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Esistono dei luoghi malvagi?

di Francesco Lamendola - 26/09/2011



 

Sappiamo che esistono persone malvagie e creature malvagie non umane; esistono anche luoghi che si possono definire malvagi?

Un luogo può essere malvagio in se stesso, come possono esserlo degli esseri umani e degli esseri non umani, nonché degli spiriti disincarnati?

Oppure un luogo può essere contaminato, infettato, impregnato dal male, dal male che vi è stato pensato, voluto, perpetrato a danno di qualcuno, magari in un passato più o meno remoto, lasciandosi dietro una lunga di dolore e di sangue?

È noto che il tema del luogo malvagio è un “topos” della letteratura gotica, quasi una inversione che il Romanticismo nordico ha deliberatamente compiuto nei confronti del classico “locus amoenus” della poesia greca e latina; una sorta di vendetta contro la solarità, l’armonia, la bellezza della natura, plasmata amorevolmente dalla mano dell’uomo mediante alberi coltivati, giardini fioriti, fontane zampillanti entro grotte muscose.

Ma si tratta solamente di un “topos” letterario romantico, oppure esso, a sua volta, è il riflesso, il ricordo, l’archetipo di un qualcosa di reale, di un qualcosa che gli uomini hanno sempre sperimentato, sin dalla notte dei tempi, sussurrandoselo con circospezione nelle notti ventose, intorno al fuoco, quasi temendo di essere uditi da qualcuno?

Per gli antichi, è cosa nota, esistevano i luoghi sacri, abitati dalle divinità (maggiori o minori); mentre, per il cristianesimo, esistevano ed esistono dei luoghi benedetti, che conservano un’eco, e talvolta più di un’eco, della presenza di Dio e della Madonna: tali sono la grotta di Lourdes, ai piedi dei Pirenei; il villaggio di Fatima, in Portogallo; il monte di Medjugorje, fra le valli dell’Erzegovina; e numerosi altri.

Le chiese cristiane, poi, come pure i templi pagani, non venivano costruiti a caso: tanto la posizione che l’orientamento astronomico erano frutto di una scelta accurata, in base a studi matematici e a pratiche sacre e divinatorie da parte di sacerdoti che possedevano, un po’ come i rabdomanti, l’arte perduta di percepire le energie - positive e negative  della Terra.

Per gli uomini dell’antichità, infatti, così come per quelli del Medioevo, la Terra era una realtà viva, animata, popolata da mille e mille presenze invisibili e, tuttavia, intensamente operanti, ora in senso benefico, ora malefico; essi sapevano che esistono dei reticoli e dei nodi energetici che consigliano, oppure dissuadono, colui che si accinga a edificare una casa, un tempio, un villaggio, nella scelta del luogo opportuno; e che potenti forze spirituali devono essere interpellate, ringraziate, invocate ed, eventualmente, esorcizzate, prima di procedere alla costruzione.

La civiltà moderna ha dimenticato, ignorato o ridicolizzato questi saperi; e, coerentemente con la sua visione quantitativa e meccanicista del reale, ha considerato la Terra come un pianeta inerte, del quale l’uomo può disporre a piacere e nel quale le uniche forze di cui si deve tener conto sono quelle di natura puramente materiale, quantificabili e, possibilmente, prevedibili.

Si è perduta, in tal modo, la nozione della sacralità dei luoghi: tanto che perfino le chiese, oggi, vengono di fatto costruite a casaccio, in qualunque sito e con qualunque tipo di orientamento astronomico; ci si è scordati che non tutti i luoghi si equivalgono e che quelli destinati alla preghiera, al culto, alla meditazione, non sono scelti dall’uomo, ma che l’uomo si limita a seguire le indicazioni che riceve dall’alto per la loro costruzione.

Ebbene: così come esistono dei luoghi santi, esistono anche dei luoghi maledetti, dei luoghi abbandonati da Dio e frequentati dai diavoli, dei luoghi malvagi?

Il Monte Brocken, in Germania, nella notte fra il 30 aprile e il 1° maggio - la notte di Valpurga - , era ritenuto il luogo in cui si davano convegno le streghe con i diavoli per celebrare il Sabba e adorarvi Satana, il Principe delle Tenebre; altro luogo stregonesco era considerato la chiesa sconsacrata di Blokula, in Svezia.

Il folklore europeo ha tramandato una quantità di luoghi maledetti o caratterizzati da una presenza diabolica; in altri casi, è stata la letteratura a proiettarvi le sue ombre gotiche: così per il castello di Vlad Tepes, in Transilvania, il quale, sotto il riflesso del romanzo di Bram Stoker, si è colorito della malefica presenza di Dracula, il Vampiro.

