Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Kabul, il fuoco della rivolta

Kabul, il fuoco della rivolta

di Michele Paris - 28/02/2012

 
    


La crisi scatenata martedì scorso dal rogo di alcune copie del Corano presso una base militare americana in Afghanistan si è ulteriormente aggravata nel fine settimana, con un bilancio complessivo di almeno una trentina di vittime. Mentre a nulla sono servite le scuse offerte dal presidente Obama, gli episodi di violenza hanno mostrato tutto l’odio diffuso tra la popolazione afgana nei confronti di un’occupazione che in un decennio ha portato solo morte e distruzione nel paese centro-asiatico.

A conferma della gravità della situazione in Afghanistan, nella giornata di sabato due americani sono stati uccisi a Kabul all’interno dell’edificio che ospita il Ministero dell’Interno, con ogni probabilità per mano di un membro delle forze di sicurezza afgane. Secondo quanto riportato da Al Jazeera, i due militari statunitensi si trovavano in una stanza di massima sicurezza nella quale gli unici cittadini afgani ad avere accesso erano gli interpreti. L’azione è stata rivendicata dai Talebani che hanno sostenuto di aver infiltrato la polizia afgana.

Con un annuncio del comandante delle forze di occupazione, il generale americano John Allen, la NATO ha subito ritirato tutti i propri consiglieri presso i ministeri afgani, stimati in parecchie centinaia. La misura estrema fa seguito alla chiusura temporanea, decisa giovedì scorso, sia dell’ambasciata americana a Kabul che delle basi militari nel paese.

La scintilla che ha scatenato la più recente ondata di violenze, come noto, era stata martedì la diffusione della notizia che alcuni lavoratori afgani nella base americana di Bagram erano stati scoperti mentre stavano bruciando in un inceneritore alcune copie del Corano. Il libro sacro dell’Islam era stato sequestrato assieme ad altro materiale religioso nella biblioteca del carcere di Bagram, dove gli americani detengono gli afgani sospettati di far parte dei Talebani. Secondo i vertici militari statunitensi, i volumi erano destinati ad essere distrutti perché contenevano “inscrizioni estremiste” utilizzate come sistema di comunicazione tra i detenuti.

In seguito alle immediate proteste diffusesi nel paese, giovedì la Casa Bianca ha emesso un comunicato di scuse del presidente, mentre il Pentagono ha annunciato un’indagine sui fatti, così come un nuovo programma di addestramento destinato a quei militari incaricati di gestire materiale religioso.

Le scuse di Washington, tuttavia, non hanno placato gli animi di una popolazione afgana che ha sentito il rogo delle copie del Corano come l’ultima delle umiliazioni inflitte da una sempre più odiata forza di occupazione.

Il più recente episodio che aveva provocato violenti scontri era stata l’apparizione sul web a gennaio di un video nel quale alcuni Marines americani urinavano sui corpi di afgani uccisi. In precedenza, profanazioni del Corano da parte dei militari stranieri avevano causato proteste e svariati morti almeno in altre due occasioni.

La crisi in corso ha così fatto esplodere una rabbia già ampiamente diffusa tra gli afgani nei confronti non solo delle forze di occupazione ma anche del governo fantoccio del presidente Karzai.

Uno dei segnali più inquietanti dell’odio presente in ogni strato della popolazione locale sono i frequenti attentati condotti contro i militari NATO da parte di membri delle stesse forze di sicurezza afgane, come quello avvenuto sabato a Kabul. Tra i più recenti, va ricordata l’uccisione nel mese di gennaio di alcuni soldati francesi che ha spinto il governo di Parigi ad anticipare di un anno la data prevista per il ritiro del proprio contingente (2013).

Giovedì scorso, poi, per protestare contro il rogo del Corano, un soldato dell’esercito afgano ha ucciso due militari americani in una base dell’Afghanistan orientale prima di disperdersi nella folla dei manifestanti.

Azioni simili si sono moltiplicate negli ultimi tempi e rischiano di mettere a repentaglio la strategia USA per costruire una partnership con le forze armate e la polizia afgana in vista del disimpegno delle proprie truppe nel prossimo futuro.

Il deterioramento della situazione si inserisce nel pieno delle trattative tra l’amministrazione Obama e il governo Karzai per stabilire basi americane permanenti in Afghanistan dopo il presunto ritiro delle truppe di occupazione previsto per il 2014.

Il ritiro dipende in gran parte dall’esito del processo di pace che sta per essere avviato tra mille difficoltà con i Talebani. Proprio questi ultimi, subito dopo lo scoppio delle proteste martedì scorso hanno fatto appello a tutti i membri dell’esercito e della polizia del paese a prendere le armi contro le forze di occupazione.

Nel fine settimana migliaia di afgani sono così nuovamente scesi in piazza in tutto il paese lanciando slogan anti-americani. I manifestanti hanno cercato di fare irruzione negli edifici governativi e delle Nazioni Unite. Nella giornata di sabato sono stati uccisi cinque dimostranti, mentre moltissimi sono stati i feriti in seguito agli scontri con le forze di sicurezza.

Quattro morti per mano della polizia sono stati registrati solo nella provincia di Kunduz nel nord del paese dove la folla ha preso d’assalto il quartier generale dell’ONU. A est, invece, numerosi studenti diretti verso la residenza del governatore di Laghman sono stati fermati dal fuoco della polizia, causando una ventina di feriti. Un altro manifestante è rimasto ucciso poi nella provincia di Logar, a sud di Kabul, e scontri violenti sono stati segnalati nelle province di Sar-e-pol a nord e di Nangarhar al confine con il Pakistan.

A peggiorare la situazione, nel pieno delle proteste per le copie del Corano date alle fiamme, è stato infine un attacco sferrato mercoledì da un elicottero della NATO contro una scuola nella provincia orientale di Nangarhar, ferendo nove bambine, di cui cinque tuttora ricoverate in ospedale. Solo qualche giorno prima, inoltre, il comando NATO era stato costretto ad ammettere che un bombardamento avvenuto l’8 febbraio nella provincia nord-orientale di Kapisa aveva causato la morte di otto bambini.

Queste incursioni deliberate contro i civili sono un altro dei principali motivi della profonda avversione della popolazione afgana nei confronti degli occupanti stranieri e che è esplosa nuovamente settimana scorsa in maniera incontrollata.