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Cicadine, Ginkgoine, Conifere: ma quante piante fossili prosperano oggi, con buona pace di Darwin

di Francesco Lamendola - 06/06/2011




Vi è mai capitato di ammirare un Ginkgo Biloba?
Siamo certi di sì; non è poi così raro incontrare questo magnifico albero dal tronco possente, dalla chioma espansa e dalle foglie caratteristicamente divise in due lobi (da cui il suo nome) in qualche giardino o in qualche viale alberato di periferia.
È originario della Cina, nella cui lingua viene designato col nome di “albicocco d’argento”: rappresenta l’unica specie tuttora vivente della famiglia delle Gingkoine.
La sua classificazione è recente, poiché data appena dal 1898; mentre il primo a descrivere accuratamente questo albero bello e strano è stato il botanico e naturalista tedesco Engelbert Kaempfer (1651-1716), che ebbe l’occasione di viaggiare a lungo nei Paesi dell’Estremo Oriente.
I suoi semi non sono protetti dall’ovario: quindi, nonostante le apparenze, non appartiene alle Angiosperme, ma alle più antiche e primitive Gimnosperme, le piante che dominarono la superficie terrestre in tempi antichissimi.
Quanto antichi, esattamente? Ebbene, si stima che il Ginkgo non abbia un’età inferiore ai 250 milioni di anni, vale a dire che risale ai primi tempi del Triassico, la più antica delle epoche del Mesozoico e quasi ai confini del Permiano, ossia del Paleozoico.
Un’antichità semplicemente impressionante: diciamo che il Ginkgo è un albero che, in base alle teorie evoluzioniste, presentate come verità sacrosanta da Darwin in poi, NON DOVREBBE NEPPURE ESISTERE, perché il semplice fatto della sua esistenza suona come una nota stonata nel bel concerto che quei signori ci stanno suonando da un secolo e mezzo.
Duecentocinquanta milioni di anni sono, geologicamente parlando, un tempo enorme: basti dire che la quasi totalità del paesaggio vegetale, così come noi oggi lo vediamo e lo conosciamo, non risale più indietro delle ultime glaciazioni del Quaternario, che coprono un periodo misurabile solamente in alcune migliaia di anni.
La scoperta del Ginkgo come specie vivente fu talmente sbalorditiva da lasciare a bocca aperta i botanici che per primi si imbatterono in questo imbarazzante “fossile vivente”: fino a quel momento, lo si conosceva solo attraverso le testimonianze paleontologiche.
Fu tale il rumore per il “ritorno” di quest’albero possente, che può innalzare la vetta fino a quaranta metri d’altezza ed è sacro ai monaci buddhisti, che il sommo Goethe volle dedicargli una poesia, traboccante di estatica ammirazione.
Si dice anche che un antico Gingko rimase calcinato, ad Hiroshima, dal bombardamento atomico del 1945, in mezzo a un desolato paesaggio di case annerite e distrutte; ma che, appena tre anni dopo, delle foglioline cominciarono a spuntare dai suoi rami ed oggi quest’albero meraviglioso è effettivamente rinato, testimoniando una forza e un amore per la vita che ha saputo trionfare della peggiore catastrofe mai prodotta nella storia mondiale dalla follia umana.
I Gingko presenti oggi in Italia derivano tutti, probabilmente, da quelli introdotti per la prima volta nell’Orto Botanico di Pisa; e, anche se non raggiungono le straordinarie dimensioni dei luoghi originari, ove il loro diametro assume proporzioni paragonabili a quelle delle gigantesche sequoie nordamericane, rappresentano comunque un elemento di straordinaria bellezza nel paesaggio vegetale, con una nota indefinibile di esotismo, non tanto un senso geografico, quanto in senso temporale.
Dicevamo che il Gingko Biloba appartiene a una delle quattro classi che formano le Gimnosperme (e quindi non possiede fiori, nel senso che comunemente diamo a questo termine, ma delle strutture chiamate coni o strobili); le altre tre sono le Pteridosperme o Cicadopside, le Conifere e le Gnetali.
Le Pteridiosperme sono le più interessanti per la loro antichità e perché comprendono forme che si avvicinano, per molti aspetti, alle Felci, altre piante decisamente arcaiche.
Insieme alle Alghe, ai Muschi e ai Licheni, le Felci sono piante che non si riproducono per mezzo di semi, ma di spore. Come negli Equiseti, nelle Felci si osserva l’alternanza di una generazione sessuata (gametofitica) e di una generazione asessuata (sporofitica).
Dei quattro ordini che compongono le Pteridosperme, due, le Pteridospermali e le Cicadofilicali, si sono estinte alla fine del Permiano, circa 250 milioni di anni fa; un altro, quello delle Bennettitali, si è estinto più tardi, verso la fine del Cretaceo (e quindi del Mesozoico), circa 65 milioni di anni fa; infine l’ultimo, quello delle Cicadali, è sopravvissuto fino ad oggi ed è rappresentato dalla bellezza di circa quaranta specie viventi.
Di queste, alcune sono coltivate nei nostri Paesi a scopo ornamentale, ma in genere provengono dall’Asia orientale e dall’America tropicale.
Le Conifere comprendono due ordini: quello delle Cordaitali, estinto alla fine del Permiano (come le Pteridospermali) e quello delle Coniferali, tuttora ben prospero e formato da qualcosa come 600 specie: singolare mescolanza, dunque, di forme preistoriche e di forme viventi.
La classe delle Gnetali è comparsa alla fine del Paleozoico (circa 248 milioni di anni fa) e sembrerebbe fare da ponte fra le Gimnosperme e le Angiosperme; vi appartengono specie estremamente rare e interessanti, come la “Welwitschia mirabilis” del deserto del Nambi (in Namibia, ex Africa Sudoccidentale tedesca), formata da sole due foglie pelose a continuo accrescimento, che possono raggiungere la lunghezza spropositata di parecchi metri.
Scoperta dal ed esploratore botanico austriaco Friederich Welwitsch (1806-1872), fra le altre stranezze questa pianta è difficile da classificare come un’erba o come un vero e proprio albero, possedendo anche una parte legnosa; alcuni esemplari viventi sono così antichi che, in lingua afrikaans, essa viene denominata “la pianta che non può morire”.
La datazione col metodo del Carbonio 14, infatti, ha indicato, in taluni casi, un’età non inferiore ai 2.000 anni: ciò significa che si tratta degli esseri viventi più antichi che si conoscano in natura; esseri che già affondavano le radici nell’arido terreno presso la foce del fiume Cunene, quando Giulio Cesare celebrava il trionfo su Vercingetorige dopo la conquista della Gallia transalpina e quando Gesù Cristo predicava la sua dottrina nella Giudea, al tempo del procuratore romano Ponzio Pilato.
La classe delle Gingkoali, infine, comprende un solo ordine, originario probabilmente del Paleozoico, ma affermatosi nel Mesozoico; e, come si è visto, una sola specie vivente: il Gingko Biloba, domestico in Cina e in Giappone.
Scrivono il paleontologo I. M. Van Der Vlerk, già docente all’Università di Leida, e il geologo Ph. H. Kuenen, già professore all’Università di Groninga, entrambi membri della Reale Accademia olandese delle Scienze, nel libro «Giornale di bordo della Terra. La ricostruzione della preistoria geologica del pianeta Terra» (titolo originale: «Logboek der Aarde», Hilversum, W. De Haan; traduzione italiana di Luigi Castiglione, Milano, Editrice Massimo, 1972, pp.  208-10):