Ma come orientarsi in mezzo a tutte queste suggestioni, come vagliare ciò che può esservi di autentico in questi racconti e in queste leggende?

Come fare per separare la crusca dalla farina; come riuscire a distinguere la suggestione, la diceria, la letteratura fantastica, da ciò che rimanda alla nuda realtà dei fatti: fatti inquietanti, misteriosi, talvolta paurosi?

Le statistiche dei sinistri automobilistici dicono che, in taluni luoghi, si verifica una concentrazione d’incidenti mortali: e non sempre si tratta di luoghi oggettivamente pericolosi, come possono esserlo delle curve insidiose, delle strade frequentemente invase dalla nebbia, degli incroci mal strutturati e sovraccarichi di traffico.

A volte sembra trattarsi di qualcosa di diverso: di qualcosa d’inspiegabile; e vi sono dei casi in cui la lunga e triste sequenza degli incidenti si intreccia con oscure presenze, con apparizioni di fantasmi, non sempre riconosciuti, sul momento, come tali e non sempre solamente di esseri umani, ma anche, ad esempio, di automobili, di camion o di autobus.

Talvolta, in concomitanza con tali fatti luttuosi, si registrano testimonianze che lasciano perplessi; segnalazioni di creature mostruose, di esseri pelosi sbucati fuori dai boschi, oppure di creature rettiliane emerse dai fiumi; oppure ancora, avvistamenti di strane luci e bagliori nel cielo notturno, perfino di dischi volanti che evoluiscono in maniera inspiegabile e che, posandosi a terra e poi ripartendo, lasciano dietro a sé delle tracce caratteristiche e indubitabili, quali l’erba appiattita o bruciata in mezzo ai prati.

Tutti questi elementi, tratti dalle cronache e dalle statistiche, sembrano indicare che, su talune località - incroci o tratti stradali, rive di laghi e di fiumi, lande, brughiere, vecchie case in rovina o tuttora abitate - è come se incombesse un sortilegio; come se delle forze negative, di origine non umana, facessero sentire la loro maligna presenza; come se tali forze fossero vive e operanti, suscettibili non solo di incutere un senso di disagio e perfino di spavento, ma anche dei veri e propri malesseri fisici e, in alcuni casi, di provocare incidenti o malanni.

A volte la malignità dei luoghi si direbbe materialmente percepibile: vi sono delle località che sembrano possedere un’aura malefica - dei luoghi, sovente, legati al ricordo di foschi drammi di sangue, di apparizioni spettrali o diaboliche, di cupe vicende di violenza e di morte; ma si tratta di suggestioni causate da tali ricordi, oppure quei ricordi sono, appunto, la testimonianza di un’aura maligna effettivamente incombente, con i suoi effetti nefasti?

Ecco come Edgar Allan Poe descrive l’atmosfera di cui è impregnato il paesaggio intorno all’antica dimora degli Usher (nella traduzione italiana di Elio Vittorini: Poe, «Racconti del terrore», Milano, Mondadori, 1985, pp. 116-17):

 

«Per tutta una fosca giornata, oscura e sorda, d’autunno, col cielo greve e basso di nuvole, avevo cavalcato da solo traverso a una campagna singolarmente lugubre, fino a che mi trovai, mentre già cadeva l’ombra della sera, in vista della malinconica casa degli Usher. Non so come, ma appena l’ebbi guardata una sensazione d’insopportabile tristezza mi prese l’anima Insopportabile, dico, già che non le si univa il sentimento poetico e perciò quasi piacevole che accompagna in genere le immagini naturali anche quando siano le più cupe della desolazione  e del terrore. Guardavo la scena che mi stava davanti.  E lo spettacolo della casa e del paesaggio all’intorno, le fredde mura, le finestre come orbite vuote, i radi filari di giunchi e alcuni bianchi tronchi risecchiti, mi davano un avvilimento così estremo che potrei paragonarlo soltanto alo stato del mangiatore d’oppio durante l’amaro ritorno alla realtà quotidiana, l’orribile momento in cui ilo velo dilegua. Era un gelo nel cuore; e una oppressione, un malessere, e nella mente un invincibile orrore, che la rendeva inerte ad ogni stimolo della fantasia. Che cosa, dunque, mi soffermai a pensare, rendeva tanto penosa la contemplazione della casa degli Usher? Ma rimaneva un mistero insolubile;  né io riuscivo ad aver ragione delle ubbie tenebrose che mi si affollavano dentro mentre riflettevo. E fui costretto a ritrarmi sulla conclusione poco soddisfacente che esistono combinazioni di oggetti naturali e semplicissimi che hanno potere di rattristarci fino a un tal punto, ancorché l’analisi di questo potere dipenda da considerazioni troppo profonde rispetto a noi. Pensavo che forse una qualsiasi differenza nella disposizione degli elementi della scena, dei particolari del quadro, sarebbe bastata a modificare o persino forse a distruggere tanta forza di dolorosa impressione spinto da questo pensiero, condussi il cavallo sulla riva scoscesa d’un lugubre stagno d’acque morte che si stendeva, nel suo nero luccicore, presso la dimora; e guardati, ma ne ebbi un tremito ancora più profondo; guardai riflesse, capovolte,  le immagini dei giunchi di cenere, dei tronchi sinistri e delle  finestre simili ad occhi vuoti.»

