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Quel vizio di chiudere la bocca ai vinti

di Luigi G. de Anna - 26/10/2011


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Ei fu. Sarebbe facile ricordare le amare parole di Alessandro Manzoni scritte in occasione della morte del dittatore Napoleone Bonaparte. Oggi non sono più i poeti a trasmettere le emozioni. La televisione ci ha mostrato le immagini di Muammar Gheddafi, prima catturato, poi ferito e poi ucciso, in una sequenza terribile ed agghiacciante, ripetutasi col figlio Mutassim. Arriva così a compimento la più drammatica delle “primavere arabe”. La morte del Colonnello libico suscita subito, almeno nei media occidentali, inni alla libertà finalmente raggiunta. Si aggiunge che ora la Libia volterà pagina, e si ha la sensazione che la prima pagina che si vuole girare è proprio questa, la morte crudele inflitta a un nemico, che fa nascere il sospetto che, ancora una volta, si sia voluto precipitosamente chiudere una bocca che avrebbe potuto dire cose scomode per i vincitori.
Ascolto i commenti dei politici italiani. Frattini, nuovamente, come nel caso di Bin Laden, non riesce a nascondere la sua lamentosa contentezza. Altrettanto farà La Russa a Porta a porta. Qualche distinguo a sinistra, ma solo per questioni di polemica politica pre-elettorale. D’altronde la sinistra a suo tempo mandò i Tornado a bombardare la Serbia di Milosevic. Gli ex comunisti amano gli scenari di guerra.
Come nel caso di Saddam Hussein, come in quello di Bin Laden, si dimentica in Europa, quell’Europa dalle famose radici cristiane, il senso di umana pietà, che non è mai giustificazione di quanto commesso, ma rispetto della morte altrui. Il nemico, nel momento in cui cessa di vivere, dovrebbe avere il rispetto del vincitore. Ma non è così. Anche se ha combattuto concludendo la vita con onore. E Gheddafi, che poteva fuggire con tutte le sue valigie piene d’oro e di dollari (quell’oro e quei dollari datigli da chi lo ha fatto uccidere) era rimasto a difendere la sua rivoluzione dall’ingerenza straniera, quella Jamaira che si illudeva potesse rappresentare una terza via alla gestione del potere, che evitasse una democrazia di tipo occidentale che mai avrebbe funzionato in una società tribale e al tempo stesso la dittatura di un partito o di una classe militare. Gheddafi, non fuggendo, non abbandonando chi lo sosteneva e pagando di conseguenza con la propria pelle, ha riscattato la sua immagine fino ad allora quasi comica del beduino dai costumi eccentrici e stravaganti. Questa tragicità della fine, volutamente non evitata, quasi cercata, in altri, come il grande Comandante Che Guevara, era stata esaltata e in altri, come l’improvvido Saddam Hussein, ignorata.
A Porta a porta, il ministro Ignazio La Russa ripeteva la litania dell’intervento benefattore della NATO in difesa della popolazione libica. E nessuno gli chiedeva come si difende la popolazione libica minacciata dalle terribili armi gheddafiane bombardando a sua volta quartieri di Tripoli e di Sirte, uccidendo con armi sofisticate molti civili innocenti, cercando di assassinare lo stesso Colonnello e i suoi familiari. Si fa riferimento alle incursioni dei jet di Gheddafi, ma quante furono realmente le vittime? Non si è trattato di una Dresda o di una Coventry e chi rase al suolo durante le guerre coloniali villaggi interi d’Africa farebbe meglio ad avere miglior memoria. D’altronde, come è noto, agenti ed armi francesi erano arrivati a Bengasi ben prima degli attacchi dell’aviazione governativa.
