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Psicologia dei tempi di siccità

di Claudio Risé - 24/08/2012

Sembra proprio che questo fine vacanze-rientro in città avvenga nel segno del sole bollente e della siccità. Non solo in Italia, come dimostrano le foto dell’ormai riarso granaio d’America, il Midwest, e di altre zone agricole.
Il problema non sarà solo economico, per l’aumento dei costi alimentari. La presenza o assenza dell’acqua, infatti, ha degli effetti psichici molto precisi. Ce lo ricorda il simbolo dell’“acqua della vita” con l’immagine della fonte presente in tutte le culture.
Senza acqua, ci racconta questo simbolo universale, la vita, bisognosa di acqua sia per gli umani che per gli altri esseri viventi (piante e animali), diventa difficile, faticosa.
Nei periodi più caldi aumentano, per esempio, i vari malesseri psichici, come se la personalità facesse più fatica a mantenere una posizione stabile ed equilibrata. Servirebbe ombra e fresco, per mitigare gli attacchi dell’astro bollente; ma, appunto, se vi è siccità è difficile trovare alberi e frescura.
La cultura della Grecia classica, che descriveva perfettamente le diverse situazioni psicologiche e cliniche attraverso i miti, ne raccontava uno che illustra proprio le origini di siccità e glaciazioni, e ne suggerisce la cura.
Il mito racconta che Elio, il sole (fratello della luna) ogni giorno corre su un carro trascinato da 4 cavalli da Oriente all’estremo Occidente, e poi ripercorre il percorso in senso inverso, lasciando le zone che prima illuminava alla sorella Selene, la luna, che rischiara le notti con la sua luce particolare.
Un giorno il figlio di Elio, Fetonte, chiede con continue insistenze di guidare il carro, perché vuole farsi bello di fronte alle sorelle e alla madre. Il padre Elio alla fine cede, e glielo lascia. Ma il giovane non ha abbastanza forza per guidare in modo stabile i quattro cavalli, che a volte si allontanano dalla terra, rendendola fredda, scura e ghiacciata, oppure le si avvicinano troppo, disseccandola, inaridendo i campi e abbagliando le creature. Allora Zeus-Giove, padre degli dei, scaglia un fulmine su Fetonte che precipita nel fiume Po, e trasforma le sue sorelle piangenti negli alti pioppi che crescono e fanno ombra lungo le sue rive.
Gli squilibri climatici, insomma, deriverebbero secondo questo mito, da una forma di vanità adolescenziale (molto umana), che pretende di saper guidare eventi cosmici e sacri come il freddo e il caldo, il giorno e la notte.
Le forze di un giovane vanitoso (l’uomo?) non sono però in grado di condurre un fenomeno arcaico e primordiale come il carro del sole.
Fetonte viene dunque precipitato nel fiume, rimandato all’acqua, origine della vita, e le sorelle (anche loro parecchio vanitosette), con la loro ombra umida di pianto rimediano alla siccità precedente.
Anche nella tradizione ebraico-cristiana si parla (ad esempio nei Salmi), di un “demone meridiano” che imperversa a mezzogiorno e da cui occorre proteggersi. Ma il mezzogiorno è proprio il momento in cui scompare l’ombra.
Dimenticarsi o cancellare l’ombra, la zona non illuminata dal sole, dalla coscienza, pretendere insomma di sapere tutto, e di condurre il sole (la coscienza) dove ci pare, è da sempre fonte di sciagure. Tra le quali la siccità.
Un occhio alle notizie, ma anche al termometro ed alle chiamate al pronto soccorso (oltre che alle Borse dove si fanno i prezzi dei cereali), confermerebbe che l’uomo, nel suo continuo e illuminato progresso, si è dimenticato di qualcosa. Abbagliato dal successo, ha smesso di guardare all’ombra, al proprio lato oscuro. Che, per vanità, e sproporzione tra le proprie forze e ambizioni, sta disseccando la terra.