 

Ed ecco come un altro grande scrittore della letteratura fantastica, H. P. Lovecraft, ha descritto il paesaggio collinare e boscoso che conduce alla vecchia città maledetta di Dunwich, nel New England (da: Lovecraft, «L’orrore di Dunwich», traduzione italiana di Francesco Franconeri, Demetra Editrice, 1993, pp. 12-13):

 

«Quando nel Massachusetts centrosettentrionale un viaggiatore, giunto al bivio del picco di Aylesbury, sceglie la direzione sbagliata, finisce col ritrovarsi in una regione solitaria e strana. Il terreno sale, le pareti di roccia e rovi si addossano sempre più alla carreggiata della strada impolverata e tortuosa. Gli alberi delle macchie che si susseguono paiono subito troppo grandi, ed erbacce, rovi, e sterpaglie raggiungono un’esuberanza strana in regioni abitate. I campi coltivati, invece, appaiono stranamente magri e aridi, mentre le poche case sparpagliate qua e là hanno un’aria decrepita, squallida, cadente. Senza saperne il perché,  si esita a chiedere indicazioni alle figure solitarie che ogni tanto si intravedono agli usci cadenti o sui declivi cosparsi di massi. Sono figure silenziose e furtive, che danno l’impressione di realtà proibite, che conviene evitare. Quando la strada salendo consente allo sguardo di spingersi ai monti che svettano sui grandi boschi, si fa più intenso l’inesplicabile disagio che sentiamo. Le vette sono troppo rotonde e simmetriche per poter infondere una sensazione di serena tranquillità, e il cielo talora staglia con particolare nitore gli insoliti  cerchi di alte colonne di pietra  che incoronano molte di quelle vette.

Gole e burroni di inquietante profondità intersecano il cammino, e i rozzi ponti di legno  che li scavalcano paiono sempre di dubbia solidità. Quando la strada riprende a discendere, s’incontrano  tratti di palude, istintivamente sgradevoli, e in realtà quasi temuti alla sera quando invisibili caprimulgi  cinguettano e le lucciole escono in numero abnorme  per danzare al gracidare rauco, insistente e irritante delle gigantesche rane toro. Il nastro sottile e luccicante del corso superiore del Miskatonic  fa subito pensare a un serpente che svolge le sue spire ai piedi delle alture  a cupola tra cui nasce.

A mano a mano che le alture si fanno più vicine l’attenzione si rivolge più ai pendii boscosi che non alle vette incoronate di pietra. Questi pendii ci sembrano talmente bui e scoscesi che si desidera rimanerne lontani, però non c’è altra strada che consenta di evitarli. Subito dopo avere attraversato il ponte coperto si scorge un minuscolo villaggio stretto tra il fiume e la parete a strapiombo di Round Mountain, e ci sorprendono tutti quei tetti a doppio spiovente, testimonianza di uno stole architettonico più antico di quello consueto alla circostante regione. Né rassicura vedere, quando ci si fa ancor più vicini,  che le case sono quasi tutte deserte e in rovina, , che la chiesa dalla rossa guglia ospita adesso l’unico malandato spaccio del villaggio. È inquietante attraversare la galleria tenebrosa del ponte, ma come evitarla? Poi, attraversato quel lungo antro, eccoci subito avvolti da un sottile e maligno sentore che si leva dalle straduncole di quello strano villaggio - come di muffe e marciumi ristagnanti da secoli e secoli. Ci si allontana da quel luogo sempre con un sollievo, seguendo l’angusta strada che si dipana ai piedi della collina e che attraversa quindi la bassa pianura sino a raggiungere il picco di Aylesbury. Succede, poi, di apprendere che quel villaggio è Dunwich.»

 

D’altra parte, noi non stiamo parlando di luoghi semplicemente tristi o malinconici, come possono esserlo certe valli alpine, che non ricevono quasi mai la luce del sole, o certe brughiere desolate del nord dell’Inghilterra o della Scozia, ove non crescono che pochi alberi contorti, mentre su tutto sembra pesare un profondo senso di abbandono e di desolazione.

