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Il paradosso del deficit americano

di Paolo Cardena - 09/09/2025

Il paradosso del deficit americano

Fonte: Paolo Cardena

Il paradosso del deficit americano consiste nel fatto che un fenomeno che, per la maggior parte dei Paesi, rappresenterebbe una criticità macroeconomica, per gli Stati Uniti si è trasformato in un meccanismo funzionale al consolidamento della propria egemonia finanziaria e geopolitica. I deficit delle partite correnti, accumulati in maniera sistematica a partire dagli anni Ottanta, non hanno indebolito l’economia americana: al contrario, hanno favorito la canalizzazione dei surplus esteri verso i mercati finanziari statunitensi, rafforzando la centralità del dollaro come valuta di riserva globale. Tale dinamica si è potuta sviluppare grazie a un insieme di fattori strutturali — efficienza economica, stabilità istituzionale, profondità e liquidità dei mercati, oltre al sostegno implicito della supremazia militare — che hanno reso gli Stati Uniti un creditore sicuro di ultima istanza per il resto del mondo.

Il grafico e il suo significato

Il grafico riportato in seguito mostra l’andamento del finanziamento dei conti correnti e capitali degli Stati Uniti, in percentuale del PIL, dagli anni Sessanta ad oggi. La linea verde rappresenta il saldo complessivo, mentre le barre colorate indicano le diverse fonti di finanziamento: investimenti diretti, altre passività, acquisti di titoli, riserve e così via.

Ciò che colpisce è come, a partire dagli anni Ottanta, il saldo sia diventato strutturalmente negativo: gli Stati Uniti hanno speso sistematicamente più di quanto hanno prodotto, accumulando deficit delle partite correnti. Per contro, il mondo ha riciclato quei dollari in eccesso acquistando attività finanziarie americane, in particolare Treasury e obbligazioni corporate, ma anche azioni quotate a Wall Street.

Dal deficit commerciale al finanziamento dei mercati

Uno dei tratti distintivi del sistema finanziario internazionale degli ultimi decenni è proprio questo circuito: deficit esterno per gli Stati Uniti → surplus in dollari per i partner commerciali → reinvestimento di quei surplus nei mercati finanziari americani. È il cuore del cosiddetto exorbitant privilege.

Ed è qui che emerge la contraddizione delle intenzioni di Donald Trump. Se l’amministrazione americana, attraverso dazi, politiche di reshoring o restrizioni commerciali, riuscisse effettivamente a ridurre il deficit commerciale, il meccanismo si indebolirebbe. Meno importazioni significano meno dollari che escono dagli Stati Uniti e quindi meno surplus accumulato dai partner commerciali.

Di conseguenza ci sarebbero meno capitali da reinvestire nei Treasury o negli asset finanziari americani. Proprio mentre il Tesoro statunitense deve emettere quantità record di debito per finanziare deficit fiscali strutturali e mentre la Federal Reserve non funge più da acquirente marginale (anzi, sta riducendo il proprio bilancio).

Il rischio di corto circuito

Il paradosso è evidente: meno squilibri nelle merci, ma più tensioni nei mercati finanziari. Le implicazioni sono molteplici:

  • Sul fronte obbligazionario, minore domanda estera potrebbe tradursi in pressioni al rialzo sui rendimenti, con conseguente aumento del costo del debito per Washington.
  • Sul fronte azionario, la riduzione dei flussi di riciclo in dollari provenienti dall’estero potrebbe indebolire uno dei sostegni indiretti a Wall Street, soprattutto in una fase in cui le valutazioni sono già elevate.
  • Sul piano geopolitico, limitare il ruolo degli USA come debitore strutturale del resto del mondo significa anche ridurre uno dei pilastri del sistema dollaro-centrico che finora ha garantito agli Stati Uniti una posizione di supremazia finanziaria unica.

 Il disavanzo commerciale americano non è soltanto un “problema” macroeconomico, ma anche la condizione che ha permesso agli Stati Uniti di mantenere il primato finanziario globale. Correggerlo con politiche aggressive potrebbe sì riequilibrare i conti commerciali, ma al prezzo di rendere più complesso — e più costoso — il finanziamento del debito e dei mercati americani.