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Il fuoriclasse

di Lorenzo Merlo - 21/12/2025

Il fuoriclasse

Fonte: Lorenzo Merlo

Commenti a margine di un pensiero che, come una pallina, ha potere solo entro il campo chiuso del flipper.

Premessa
Più sotto – nel capitoletto In ordine di apparizione – traggo dall’interessante articolo Fisica e politica di Alberto Giovanni Biuso alcuni elementi, in ordine di esposizione, per esprimere un’opinione differente rispetto a quella corrente nell’articolo stesso, secondo la quale, la ricerca in seno alla fisica, sarebbe stata disorientata dall’avvento della meccanica quantistica, in particolare a partire dagli anni Settanta, epoca della New age. Secondo l’autore, tale panne della ricerca, sarebbe dovuta ad un intento metapolitico da parte delle oligarchie private, con il fine di attestare una cultura senza più valori né identità definitive, anche a mezzo della ricerca fisica, alla quale sarebbero destinati fondi spropositati nonostante i fallimenti conclamati – dice l’autore – delle ricerche stesse. 
Trovo Fisica è politica del tutto rispettabile entro un ambito preciso, quello circoscritto dal linguaggio logico-razionale-meccanicista, ma meno efficiente al cospetto della presa di coscienza che, tale linguaggio impone l’ambito stesso e non può essere perciò in grado di descrivere il vero e il tutto. Un limite congenito del quale si è tendenzialmente inconsapevoli. Tale inconsapevolezza dal carattere scientista è, a mio parere, all’origine dell’impedimento dell’avvio di un processo evolutivo della cultura. Considerazione con la quale non alludo affatto e per nessuna ragione al sostegno della squilibrante volontà woke – nata sana e divenuta grottesca in declinazione varia – promossa dal progressismo, guidata da danarosi dispensatori privati di linee guida.
Sono infatti di posizione opposta a quella scellerata che ci circonda, ovvero alla coltura dell’assistenzialismo al vittimismo. Sono per una cultura che favorisca la costituzione di uomini compiuti, che non hanno bisogno di leggi e censure per realizzare il rispetto di ogni essere senziente, per avere in sé la visione necessaria al benessere individuale e quindi sociale. Per riconoscere che dedicare attenzione al proprio ego è all’origine dei conflitti di qualunque grado.
Ma la fisica descritta nell’articolo non è a mio parere, se non subdolamente e strumentalmente, coinvolta né sfruttata dalla politica. È quest’ultima un’affermazione che viene a da un’osservazione: se la politica, come dimostra da tempo la sua inefficienza e come il calo costante delle presenze nelle urne evidenzia, non ha più legami, se non funzionali a se stessa, con la base che l’ha eletta, dimostra di seguire una rotta sorda alle voci di noi tutti – incluse quelle più popolari e autorevoli – come può disporre delle qualità necessarie per intellegere e tener conto dell’andamento della ricerca fisica, al fine di sfruttarne l’impasse raccontato nell’articolo citato?
In ordine di apparizione
“[...] la fisica teorica è impantanata da quasi ormai mezzo secolo”.
Già in questa prima – per noi – affermazione, si può trovare l’equivoco cui è soggetto tanto l’articolo, quanto più in generale la cultura intera. Equivoco causato da una inconsapevole concezione meccanicista con la quale si ritiene di poter descrivere il mondo intero e, contemporaneamente, si giudica inattendibile e da escludere ogni conoscenza che non sia commensurabile ai principi logici e a quello del causa-effetto della meccanica classica, alla dimostrazione e alla replicabilità e quelli della misurabilità e della prevedibilità. Ovvero tutto ciò che riguarda l’alogico o il magico, dimensioni con le quali ha a che vedere anche la fisica quantistica, territori nei quali il binomio materia ed energia diviene, o torna ad essere ciò che effettivamente è, ovvero inscindibile diade che, solo e soltanto al nostro cospetto, assume il grado di realtà. 
“[...] i grandi obiettivi della conciliazione tra teoria dei quanti e relatività e della unificazione delle quattro forze fondamentali della materia in una Grande Teoria Unificata si sono rivelati completamente fallimentari”.