Stiamo parlando di ben altro: ci stiamo domandando se possano esistere dei luoghi della Terra nei quali la presenza di forze malefiche è reale e operante; luoghi nei quali il male domina a suo piacere sulle creature viventi ed è in grado di provocare ad esse dei danni oggettivamente misurabili, sia di ordine fisico, sia psicologico, sia, infine, morale.

Vi sono delle case, ad esempio, o delle camere d’albero, in cui avvengono, inspiegabilmente, delle catene di suicidi: persone apparentemente sane ed equilibrate, dopo aver trascorso una o più notti al loro interno, perdono improvvisamente il lume della ragione e si gettano dalla finestra, oppure si uccidono con un colpo di pistola o assumendo del veleno; e tutto, almeno stando a quel che sembra, senza alcun movente, senza alcun gesto che lasciasse presagire anche solo lontanamente la tragedia che stava per abbattersi su di loro.

Non solo la letteratura, ma anche il cinema (si pensi solo al famoso film «Shining», tratto, a sua volta, da un romanzo di Stepehn King, diretto nel 1980 dal regista Stanley Kubrick e interpretato da Jack Nicholson), si sono impadroniti di simili fatti, che non appartengono solo, come talvolta si crede, alle cosiddette leggende metropolitane, ma che trovano, in certi casi, precisi riscontri nella realtà di fatti, di persone, di luoghi.

Prendiamo il Mare del Diavolo, al largo della costa orientale del Giappone, oppure il cosiddetto Triangolo delle Bermuda: luoghi piuttosto vasti, nei quali sono scomparse, senza lasciare traccia, decine di navi e parecchi aerei, trascinando con sé, negli abissi del mistero, migliaia di persone: come escludere che vi sia, laggiù, una persistente presenza malefica, forse di origine non umana, che esige regolarmente il suo tributo di vite e che si nutre, come una crudele divinità antropofaga, del dolore e dello spavento degli esseri umani?

Ma vi sono anche luoghi molto più circoscritti, come abbiamo detto, quali case, alberghi, incroci stradali, rive di laghi, nei quali si registra una percentuale insolitamente elevata di fatti sinistri, di scontri mortali, di suicidi e di omicidi, perlopiù inspiegabili, commessi da persone che parevano perfettamente padrone di sé e che conducevano una vita normalissima, tranquilla e aliena da ogni eccesso: che cosa pensare di tutto ciò?

Possiamo ipotizzare che, in taluni casi, vi sia una presenza di energie negative dovuta alla persistenza di azioni malvagie le quali, nel continuum spazio-temporale, avvennero in quei luoghi e che non si sono disperse, neppure a distanza di anni e, talvolta di secoli, a causa della intensità e della tenacia delle emozioni e dei sentimenti di quanti ne furono attori, vuoi come vittime, vuoi come aggressori, persecutori o assassini.

Secondo questa ipotesi, nulla va disperso, di quanto costituisce il complesso materia-energia di cui è costituito l’universo; e può accadere che, in circostanze particolari, l’ombra psichica, o, se si preferisce, la proiezione astrale di corpi vissuti nel passato, che furono attraversati da violente scariche di rabbia, odio e paura, e che subirono una morte ingiusta, improvvisa e violenta, non abbia mai lasciato i luoghi che furono teatro della loro tragedia, aggrappandovisi con i vincoli tenacissimi del desiderio di vendetta, oppure del rimorso senza redenzione.

È appunto per liberare tali luoghi dai residui psichici di antichi drammi che, talvolta, sacerdoti cattolici ricorrono al rito della benedizione, per restituire pace alle anime infelici e tormentate dei trapassati; o, nei casi più gravi, all’esorcismo, per cercare di allontanare una presenza diabolica che si è insinuata, in varie maniere, così come avviene nel corpo di esseri umani.

Quest’ultima evenienza ci riporta alla domanda iniziale: se, cioè, vi siano dei luoghi che non sono solamente sfortunati, perché pervasi di tristezza e malinconia, ma attivamente malefici, in quanto infestati dalle forze del Male; e che, pertanto, costituiscono un pericolo vero e proprio per la vita fisica e per quella spirituale di quanti avessero la sventura di soggiornarvi.

È una domanda difficile, per tentare di rispondere alla quale sarebbe necessario lo spazio non di un semplice articolo o di un breve saggio, ma di parecchi libri.

Per ora, ci accontentiamo di aver posto il problema e di averne delineato gli aspetti essenziali, operando una distinzione rispetto a ciò che è pura fantasia, suggestione emotiva, letteratura o leggenda metropolitana.

L’importante è che, quando ci si accinge a considerare problemi di questo genere, si proceda con la mente sgombra da pregiudizi, sia in un senso che nell’altro: liberi dalla credulità eccessiva, ma anche dal dogmatismo scientista, che è - a ben guardare - solo un’altra e più aggiornata forma di fideismo e di superstizione.