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La fumata a stelle e strisce

di Roberto Pecchioli - 12/05/2025

La fumata a stelle e strisce

Fonte: EreticaMente

L’abbiamo scampata bella. L’elezione a papa di Robert Francis Prevost assomiglia al gol del pareggio messo a segno all’ultimo secondo dalla squadra ultima in classifica in casa di chi ha lo scudetto. Soddisfazione, ma innanzitutto constatazione che è stato almeno evitato il peggio, data la composizione del collegio cardinalizio. Tuttavia, si può e si deve sperare. Questo è il sentimento di fronte alla prima fumata a stelle e striscie della storia. Aspettiamo il papa statunitense alla prova dei fatti. Dai frutti li riconoscerete, disse Gesù risorto, riferendosi agli uomini che avrebbero incontrato i discepoli nel loro apostolato, declassato dall’argentino a proselitismo e considerato una sciocchezza dalla neo chiesa.
L’avventura di un povero cristiano, nei giorni precedenti il conclave, ha sfiorato la temerità e messo a dura prova la fede, non in Dio, ma nei suoi rappresentanti. Leggere i curricula di molti candidati al soglio di Pietro dava la sensazione di essere membri di religioni distinte, opposte. Gli amici sanno che chi scrive – al colmo della frustrazione – ha addirittura pensato di diventare ortodosso. Alla fine nella Cappella Sistina – prodigiosa rappresentazione del rapporto tra Dio e l’uomo – l’ha spuntata uno statunitense lungamente vissuto in America latina, agostiniano – formato quindi alla solida scuola dei Padri della Chiesa – dall’aria di studioso che sa parlare, insegnare ma anche ascoltare e tacere, un uomo di cultura ben più strutturata del descamisado con il poncho.
Di più, nella tempesta scatenata da Francesco e dai suoi, picconatori di un edificio ecclesiale in crisi almeno dagli anni Sessanta del secolo passato, non potevamo aspettarci. Diventa surreale – un altro segno dei tempi, della “notte del mondo” evocata nella prima omelia – dover esultare perché il Papa era vestito da papa, con tanto di stola, mozzetta e croce lucente nel sole calante della sera romana. Tocca essere felici, addirittura commuoversi, come è capitato a chi scrive, vecchio cristiano bambino (non “adulto” come i progressisti in gara con l’eterno) perché il Papa ha pronunciato il nome di Dio e ha proclamato che Cristo è risorto, iniziando il suo saluto precisamente con la prima frase pronunciata da Gesù uscito dal sepolcro. Il papa parla di Dio e lascia intendere che la missione della chiesa è salvare le anime in vista di un destino atemporale. Ce ne eravamo dimenticati nei lunghi anni in cui abbiamo ascoltato pistolotti ecologisti ed immigrazionisti, in cui abbiamo assistito sgomenti alla sfilata di idoli animisti (Pachamama) e ci è stato detto che tutte le religioni sono equivalenti.
Il nuovo pontefice all’anagrafe si chiama Prevost e dalle nostre parti, in questo amatissimo pezzetto d’Italia, prevosto è sinonimo di parroco. Il nome come presagio. Il prevosto della nostra infanzia, che non andò in pensione tenendo duro sino a novanta e più anni, non mancava mai, in ogni predica, di rammentare il destino eterno dell’uomo e il giudizio finale. Da giovedì 8 maggio Prevost è diventato Leone XIV. Ovvio il richiamo a due grandi predecessori, Leone Magno che fermò Attila e per primo esibì una forma di potere temporale fondato su Dio nell’inverno dell’impero romano. E naturalmente Leone XIII, papa Pecci, il successore di Pio IX, il primo Papa non più re dopo oltre un millennio , autore di ben ottantaquattro encicliche, potente mente filosofica di impostazione tomista, autore della Rerum Novarum (1891) il documento che creò la Dottrina Sociale della Chiesa, robusto argine contro le ideologie materialiste della modernità, il comunismo e il liberalismo. Leone, un ulteriore segno, non casuale come il cognome di famiglia, una scelta che lenisce, se non le ferite di molti cattolici, almeno il dolore che le ha causate.
Sì, l’abbiamo scampata bella, poteva andare molto peggio. Non solo per noi, umili fedeli, ma per la barca di Pietro. Avevamo colto, con malcelata speranza, due segnali lanciati da prelati diversi per storia, età, origine, nei giorni precedenti il conclave. Il canadese Czerny ricordava che i cardinali erano chiamati a eleggere il successore di Pietro, non di Francesco. Rassicurante. Il vecchio Camillo Ruini, lucidissimo a dispetto dei 95 anni di età, ancora più tagliente, tenuto conto del felpato linguaggio curiale, invocava un papa “molto credente” che avesse a cuore la dottrina. Un messaggio per nulla criptico, che conferma la crisi di fede che scuote il cuore della cattolicità. Di contro, un esponente della neo-chiesa ha sbottato che “è più importante l’uomo della dottrina”. E Dio, il convitato di pietra? Confortante, nelle prime parole di Leone XIV, il richiamo alla pace, non a una pace qualunque, materiale, pur necessaria, ma alla pace di Dio. Ovvio che la differenza non sia stata colta dal coro mediatico. Ricentrare la chiesa su Dio e la fede sembra il segnale positivo.