Vale quanto scritto in merito al punto precedente. Anche se non esplicito, anche in questa affermazione, pare che il suo deus ex machina si muova, nuovamente, da uno sfondo meccanicistico che, come un toro a testa bassa convinto di sfondare tutto ciò che incontra, non concede possibilità a se stesso di emanciparsi dal giogo scientista-meccanicista. Sarà sempre fallimentare impiegare strumenti materiali per indagare e muoversi nel mondo sottile o energetico, tanto volatile e sensibile alla relazione, quanto inaccessibile alla previsione e alla stabilità. Salvo che nei piccoli contesti chiusi, ambiti in cui regole e linguaggio sono condivisi dai presenti al loro interno, nei quali sussiste a pieno titolo l’oggettività e che perciò hanno carattere meccanico.
Fisica e politica cita un brano del fisico Lee Smolin: “«[...] La nostra comprensione delle leggi della natura ha continuato a crescere rapidamente per oltre due secoli, ma oggi, nonostante tutti i nostri sforzi, di queste leggi non sappiamo con certezza più di quanto ne sapessimo nei lontani anni Settanta» (L’universo senza stringhe. Fortuna di una teoria e turbamenti della scienza, Einaudi, Torino 2007, p. X).”
Siamo alle solite, e non potrebbe essere altrimenti. L’indagine meccanicista del reale, da Descartes, Newton, l’Illuminismo e il Positivismo materialista, che ha effettivamente vinto tutte le gare di conoscenza che si è autoreferenzialmente organizzata, ha “fatto passi da gigante”. Ma ora, con l’avvento della fisica quantistica, la piattaforma dalla quale faceva decollare tutti i suoi missili di ricerca, non ha più il necessario se non per fare cilecca. Il suo filone è chiuso, se non le piccole – sebbene esaltate – sue incarnazioni tecnologiche, comunque inette alla conoscenza relazional-serendipidica avviata con la meccanica (nome inopportuno a mio parere) dei quanti. Vanno a favore di quest’idea due punti. 
Il primo riguarda le conoscenze sapienziali delle tradizioni sorte a tutte le latitudini nel corso della storia umana. Conoscenze che sarebbe meglio ridurre al singolare, conoscenza, in quanto tutte conducono ad una concezione dell’uomo e della realtà di tutt’altra schiatta rispetto a quella analitica della meccanica. In esse non sussiste la separazione tra le presunte parti del reale ma la loro contiguità e relazione. Realtà quindi come tessuto o rete dai movimenti oscillanti secondo modalità solo molto limitatamente prevedibili e non come un meccanismo dagli elementi sostituibili e dal comportamento pianificabile e prevedibile. Il battere d’ali di una farfalla in Amazzonia ha relazione con l’uragano che si scatena in Texas.
Il secondo, più recente ce lo dice Heisemberg a più riprese e in più modi. I brani sotto elencati sono estratti da Fisica e filosofia e da Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti 1920-1965.
“[...] è nella teoria dei quanta che hanno avuto luogo i cambiamenti più radicali riguardo al concetto di realtà. [...] Ma il mutamento del concetto di realtà che si manifesta nella teoria dei quanta non è una semplice continuazione del passato; esso appare come una vera rottura nella struttura della scienza moderna”.
“Specialmente in fisica [meccanica classica, nda], il fatto che noi possiamo spiegare la natura per mezzo di semplici leggi matematiche ci dice che abbiamo a che fare con dei caratteri genuini della realtà, e non con qualche cosa che abbiamo – in qualsiasi significato del termine – inventato noi stessi”. 
[...]
“[...] questa volta han cominciato a spostarsi gli stessi fondamenti della fisica; e che questo spostamento ha prodotto la sensazione che ci sarebbe stato tolto da sotto i piedi, ad opera della scienza, il terreno stesso su cui poggiavamo. Nello stesso tempo questa reazione significa che non si è ancora trovato il linguaggio idoneo per dare espressione alla nuova situazione [...]. La progredita tecnica sperimentale del nostro tempo porta nella prospettiva della scienza nuovi aspetti della natura che non possono essere descritti nei termini dei comuni concetti”. 
[...]
“Ma i concetti scientifici esistenti [della meccanica classica, nda] abbracciano sempre solo una parte limitata della realtà, mentre l’altra parte, tuttora incompresa, è infinita”. 
“La scienza naturale non descrive e spiega semplicemente la natura; descrive la natura in rapporto ai sistemi usati da noi per interrogarla. È qualcosa, questo, cui Descartes poteva non aver pensato, ma che rende impossibile una netta separazione tra il mondo e l’Io”.
“La fisica classica partiva dalla convinzione ¬– o si direbbe meglio dall’illusione? – che noi potevamo descrivere il mondo, o almeno una parte di esso, senza alcun riferimento a noi stessi”.
[...]
