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La ripresa? Una chimera

di Paolo De Gregorio - 01/07/2013

 

Sarà che ne ho viste tante, ma la manifestazione della FIOM di ieri a Roma sa tanto di un rito stanco, inutile, con richieste ovvie come investimenti e rilancio dell’economia, come se si trattasse di una piccola crisi ciclica a cui segue la ripresa. Invece si tratta  di una cinica e feroce lotta globale per la conquista dei mercati, che ci vede soccombere perché non abbiamo nessuna delle caratteristiche più importanti che contano oggi nella economia globalizzata: grandi multinazionali, milioni di lavoratori a basso costo, materie prime, banche d’affari di livello internazionale, strutture scientifiche di ricerca.

Infatti, in questi ultimi 10 anni moltissime aziende italiane hanno delocalizzato la produzione in paesi con manodopera a basso costo, dove si pagano anche meno tasse. Aziende italiane con marchi importanti se le sono comprate aziende multinazionali francesi, inglesi, tedesche, olandesi, svizzere. Materie prime non ne abbiamo e possiamo aggiungere che il livello del nostro debito pubblico (90 miliardi di euro di interessi da pagare ogni anno) non dà alla politica nessuna risorsa per sostenere l’economia e la ricerca.

 

Fanno un po’ tenerezza questi operai che pietiscono il rilancio della economia invocando l’intervento di banche e padroni, come se parlassero con soggetti sociali che si fanno carico dei problemi di tutti e non di entità che hanno solo il profitto nel proprio DNA, non hanno amore di patria, se gli conviene delocalizzano, vendono, fanno speculazioni finanziarie, escono per sempre dalle imprese, portano i soldi nei paradisi fiscali.

Non solo, ma l’Europa, che a parole dovrebbe fare gli interessi anche dei paesi più deboli e porsi come soggetto economico e politico di coesione e di comuni interessi, è nella realtà dei fatti spaccata tra i paesi forti: Germania, Francia, Inghilterra, e paesi deboli che, lungi dall’essere aiutati, vengono tenuti sotto tutela delle banche, sempre a rischio di bancarotta. Situazione ideale per i paesi forti che comprano tutto ciò che vale di queste economie, scrivendo cosi la storia del declino di molti paesi.

Mai come in questo momento sento inadeguati sindacati, partiti, governo, che cercano di galleggiare sull’esistente, ma che non hanno la minima idea della natura sistemica della crisi che esige risposte nuove e coraggiose.

 

Per non parlare in astratto, mi sembra opportuno fare un esempio che tenga conto della globalizzazzione e dei suoi effetti, per non continuare a buttare soldi e tempo. Si tratta del come trattare il problema della ILVA di Taranto. L’Ilva è una acciaieria che ha 50 anni, altamente inquinante, il cui risanamento costerebbe uno sproposito e, presto, entreranno in funzione anche  in Brasile impianti siderurgici di nuova generazione che inesorabilmente produrranno acciaio a costi minori (come è successo per l’Italcantieri che chiude perché nuovi impianti in Corea del Sud e Cina producono navi in meno tempo ed a costi minori), e i costi del risanamento sarebbero buttati al vento.

Sarebbe più intelligente usare gli 8 miliardi di euro sequestrati ai Riva per demolire e risanare la zona, risparmiando denaro e vite umane.

 

La globalizzazione ci ha fregato, l’Europa pure, non c’è futuro in Italia se non usciamo da questa morsa del debito, degli obblighi monetari, del FMI, delle spese per armamenti e per missioni militari all’estero, e non cominciamo a pensare ad una economia tutta italiana che ci porti alla autosufficienza energetica (con le rinnovabili) e alla autosufficienza alimentare, per garantire un futuro a tutti, ad impegnarsi a tutelare e valorizzare il nostro immenso giacimento artistico, storico, culturale, ambientale, che è il nostro inesauribile petrolio. Ma, senza banche pubbliche e senza volontà politica questo percorso è impossibile.

E’ il momento giusto per cominciare a parlarne,  nemmeno Grillo e il suo movimento, che meritoriamente si occupano  principalmente di nuove regole di democrazia, hanno una strategia precisa per uscire dalla crisi, che per ora continuerà ad aggravarsi per l’emersione di altri protagonisti economici che si contenderanno i mercati con le unghie e con i denti, fino alle briciole.