«[Nel Carbonifero], fra le piante fossili già collocate sotto il nome di “felci”, compaiono anche delle piante che hanno sì delle foglie come le felci, ma che si sono apparentemente riprodotte per mezzo di “semenze”. Si tratta delle Pteridosperme. Non è a caso che abbiamo posto tra virgolette il termine “semenza”. Infatti, si tratta sempre di sapere se davvero queste piante avevano delle semenze. Il fatto che non sia mai stato trovati un germe che non sia un embrione,dà infatti adito a qualche sospetto. Proprio per questo, alcuni ritengono che il bottone seminale abbia direttamente dato i natali ad un nuovo individuo, che non avrebbe in tal caso conosciuto lo stadio intermedio della “semenza”.
Mentre queste “felici a semenza” erano apparse già durante il Devoniano superiore e non erano comparse che durante il Permiano inferiore, apparve “un po’ più tardi” sulla Terra cioè nel Carbonifero inferiore, un gruppo di piante di cui vale ugualmente la pena di interessarci. Intendiamo parlare delle Cordaite, alberi da 30 a 40 metri di altezza, le cui foglie potevano raggiungere un metro di lunghezza e ed una larghezza di venti centimetri. Questi alberi sono arrivati a resistere per un tempo molto più lungo delle Pteridosperme, e cioè fino all’inizio del Trias. La cosa più curiosa è che questi grandi alberi differivano totalmente nel loro aspetto esteriore dalle Pteridosperme e presentavano, per quanto concerne le “semenze”, una forte rassomiglianza con questo gruppo vegetale.
Un altro gruppo vegetale oggi scomparso, che fece la sua apparizione più tardi, è quello delle Bennettitine (Permiano-Cretaceo). Queste piante occuparono nella flora giurassica un posto predominante, che non dovettero cedere alle Conifere che durante il periodo Cretaceo. Esteriormente, esse avevano molto delle Cicadine che vivono attualmente nelle contrade tropicali e subtropicali, ben conosciute per il fatto che i loro rami secchi servono a confezionare delle corone mortuarie. Esiste tuttavia una differenza fondamentale tra le Bennettitine e le Cicadine.  Mentre in queste ultime gli organi di riproduzione, maschi e femmine, sono separati gli uni dagli altri, nelle Bennettitine essi erano riuniti in un solo fiore.