“I successi da essa ottenuti han condotto all’idea generale d’una descrizione oggettiva del mondo. L’oggettività è divenuto il primo criterio di valutazione di qualsiasi risultato scientifico”.
[...]
“Ma essa parte dalla divisione del mondo in «oggetto» e resto del mondo, e dal fatto che almeno per il resto del mondo ci serviamo dei concetti classici per la nostra descrizione. È una visione arbitraria e storicamente una diretta conseguenza del nostro metodo scientifico [...]”. 
“[…] il rigido determinismo della fisica newtoniana o classica è stato colpito alla base. Nello stato d’un sistema fisico entra, secondo Heisenberg, il concetto di probabilità, escluso assolutamente, invece, non solo dalla fisica newtoniana ma anche da quella di Einstein”. 
Fisica e filosofia (dall’introduzione di Guido Gnoli).
L’articolo prosegue con...
“Se la teoria dei quanti confligge totalmente con la percezione sensibile e con l’idea che ogni umano può farsi della realtà, quella delle stringhe la supera di molto in spericolatezza teoretica e nell’abissale distanza da qualunque possibile esperienza. Essa sostiene infatti che i costituenti della materia non sono delle particelle ma degli elastici che vibrano non in quattro dimensioni (altezza, larghezza, profondità e tempo) ma in ventisei, poi ridottesi (nella versione ‘superstringhe’) a nove. Dimensioni che nessuno ovviamente ha mai percepito e sperimentato”.
Tra le diverse considerazioni critiche che sovvengono leggendo le righe di Fisica e politica qui sopra, una è più prorompente. Riguarda l’”ovviamente”. Impiegare il concetto di ovvio è possibile solo nei campi chiusi. Per esempio, due più due è ovvio che (matematicamente) faccia quattro, ma solo per chi conosce e condivide il simbolismo formale e l’alfabeto dell’aritmetica; è ovvio che se spari al cacciatore scambiato per coniglio, vieni perseguito (dalla legge) e che se bari al gioco, quando sei scoperto sei anche escluso. Ma non è per niente ovvio che tu capisca quello che qualcuno dice, che tu impari dopo una spiegazione. Nel mondo relazionale aperto, l’equivoco e l’incomprensione sono ordinari. Se in quello chiuso è come se ognuno avesse orientato il proprio universo all’unisono con quello altrui, in quello aperto ognuno vanta il proprio e in sua funzione crede, sceglie, fa.
Chi impiega deliberatamente il concetto di ovvio sta sparpagliando il campo di tutti con il proprio liquame per la propria coltura. In contesto relazionale impiegare l’idea dell’ovvio comporta un’interruzione della conoscenza, una crisi della relazione.
Licenziata perciò ovviamente per prima questa significativa presenza nel brano riportato, forse, – almeno per colui nel quale risuona ciò che sto cercando di esprimere – nelle restanti parti più oltre riferite, si potrebbe seguitare a riconoscere la longa manus meccanicista, quale solo contenitore e produttore di conoscenza. “Ma è ovvio!”, Lo sento urlare in coro dalla moltitudine scientista. Allora chiedo, è ovvio costringere tutto entro la scatoletta della nostra concezione? Se ovvio non lo fosse alzeremmo il rischio di riconoscere che la narrazione scientifica della verità è una, non la sola. Che il mondo ad essa conforme non è il mondo, ma solo il mondo visto dalla scienza. Che l’aspirina non cura ma sopprime, che la febbre come ogni fisicità del malessere è un’informazione preziosa per trovare la causa della sua origine e così evolvere riducendo il rischio del suo ripresentarsi. Ma questa prospettiva non interessa alla scienza. 
“[...] tachioni, particelle in grado di viaggiare a velocità superiori a quelle della luce”.
“Viaggiare” riguarda uno spostamento. Ma lo spostamento è, esiste, solo nella scatoletta del meccanicismo e del materialismo. Ci si vuole chiedere se oltre a quella scatoletta ve ne siano altre? In caso affermativo se ne troverebbero. Tra cui quella della contiguità di tutte le cose, della realtà come una rete o come una scelta e collegamento di alcuni degli infiniti puntini disponibili, che dall’immaginario decantano come gerani dal balcone sul selciato della realtà concreta, sempre, infatti, arbitraria e funzionale alla propria biografia, sia essa individuale, corporativa, lobbistica, culturale, di rango, accademica, di specie, di credo, di morale, eccetera. E, ovviamente – ahah –, anche la scatoletta dell’entanglement che, insieme alle altre e come le altre è considerata blasfema dalla scienza tangibile. Esse infatti esistono nonostante non vi sia la presenza di uno spazio vuoto tre le parti che contiene né, dunque alcuna possibilità di viaggiare, ma solo di essere, tantomeno alcuna velocità raggiungibile e nessuna gara con la velocità della luce, a meno che uno strumento le riscontri. La magia non ha bisogno di un corpo materiale per esistere. E, è ovvio, non si tratta della magia, derisa da tutti. Quella, è la magia vaneggiata da coloro che non ne riconoscono la natura, che nulla ha a che vedere con la sua dialettica, il suo potere, la sua essenza.
