrete gli introiti petroliferi del Paese per un semestre. Costo un po’ alto per uno che ha dietro da sei anni la maggioranza del popolo. Del resto, la conferenza episcopale del Venezuela non è stata da meno: guai a non dissipare i dubbi, a non cancellare le ombre del voto...
Ho parlato con tanti amici qui: Rodrigo Chávez, coordinatore nazionale dei Circoli Bolivariani, i soviet di questa rivoluzione; Héctor Navarro, ministro dell’istruzione superiore; Efraim Andrade, ex ministro e iniziatore della prima vera riforma agraria mai fatta in America Indio-afro-latina; il deputato Willian Lara, coordinatore nazionale del MVR (Movimiento Quinta República, il partito di Chávez), organizzatore straordinario della campagna elettorale, braccio destro di Chávez; i compagni del Partido Comunista de Venezuela; la coordinatrice nazionale delle Escuelas Bolivarianas, pure una compagna; l’altro deputato Rafael Lacava Evangelista [dal 2007 al 2009 Ambasciatore in Italia]. Una squadra di tutto rispetto per una rivoluzione di tutto rispetto.
Dovreste vedere come la TV di Stato e il quotidiano della rivoluzione “Diario VEA” trattano la resistenza irachena, con che rispetto, con che dettaglio, con che gratitudine per questa eroica avanguardia della lotta antimperialista. Nella ricorrenza, per esempio, paginone centrale e grandi servizi tv sul 60° anniversario della conquista di Parigi da parte dei partigiani francesi, commossi ricordi di García Lorca, assassinato in quel giorno del 1936, e della battaglia rivoluzionaria dei repubblicani di Spagna. C’era pure la foto del comandante Luigi Longo. E ora qui ci si presenta un Ignazio Vacca!
Due milioni e mezzo di ettari sottratti alla manomorta terrateniente, un milione e mezzo di cittadini alfabetizzati in un anno, un presidio sanitario portato a 12,5 milioni di venezuelani, duecentomila giovani strappati in un anno all’abbandono scolastico e restituiti al diploma, alla maturità e alla laurea. Centinaia di migliaia di case “abusive” diventate “casa mia”. Ho visto Chávez consegnare i titoli di proprietà nel ranchito Nega, sulle pendici che precipitano su Caracas. È stata una di quelle volte in cui si è potuta percepire la stretta d’affetto e fiducia in cui il popolo chiude e protegge il “suo” presidente.
Mi ha detto Rafael Lacava Evangelista, che pure frequenta Bertinotti, Gennaro anagraficamente Migliore, un Marco Consolo che si occuperebbe (a noi pare un po’ clandestinamente) di Sud America, di trovare inconcepibile che si possa stare insieme a un D’Alema che qui appoggia apertamente reazionari, imperialisti e capitalisti, che ha bombardato e squartato la Jugoslavia, che accetta altre guerre, che si è dimostrato neoliberista spinto. A questi venezuelani qui, non credo che i compagni di Rifondazione Comunista abbiano raccontato cosa dicono e fanno a proposito di Cuba (e di chi Cuba difende con l’arma della verità), o la massima del detto Migliore che «Intifada fino alla vittoria non sarà mai la nostra parola d’ordine». Non gli sarebbe convenuto... E, infatti, Lacava aggiunge: «Noi qui abbiamo vinto e da sei anni vinciamo perché al popolo abbiamo proposto un programma antagonista rispetto alla borghesia, per una società totalmente diversa, non ci siamo confusi con i residui del vecchio regime: Acción Democrática o Comité de Organización Política Electoral Independiente (socialcristiani, si fa per dire), con un corredo di ex trotzkisti che ancora si chiamano Bandera Roja e altri fasulloni detti Movimiento al Socialismo, non siamo stati moderatamente diversi. Avremmo perso. A copiare ci si rimette sempre». C’era da pensare a Treu, Bersani, Turco, Fassino... e ai loro futuri alleati.
Ho fatto un bell’incontro al Consejo Nacional Electoral. C’era la più prestigiosa figura della sinistra sudamericana, la più rivoluzionaria, quella che ai portoalegristi d’antan sbatté la porta in faccia quando questi no-global e “disobbedienti” rifiutarono la presenza di Fidel e delle FARC colombiane. L’anno dopo, poi, venne lì Chávez, fu un trionfo e dei “disobbedienti” si parlò sempre meno, con il salto di qualità poi visto a Mumbai. Hebe Pastor de Bonafini, la madre delle Madri di Plaza de Majo, qui anche lei come osservatrice, accanto all’altro grande, Eduardo Galeano, mi racconta come fosse assai perplessa, anzi contraria, su Chávez, «per via delle sue origini militari». E aggiunge: «Ma da quando ho capito chi fosse Chávez, cosa volesse e cosa facesse, lo vedo con occhi ben diversi: il suo è un processo che aiuta tutti noi latinoamericani, un processo rivoluzionario impegnato, intelligente e ingegnoso. Il presidente Chávez è un saggio, un tipo che se se ne ascoltano discorsi, si capisce quello che dice, si sente uno che sa molto, che ha letto, che si spiega in modo che lo si comprenda.
Sono pochi i presidenti che hanno queste qualità: Fidel Castro e Chávez, non ne conosco altri. È così che vediamo il processo bolivariano con occhi assai positivi. Questo presidente non retrocede, va avanti, cammina, cammina, cammina... e avanza. C’è una bella differenza, del resto, tra militari argentini e militari venezuelani. I primi vengono dalla borghesia, dai terratenientes, i secondi, da quando Chávez e i suoi vi lavoravano negli anni ’80, sono figli del popolo, dei poveri e dei ceti medi».
Nelle parole di Hebe si sente l’eco del grande progetto bolivariano: l’integrazione continentale, da Cuba alla Terra del Fuoco, a cominciare subito con un Mercosur che neutralizzi l’Área de Libre Comercio de las Américas e tenga il fiato sul collo al vacillante Lula; con un Petroamérica, ente pubblico degli idrocarburi, alimentato soprattutto dal petrolio venezuelano e che si impegni all’autosufficienza continentale, ma anche allo sviluppo sociale; con un Banco, chiamatelo pure “etico”, che si opponga agli strozzini finanziari del Nord e investa e finanzi secondo criteri di emancipazione sociale e di sovranità nazionale.
Ma se continuano a reggere e a vincere i partigiani iracheni, se non li abbandoniamo, lobotomizzati dalle provocazioni e dagli inquinamenti allestiti da centrali che da sempre fanno scaturire squadroni della morte e dei sequestri contro chi resiste, il progetto del Blocco di Potere Continentale” avanzerà. E forse sarà la svolta definitiva per quello che da Monroe in poi doveva essere un “cortile di casa”.
*: Fulvio Grimaldi è un giornalista comunista scomodo ed emarginato; sulla sua figura cfr. Rinascita dell’8 maggio 2010 (a cura di F.H.)
“Nuestra América” (pp. 11-12), Supplemento a “Proteo” N. 1/2005