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Costanzo Preve: intellettuali e rinnegati di sinistra, feccia di venduti

di Giorgio Cattaneo - 16/12/2011

Domenica 4 dicembre, gli italiani hanno assistito in diretta televisiva «alla somatizzazione della crisi capitalistica» sotto forma di pianto: quello di Elsa Fornero, membro della giunta tecnocratica di Mario Monti. Lacrime di coccodrillo? Senz’altro, se sgorgano nel momento supremo in cui il “governo tecnico” spiega quanto e come abbatterà la sua scure sul totem sociale delle pensioni. Eppure, il filosofo Costanzo Preve valuta positivamente lo sfogo della neo-ministra: «Monti e Draghi, serpenti british senz’anima, non lo avrebbero fatto mai». Insomma, «forse non tutto è ancora perduto», dice Preve, «se il complesso di colpa si intrufola nel gruppo sociale più osceno della storia umana». Lacrime o meno, il pericolo sono proprio loro: gli intellettuali che, per il pensatore comunitarista, hanno “tradito il popolo” nel modo più subdolo.

In un durissimo intervento vergato per il blog “Antimperialista”, Preve disegna un profilo inquietante della nuova “razza padrona”: «Questa giunta Le lacrime di Elsa Fornerodi tecnocrati, rappresentativa dell’evoluzione post-comunista del ceto intellettuale universitario, è in preda ad una contraddizione dialettica». I “professori” di Monti pensano di sapere cosa vogliono, e cioè  «un rilancio dello sviluppo attraverso la completa liberalizzazione e privatizzazione del modello capitalistico», ma non si rendono conto che il meccanismo è ormai fuori controllo: come denunciato nel saggio di James Petras, pubblicato su “Global Research”, siamo di fronte alla drammatica «decomposizione delle democrazie», che produce una «gestione direttamente tecnocratica» delle oligarchie. Ma gli intellettuali non dovrebbero metterci in guardia? Sfortunatamente, dice Preve, ormai militano nel campo avversario: lavorano apertamente contro di noi, al servizio del super-potere.

Il terreno di gioco, l’Italia, è praticamente minato: se un intellettuale come Marco Revelli esulta per la caduta di Berlusconi e l’avvento di Monti, secondo il pensionato torinese Cesare Allara fornisce il miglior esempio di una autentica «devastazione culturale», provocata dalla dissoluzione metamorfica dell’ex Pci, che ha riciclato nell’attuale palude i suoi storici “intellettuali organici”. Erano e restano gruppi egemonici, compresi quelli di origine azionista e operaista, apostoli di una sorta di religione, che Preve chiama «dicotomia sacralizzata destra-sinistra» e rappresenta l’ultima versione del «sacerdozio eterno dell’antifascismo» post-bellico, cioè professato nell’Italia ormai democratica, «in palese assenza di fascismo». E mentre il circuito intellettuale politicamente corretto «ci deliziava con l’antiberlusconismo, con i vizi atavici degli italiani, con la sacralità Mario Montitolemaica e geocentrica della dicotomia destra-sinistra e con l’eterno antifascismo in assenza di fascismo», ecco a noi il terribile avvento del professor Monti, l’uomo che la “macelleria sociale” la farà per davvero.

La giunta tecnocratica di Monti, continua Preve, è composta di intellettuali universitari: in pratica, «un moderno clero, incaricato della mediazione simbolica fra dominanti e dominati». Ma mentre al tempo del feudalesimo quel clero era davvero composto da religiosi, dato il carattere trascendente della legittimazione classista della società, oggi «la legittimazione classista ha un carattere storico-immanente, e viene gestita da un linguaggio economico, storico e sociologico». A partire dal Settecento, gli intellettuali (illuministi, poi romantici e infine marxisti) si pensarono come legislatori ideali, mentre attualmente «vengono interpellati dai dominanti solo come esperti». Per il sociologo francese Pierre Bourdieu, gli intellettuali di oggi sono un gruppo dominato della classe dominante: sono «parte della classe dominante, perché dispongono di un “capitale intellettuale” da vendere sul mercato», ma al tempo stesso sono «un gruppo dominato, perché sono subordinati al comando del vero gruppo dominante della classe dominante, i capitalisti finanziari».