“Un terzo elemento della teoria è quello fondamentale e capace di invalidarla del tutto. La teoria delle stringhe richiede alcuni valori/numeri infiniti, sino a pervenire sia a «un numero infinito di teorie» sia «a un numero infinito di universi possibili» (Smolin, p. 198). Una teoria con questa caratteristica non può essere confermata o falsificata da nessun esperimento possibile e pensabile e di conseguenza non è in grado di formulare alcuna predizione.”
Predizione è come velocità. Ne si può affermare una misurazione solo conoscendo le caratteristiche comportamentali di un oggetto, condizione della meccanica classica mentre, non poter predire con certezza, sarebbe quindi – nel rispetto dell’assolutismo di cui è culturalmente incoronata –un segno di invalidità definitivo. Fine della discussione!
E poi, la fisica meccanica stessa può essere “confermata o falsificata” da qualche “esperimento possibile e pensabile”? No! Fatto salvo per la normativa che vige entro la sua esaltata scatoletta. 
Non riconoscere l’autoreferenzialità della scienza è forse il primo passo falso che tutto inficia. Non è ovvio?
È interessante però, per quanto inconsapevolmente al nostro discorso, l’accenno all’infinito. Ad esso corrisponde l’iperuranio di Platone: le idee ci sono già tutte. Come detto, ognuno coglie quelle strumentali al proprio discorso personale o epocale che sia. Questo incluso.
“Un accenno al lessico della teoria delle stringhe conferma che in essa ci si è allontanati di molto da qualunque ragionevole teoria e pratica del lavoro scientifico: «Non esistono solamente lo squark, lo sleptone e il fotino, ma anche lo sneutrino per il neutrino, l’Higgsino per il bosone di Higgs e il gravitino per il gravitone. A due a due, un’intera arca di Noè di particelle. Prima o poi, nel groviglio della rete di nuovi snomi e nomini, uno inizia a sentirsi uno sperfetto imbecille. O un perfetto imbecillino. O squalcosa del genere» (Smolin, p. 75)”.
Mi pare un ottimo brano, giustamente portato da Alberto Giovanni Busio a sostegno del suo discorso. Ottimo perché sono diverse, anzi frequenti e numerose, direi perfino ovvie le considerazioni derisorie di matrice scientista. Una figura di facile delineazione. Si pensi al banco di un’officina e al meccanico che vuole smontare la realtà con i suoi attrezzi per vedere cosa c’è dentro. Come ogni prassia idonea implica l’efficacia del gesto, così senza strumentazione sottile non è possibile che deridere ciò che non si riesce a maneggiare. L’aveva già detto Fedro. E constato perpetuamente quanti altri hanno pescato la stessa idea dall’iperuranio.
Mi sento in obbligo di citare un altro intero blocchetto. Chiedo scusa per la lungaggine. Cercherò di farmi perdonare con il corto commento che lo segue.
“Si tratta di una teoria che esiste e opera in un mondo che non ha a che fare con la materia ma quasi soltanto con le equazioni matematiche e dunque con gli aspetti puramente formali della conoscenza umana. Aspetti che in tale teoria tendono a diventare il frutto di ardite speculazioni e sbrigliate fantasie. Infalsificabilità e incapacità di enunciare qualunque predizione fisica privano la teoria delle stringhe del necessario rigore scientifico. Non si tratta nemmeno di una teoria, appunto, ma di una «speranza irrealizzata che ne possa esistere una» (Woit, pp. XVI e 209). Il fascino da essa esercitato su molti fisici non è dovuto a ciò che di essa è conosciuto, quanto piuttosto alle personali speranze dei fisici che hanno dedicato un’intera vita a elaborarla”.
La materia. Come luogo comune sappiamo tutti cosa sia, ma riconoscerla come uno stato vibratorio è meno comune. In ogni caso, per non divagare, riecco nel brano riportato lo scientismo ad uno stato pressoché puro: ciò che non è tangibile, oggettivo, misurabile, prevedibile – ovviamente secondo i canoni della scienza ovvero, scientisticamente, i soli universali – non fa parte della conoscenza e della verità.