Questi tre gruppi scomparsi formano, con le Cicadine, le Gingkoine e le Conifere, che noi conosciamo ancora attualmente, quelle che, nella nuova nomenclatura, sono chiamate Mesocormofite. In questi tre gruppi, la Gingko, chiamata da Darwin “il fossile vivente”, non è più rappresentata, nella flora recente, che da una sola specie, la “Gingko Biloba”. È l’albero sacro dei buddhisti. Anche nei nostri paesi, è usata come essenza ornamentale. Constatiamo con stupore che questi tre gruppi recenti hanno fatto anche presto la loro apparizione sulla Terra. Le Cicadine datano probabilmente dal Carbonifero; le due altre, la Gingko e le Conifere, datano probabilmente dal Devoniano. Questo significa che, se vogliamo stabilire la parentela esistente tra le specie disperse e quelle tuttora esistenti, occorrerà cercar loro un antenato comune che sia vissuto prima del Devoniano, Da quell’antenato si sono sviluppate le Gingko, le Conifere e le Cordaiti. Per le Cicadine, pensiamo che esista una parentela, da una parte con le Pteridosperme, dall’altra con le Bennettitine. Non vi è neppure da escludere una serie evolutiva Pteridosperme-Cicadine-Bennettitine.»

Ed ecco i nostri evoluzionisti alle prese con un bel problema.
Il Ginkgo, dunque, svettava nei boschi del Mesozoico all’epoca dei grandi Dinosauri ed era contemporaneo di creature animali dalla taglia gigantesca, che si aggiravano nelle foreste di Gimnosperme oltre 200 milioni di anni fa.
Le scomode testimonianze naturalistiche dei cosiddetti “fossili viventi”, peraltro, non provengono solo dal mondo vegetale, ma anche da quello animale.
A suo tempo abbiamo rievocato la sensazionale riscoperta, nel 1938, nelle acque sudafricane, del Celacanto, un pesce primitivo (“Latimeria Chalumnae”), cui alcuni paleontologi assegnano un’età di 65 milioni anni, mentre altri spingono indietro questa datazione fino a 300 e persino a 400 milioni di anni fa (cfr. «La resurrezione del Celacanto, fossile vivente dei mari», consultabile sui siti di Edicolaweb e di Arianna Editrice).
Ma l’elenco dei fossili viventi sarebbe lungo e potrebbe continuare per un pezzo: a cominciare da due specie viventi, gli squali e i coccodrilli, che siamo abituati a considerare senza stupore, mentre invece la loro presenza dovrebbe destare in noi la più grande meraviglia, dal momento che non mostrano significative differenze con i loro congeneri fossili che hanno lasciato traccia di sé nelle rocce di 300 milioni di anni fa.
Crediamo ce ne sia abbastanza per autorizzare la domanda: se l’evoluzionismo è diventato non più una teoria scientifica come un’altra, ma la verità ufficiale della scienza biologica moderna, come va che specie viventi, sia vegetali che animali, sono rimaste perfettamente identiche a se stesse per decine e centinaia di milioni di anni, arrivando vive e vegete fino a noi, in barba a tutte le affermazioni dei solerti darwinisti e neo-darwinisti?
Come mai queste specie non sono scomparse, non si sono radicalmente trasformate in nuove specie, totalmente diverse da quelle originali?
Come è possibile che, negli stessi ambienti naturali e con le stesse condizioni climatiche che avrebbero determinato l’evoluzione e la trasformazione di tutte le altre specie, queste, invece, sono rimaste “ferme”, immobili, spaventosamente fedeli alle proprie forme originarie?