Il governo italiano, è stato detto, è intervenuto non appena l’ONU ha emesso la sua risoluzione n.1973 del 17 marzo. Ma questa risoluzione era appunto volta alla difesa della popolazione civile, e l’attacco, ultimo, degli aerei di Sarkozy al convoglio che portava Gheddafi verso un nuovo centro di resistenza dopo la caduta di Sirte, non era proprio consono ai dettami della risoluzione delle Nazioni Unite. Del resto, perché fare di questo organismo un mostro sacro? Responsabile di colossali errori, come la giustificazione data all’invasione dell’Iraq, dove armi di distruzione di massa esistevano solo negli interessi geo-politici dei neo-cons statunitensi e dei loro alleati europei, è comunque un organismo anacronistico, fondato sulle risultanze della seconda guerra mondiale. Nessuno pare porsi la domanda perché mai i vincitori di quella guerra di settanta anni fa debbano decidere le sorti del mondo di oggi, visto che proprio un loro veto può impedire che una risoluzione, che pur ha la stragrande maggioranza dei voti nell’assemblea, come nel caso della richiesta palestinese di diventare nazione indipendente, possa essere approvata. Il tempio dell’ideale democratico e libertario cade in clamorosa contraddizione permettendo ad uno solo (!) dei suoi membri di bloccare la decisione democraticamente raggiunta dalla quasi totalità degli stati del mondo. L’ONU sbaglia talvolta e sbaglia spesso. Ma la NATO non si è chiesta se la risoluzione che permetteva l’intervento militare in Libia fosse umanamente e politicamente giustificata. La NATO è principalmente espressione degli interessi statunitensi non solo in Europa ma nell’intero mondo. Ma nel caso libico quell’autorizzazione è servita anche a qualche ex potenza coloniale europea. Frustrati da problemi di politica interna, francesi e inglesi si sono lanciati, superando in corsa perfino i sempre pronti statunitensi, a buttare bombe.
Quelle bombe che scendono dal cielo prendono la forma di barili. Barili di petrolio, che le compagnie petrolifere di questi Paesi incasseranno, passando presto a riscuotere la cambiale firmata col governo provvisorio di Bengasi. A Porta a Porta, straordinario caso, l’unico che abbia detto una verità, tra tante menzogne della propaganda bellicista e filo-atlantica, è stato il direttore di Libero, Maurizio Belpietro. Ha detto, suscitando la sdegnata reazione di La Russa, che la verità è semplice: si è trattato di una guerra per il petrolio, fatta da inglesi e francesi, cui, quando l’autobus stava oramai partendo, si è aggiunto il governo Berlusconi. Basta chiedersi infatti come mai tale intervento “umanitario” non sia stato mobilitato nel caso della Siria, del Bahrein, dello Yemen e, aggiungo, di Israele, l’unico Paese al mondo che può compiere aggressioni, usare armi proibite come le bombe al fosforo, erigere muri della vergogna, tenere un intero popolo in una prigione a cielo aperto come a Gaza, senza che le Potenze democratiche e l’ONU che ne è espressione si permettano di intervenire.
I soliti due pesi e due misure.Vecchie storie. Ci torna in mente, a proposito dell’ipocrisia britannica, l’intervento propagandistico e militare in occasione del 1860-62 in Italia. L’Inghilterra, responsabile di una crudele repressione in Irlanda che aveva portato allo sterminio della sua popolazione affamandola, denunciava le “crudeltà” borboniche. Ottenendo di conseguenza di eliminare il Regno di Napoli da quella fetta del Mediterraneo che si aggiudicherà nel quadro della sua espansione politica e stategica.
Molti sono gli sconfitti di questa tragedia libica, e ne terremo il conto nei prossimi mesi. Ma uno già si staglia su tutti: Silvio Berlusconi, l’uomo che era stato per Gheddafi il punto di riferimento primario in Occidente. Con lui Silvio aveva passato piacevoli serate (e certi giochi li imparò dal Colonnello). Ha fatto il giro del mondo la scena del primo ministro d’Italia che bacia la mano di chi era venuto a Roma con impudenza volendo ulteriormente umiliarci, mani che ora ci dicono gli stessi Frattini e La Russa essere sporche di sangue. Berlusconi aveva stretto un patto di amicizia con la Libia, violandolo poi con le bombe dei nostri jet. Così facendo tradiva nella maniera più plateale quel rapporto di collaborazione che aveva comunque assicurato all’Italia petrolio, gas e difesa contro i clandestini. L’Italia non è nuova ai giri di valzer, all’oblio di alleanze e patti di amicizia. E’ l’Italia miserabile di tempi miserabili.
Gheddafi era un dittatore, come ce ne sono stati tanti, come ce ne sono tanti, in Medio Oriente e oltre. Meritava però di morire sul campo dell’onore, come ha cercato di fare. Un processo in Libia sarebbe stato una farsa, come quello di Saddam Hussein. Uno a l’Aja un assurdo giuridico. E’ morto per difendere quel poco che gli restava di dignità. Una dignità che gli hanno voluto negare violandone il cadavere. Una scena di barbarie cui abbiamo assistito anche noi italiani. Noi che credevamo che l’aprile del 1945 fosse oramai un tempo lontano.