“Il fascino”. È vero, qualcuno sente il fascino di ciò che il suo linguaggio non è in grado di definire affinché avvenga una semantica condivisa. Aiuto! Qui non si sa neanche che l’esperienza non è trasmissibile. Non si sa che una qualunque ottima descrizione non comunica a nessuno tranne a parigrado, cioè a coloro che, a loro volta, sarebbero in grado di veder sorgere la medesima visione che ha generato la descrizione stessa. E non si sa perciò neppure che con il linguaggio dei sussidiari, molto non è descrivibile se non dogmaticamente parlando. Ecco perché poeti e ricercatori emancipati dal conosciuto navigano sullo stesso tappeto volante privo di strumentazione tecnologica, oltre gli orizzonti duali, oltre il tempo e lo spazio, diade palla al piede, buona solo per mandare una raccomandata, per organizzare un cassetto e un matrimonio, per stilare la classifica del campionato, ma non per essere conoscenza.
“’Teoria del nulla’”.
e
“La prima, come accennato, è la comprensibile difficoltà di studiosi famosi e meno famosi di decretare il fallimento di un’intera vita di ricerca, oltre alla dimostrazione della loro irragionevole insistenza su una teoria rivelatasi infondata”.
A ridaje. Solo derisione, ironia, sarcasmo e disprezzo. Smisurata altezzosità di un ego ipertrofico. E forse molto vittimismo. Nonché – vogliamo farne cenno? – invidia.
“Infondata” secondo quali criteri? Il positivismo sta entro coordinate cartesiane, come tutto il resto del mondo che tracima dal vaso logico-razionale. Ma solo da quello, però. 
Anche i capoversi che si avviano con “La seconda ragione” e “Il convergere sempre rovinoso” meriterebbero di stare nel novero dei brani qui riportati da Fisica e politica. Non li inserisco per tentare di eludere l’alto rischio di doppia inutilità. Una, per chi condivide la linea che sto seguendo: lo troverebbe ripetitivo di quanto già detto. L’altra, per chi trova inaccettabile tale linea, al fine di non indurlo di ulteriore irritazione e arroganza scientista.
Chiunque può includere nelle proprie derisioni il “principio antropico”. Chiunque può attribuirgli un valore tanto risibile da azzerarne la portata. E sono tanto quelli che lo fanno con presunto dovere e certo diritto. 
Oltre a Capra e alla new age (vulgata di un evento culturale ben più profondo o esplosione di un’emozione in un popolo pronto a sentire risuonare in sé ciò che ancora non avevano incarnato o ricreato) entrambi denigrati in Fisica e politica, Alberto Giovanni Busio e i numerosi suoi sodali avranno considerato Maturana, Bateson, Watzlawick, von Glasersfeld, von Förster, i Veda, Castaneda, Scaligero, la meditazione, Korzybski, Prigogine, Gödel, Wittgenstein, Bohm, Morin e chissà quanto e quanti altri? Lo chiedo così, per curiosità. Ma anche per venire a sapere se la loro certezza universale dell’oggettività è costantemente messa in discussione o definitivamente messa alla porta. (Incertezza retorica).
Osservato e osservatore compongono un’unità, la mente di Bateson. È in questo senso che la cosiddetta mente e la cosiddetta materia non hanno ragione d’essere distinte se non nella scatoletta scientista.
“Come scrisse Heisenberg: Ciò che osserviamo non è la natura stessa, ma la natura sottoposta al nostro modello di indagine”.
Gary Zukav, La danza dei maestri Wu Li.
Riporto un brano da Il Tao della fisica di Fritjof Capra. In esso traspira un’apertura al mai sospettato, afflato che colma la scienza, ma introvabile nell’arroganza scientista.
“È probabilmente vero in linea di massima che della storia del pensiero umano gli sviluppi più fruttuosi si verificano spesso ai punti d’interferenza tra due diverse linee di pensiero. Queste linee possono avere le loro radici in parti assolutamente diverse della cultura umana, in tempi diversi e in ambienti culturali diversi o di diverse tradizioni religiose; perciò, se esse realmente si incontrano, cioè, se vengono a trovarsi in rapporti sufficientemente stretti da dare origine a un’effettiva interazione, si può allora sperare che possano seguire nuovi e interessanti sviluppi”.