Sin qui il sollievo e la speranza che Leone non sia Francesco. Resta la prudente attesa dei fatti e l’analisi mondana di quanto accaduto nelle sacre stanze. O meglio, di quanto è maturato negli ultimi mesi, da quando è apparso chiaro che la salute di Bergoglio volgeva al peggio, e poi nelle congregazioni dei cardinali – tutti, anche i non elettori – ai quali non sono certo state estranee le pressioni del mondo esterno e dei poteri politici.
La vecchia conventio ad excludendum rispetto all’elezione di un papa statunitense è stata superata – un muro abbattuto e un ponte costruito – e non è detto che sia un male. Certo, la chiesa è sempre meno romana, si allontana sempre più dai luoghi in cui è nata, si è radicata e si è fatta civiltà, impronta della storia e dell’identità. Ratzinger/Benedetto cercò senza successo di riportare il cristianesimo nella decrepita Europa. Tanto vecchia da non essere più cristiana, irriconoscibile nei valori e nei volti dei suoi abitanti. Vedremo come agirà Leone XIV rispetto a questa terra di missione disseccata, desertificata nello spirito, ammalata nel corpo e nell’anima. Tanto vecchia da non essere più nulla, postera ignara di se stessa, smemorata e indifferente.
Prevost è americano, per biografia ponte tra le due parti del continente plasmato nell’ultimo mezzo millennio dal cristianesimo introdotto dall’impresa di Colombo al servizio della Spagna da poco unificata. Non potrà esimersi dal prendere posizione sulle grandi questioni che agitano la sua terra di nascita a nord – e di elezione – a sud. Ancor meno potrà evitare la sfida del cristianesimo evangelico che erode costantemente la base popolare cattolica. Un ciclone che ha mezzi, entusiasmo, una dottrina duttile, facile da accogliere, una forza spirituale che risponde alle domande di senso messe da parte dalla cattolicità. L’esperto agostiniano ne è certamente conscio e poche cose, per il futuro della barca di Pietro, saranno più importanti dell’esito di questo confronto intracristiano nelle Americhe. Il cattolicesimo degli Usa, infine, è vivacissimo, benché fortemente diviso. Moltissimi giovani preti e non poche religiose sembrano riascoltare la voce della tradizione. La comunità cattolica statunitense è ricca di mezzi, il che non guasta, perché le casse vaticane sono vuote, e non saranno generici appelli alla povertà a rafforzare la chiesa. Conta spendere il denaro per le buone opere, per l’evangelizzazione e per sovvenire le esigenze di chi ha bisogno, ma è sempre meglio, in ogni impresa umana – anche la Chiesa lo è – essere forti anche economicamente.
Leone XIII introdusse una dottrina sociale di sorprendente attualità. E’ stata dimenticata, abbandonata, gettata nel solaio tra le cose vecchie. Se il nome è conseguenza delle cose, il Prevosto che ora è Leone potrebbe riprendere quella dottrina per ripresentarla al mondo come uno dei frutti più preziosi della riflessione della modernità. Vedremo altresì se vorrà essere Pietro o, in omaggio all’equivoca sinodalità – la chiesa che mette ai voti se stessa – soltanto il vescovo di una Roma non più caput mundi, residuale sede storica della cristianità. Che Gesù edificò su una pietra (il Papa) non sul suffragio universale. Presto capiremo come la pensa Leone XIV sui temi caldi del mondo post e anti cristiano: le teorie gender, l’omosessualismo, l’abortismo, l’eutanasia, lo scientismo, l’artificializzazione della vita sin dai fondamenti, per arrivare alla sfida antropologica (e ontologica) del transumanesimo, dell’Intelligenza Artificiale, dell’ibridazione dell’uomo con la macchina.
Sono temi ineludibili, sfide decisive non solo per l’uomo di quest’epoca storica, ma per la specie homo sapiens. Ossia, secondo il cristiano, l’essere fatto a immagine e somiglianza di Dio, creato “maschio e femmina” con destino eterno e, in Terra, con il comando di custodire il creato. Tremano i polsi pensando alla grandiosità del compito di colui che- comunque la pensiamo in termini di fede- è tra le autorità morali più importanti del mondo. Da credenti, gli chiediamo di riparare le enormi falle della barca di Pietro, di confermarci nella fede e restituirci una speranza non transitoria, non esclusivamente umana e terrena. Da uomini di questo tempo, di guidarci fuori dal deserto del cinismo etico ed economico, del tornaconto, della violenza contro il creato e contro l’uomo, dell’affidamento cieco alla tecnologia, della morte di Dio. Un compito da leone.