La sinistra? Storicamente, si è costituita fra il 1870 (la Comune di Parigi) e il Sessantotto, sulla base di una critica sociale e politica nei confronti delle ingiustizie del capitalismo. Era un’alleanza fra lavoratori e intellettuali: la classe operaia lottava per il salario, mentre gli artisti e gli addetti alla cultura, contestatori-avanguardisti, attaccavano le ipocrisie del costume borghese. «Dal Sessantotto in poi questa alleanza è finita – dice Preve – perché il capitalismo, diventando post-borghese e post-proletario, ha Costanzo Preveliberalizzato integralmente i suoi costumi. E il proletariato, vecchio e nuovo, è rimasto senza intellettuali, che sono passati tutti dall’altra parte». Per di più, il ceto dei nuovi poveri «viene continuamente colpevolizzato per essere di “destra”, populista, razzista, leghista».

In una parola: i neo-proletari del terzo millennio sono bollati come “politicamente scorretti”, all’opposto del «ceto intellettuale universitario» che oggi, nella sua grande maggioranza, ha un profilo “politicamente corretto”. Ovvero: è di centro-sinistra, è “antifascista in assenza di fascismo”, è ovviamente multiculturalista, «ha sostituito la vecchia lingua francese con la nuova lingua inglese», è contro il totalitarismo ma si è convertito al neoliberismo, dice di difendere i diritti umani ma approva «l’interventismo umanitario con bombardamenti Nato incorporati». Drastica la conclusione di Preve: «Sulla base di studi storici durati più di mezzo secolo, vi prego di credermi: si tratta di uno dei profili intellettuali più orrendi di tutta la storia universale comparata».

Combinando insieme i metodi di Vico, Hegel e Marx per valutare la giunta tecnocratica di Monti, si ottiene un risultato sconfortante, che meglio spiega il cedimento emotivo di Elsa Fornero di fronte all’annuncio della fine dell’intoccabilità delle pensioni. Perché gli intellettuali, al servizio delle oligarchie planetarie, hanno ormai ceduto su tutta la linea, ne sono ben consapevoli: vogliono «un rilancio della crescita sulla base dell’adozione integrale di un modello anglosassone di capitalismo, concorrenza sfrenata e liberalizzazione». In poche parole, «non solo la fine di un secolo di riformismo socialdemocratico, ma anche la fine di un modello europeo di capitalismo». Tutto questo, aggiunge il filosofo, «non potrebbe avvenire in D'Alema e NapolitanoItalia senza la mediazione attiva dei rinnegati nichilisti del vecchio Pci», ovvero politici come Massimo D’Alema, «il bombardatore del Kosovo», favorevole al bombardamento della Libia come lo stesso Giorgio Napolitano, «il “comunista” preferito da Kissinger».

Oggettivamente, quello che costoro vogliono non potrà mai essere fatto, conclude Preve, perché «il meccanismo capitalistico globalizzato e finanziarizzato è diventato fuori controllo». Lo sapevano già gli antichi greci: non si può giocare in eterno con l’aperion, l’illimitato. Sono votati al fallimento, dunque, i nuovi chierici delle oligarchie: chiedono sacrifici per poter incrementare ulteriormente un meccanismo impazzito, non più limitato come in passato dai suoi freni storici, cioè la produzione pre-capitalistica e il comunismo del Novecento. Soggettivamente, pretendono “lacrime e sangue” in nome della “ripresa dello sviluppo” ma, oggettivamente, ci portano verso il baratro. Possibile? Eccome. Per Costanzo Preve, sono la più orrenda leadership che ci potesse capitare: letteralmente, «la feccia sociologica peggiore sedimentata dalla storia italiana».