Sul tema dell’apertura, trova posto anche un brano di Guido dalla Casa, tratto dall’articolo La fisica e l’Oriente.
“Ottant’anni dopo i lavori di Heisenberg e Schroedinger e quarant’anni dopo la pubblicazione del libro di Capra, ben pochi scienziati hanno accettato intimamente e completamente il fatto che le conseguenze filosofiche della fisica quantistica, o il paradigma che ne consegue, coincidono praticamente con la visione del mondo della filosofia buddhista (e di qualche aspetto del pensiero indù e taoista). In fondo, molti ancora pensano in modo semi-conscio che non è possibile che 2000 anni fa si potessero avere concezioni considerate molto “moderne”. Non riescono a liberarsi dal pregiudizio del progresso, cioè dall’idea “ottocentesca” che l’umanità proceda in un’unica direzione, verso conoscenze sempre maggiori e ‘più vere’”.
Tornando al testo di Fisica a politica. 
Il “tempo, lo spazio, la materia, le particelle”.
Studiare in merito al tempo, allo spazio, alla materia e alle particelle pare diritto di alcuni e non di tutti, di una congrega concezionale ma non di altre. Egregi scientisti, se vi sta bene – ma non avete scelta – seguitate ad impiegare martelli e lime, ma così, forse, non scoprirete come trasformare il piombo in oro.
“Il declino della fisica mostrato dal percorso che dalla Teoria dei quanti ha condotto alla Teoria-M è una manifestazione piuttosto evidente del tramonto dello spirito scientifico”.
Forse è un “declino” secondo lo spirito scientista, ma non secondo quello scientifico. C’è da aspettarsi che gli scienziati dediti agli studi – secondo Alberto Giovanni Biuso – declinanti operino inizialmente nel rispetto della concezione meccanicista, ovvero impiegando martello e lima là dove sono sconvenienti, per poi riconoscerne l’inidoneità e, quindi, liberi dal conosciuto, arrivare ad aggiornare concezione e strumentazione, per passare – si fa per allegorizzare – ai fondi di caffè e vedere in essi il mondo con occhi sciamanici.
“Unificare tutta la fisica”.
Sebbene sia una formula in cui si coglie il sentore dei relativi ricercatori, che tutto si tenga, che ogni legge non è a sé stante, in Fisica e politica viene riportata come sconveniente e quale titolo del filone di studi inopportunamente, anzi, strumentalmente finanziato per destabilizzare gli uomini e il mondo. 
Come detto, sul banco di lavoro dello scientista si trovano solo lima e martello e quando gli si mostra un alambicco ride, deride e uccide. E lo fa a pieno titolo in quanto non sa che la realtà è un intero che ci contiene e che ha bisogno di noi per essere, con la quale non v’è differenza, se non secondo la sua piccola scatoletta logico-razionale. Una scatola cognitiva nella quale costringe il mondo, ma nella quale non riesce a comprimere i bimbi, per poi annegarli nel suo oceano di piccoli saperi. 
“Anche Woit evidenzia la «sorprendente analogia tra il modo in cui la ricerca nella teoria delle stringhe viene portata avanti nei dipartimenti di fisica e il modo in cui la teoria post-moderna è stata portata avanti nei dipartimenti umanistici» (Woit, p. 206). Affinità che ha come obiettivo il condizionamento e l’obbedienza dell’intera comunità sociale alle verità spacciate per tali da ‘esperti’ il cui linguaggio appare oscuro sino alla incomprensibilità. Il condizionamento diventa ovviamente più forte se i giochi linguistici del postmoderno vengono sostenuti dalla forza dei media e della polizia”.
Sulla tentata, e in buona misura riuscita, manipolazione sono d’accordo, ma escluderei dal contesto la ricerca fisica. Semmai includerei qualche scienziato miope, pieno di ego e avido. Ma qui si va sul caso specifico o qualcosa del genere che non mi pare utile alla questione scatenata dall’avvento della fisica quantistica.
L’ultimo capoverso si avvia con“Quanti seguono i programmi di ricerca dominanti”. 
Mi sembra relativo a conoscenze e questioni personali di Alberto Giovanni Busio, quindi non aggiungo di mio niente, mi ripeterei una volta di troppo.

Conclusione
La meccanica dei quanti è nata quasi cento anni fa ma è ancora un cucciolo. Non ha ancora il linguaggio adatto per esprimere i suoi sentimenti e per descrivere le sue visioni. E i suoi genitori pur avendo già visto che si tratta di un bimbo particolare, non hanno ancora capito che è un fuoriclasse.